In queste ore sui principali quotidiani on line italiani è tra le prime
notizie il ritiro del mandato di arresto da parte dell’autorità britannica per
i genitori di Ahsya King, il bimbo di cinque anni affetto da un tumore
cerebrale inguaribile. Cosa hanno fatto i due? Lo hanno prelevato senza il
consenso dei medici dall’ospedale di Southampton dove era ricoverato per
portarlo in Spagna e tentare di curarlo con una terapia di nuova generazione.
Da qualche anno, infatti, grazie alle nuove strade in cui si incrociano
medicina e fisica nucleare tumori così delicati e aggressivi possono essere
curati con una terapia di protoni.
In un video realizzato tre giorni fa, la famiglia di
Ahsya spiega le ragioni che li hanno portati alla fuga. E assicurano le
autorità che il bambino continua ad essere alimentato con la nutrizione
artificiale, mostrando di avere le scorte sufficienti per non metterlo in
pericolo di vita. Era stata infatti proprio questa la ragione che aveva fatto
spiccare il mandato di cattura internazionale per i due.
Qui non siamo certo di fronte a soluzioni magiche o miracolistiche, ma a
una prospettiva di cura che da qualche anno è possibile ricevere anche nel
nostro Paese. Allo Cnao di Pavia sono
già stati trattati con l’adroterapia 100 pazienti, il primo nel 2011. A dicembre 2013 è arrivato
per lo Cnao anche l’accreditamento regionale per il rimborso del sistema
sanitario. Un nuovo centro del genere sta muovendo i suoi primi passi a Trento.
Ma come è possibile che in Inghilterra non esista la possibilità di cura
con una terapia moderna ma già in uso in molti paesi oltre all’Italia?
Lo abbiamo chiesto a Francesca Fiorini,
postdoctoral Research Scientist dell’Università di Oxford e al Churchill Hospital.
“In Inghilterra – spiega – la terapia con i protoni è effettuata solo per trattamenti oculari. Come il centro Catana
ai Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN a Catania il centro per tumori
oculari di Clatterbridge a Liverpool, tratta lo stesso tipo di pazienti. Il
motivo per cui solo tumori oculari possono essere curati in tale centro,
risiede nel fatto che l’energia dei protoni accelerati dal piccolo ciclotrone
di Clatterbridge non è alta a sufficienza a trattare tumori più profondi di
circa 3 cm. Per trattare tumori più profondi, l’energia del fascio di protoni
deve essere più alta, il che significa costruire acceleratori più grandi e
costosi, e di conseguenza, costruire un nuovo ospedale atto a contenere
tale struttura (o adattare uno già esistente)”.
Una questione dunque anche di politica sanitaria: “Circa due anni fa – prosegue la scienziata italiana – il governo britannico ha aderito alla costruzione di due nuovi centri ospedalieri per trattamenti a protoni che saranno in grado di curare tumori anche a profondità elevate. La loro costruzione si preannuncia sarà ultimata entro il 2018. Noi nel campo speriamo tutti che tale deadline sia rispettata, cosicché casi come quelli di Ashya possano essere evitati. Infatti non solo i centri di terapia saranno operativi, ma anche l’informazione riguardo questa terapia aumenterà e la formazione degli oncologi e fisici medici potrà svilupparsi maggiormente anche in tale direzione”.
Il caso di Ashya ha avuto una grossa eco mediatica a livello mondiale.
Inizialmente della vicenda era stato enfatizzato l’aspetto religioso dei genitori
– testimoni di Geova – ma se da una parte c’è una ovvia componente di
disperazione di fronte alla sorte del proprio bambino, dall’altra non c’è di
certo un “disorientamento magico” che porta ad avvicinarsi a cure strampalate,
come qualcun altro ha voluto lasciare intendere associando questa storia a
quella dei genitori pro Stamina.
Altra cosa che lascia perplessi è per quale ragione l’ospedale di
Southampton non abbia concesso alla famiglia di usufruire della possibilità di
cura in virtù di accordi sanitari con paesi in cui la cura con i protoni è già
possibile per i tumori del cervello.
“L’UK – continua Francesca Fiorini – ha accordi con altri paesi
europei (in particolare con la Svizzera che possiede uno dei più avanzati
centri a protoni) e con gli USA per il trattamento di pazienti, in particolare
bambini, in bisogno di trattamenti a protoni. Il problema è che ovviamente
l’oncologo curante deve essere in grado di riconoscere quando un tumore possa
beneficiare di un trattamento a protoni anziché di uno a fotoni (la
radioterapia convenzionale) o chemioterapia o chirurgia. Infatti non tutti i
tumori possono essere trattati con protoni in tutta sicurezza, per molti la
chirurgia è ancora la miglior e unica soluzione. Nel caso di Ashya, l’oncologo
o il gruppo di dottori curanti dell’ospedale di Southampton, dove il bambino
era in cura, ritenevano che un trattamento a protoni non avrebbe effettivamente
migliorato la cura del bambino, o perlomeno questo è quello che l’ospedale ha
dichiarato negli ultimi giorni alle varie interviste giornalistiche.
Ovviamente
ciò può essere appurato solo esaminando
le TAC e MRI del cranio del bambino e confrontando un piano di trattamento a
fotoni con uno a protoni per appurare che un trattamento a protoni possa
effettivamente giovare più di uno a fotoni o di qualsiasi altro tipo di
terapia”.