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Di notte spegniamo qualche rete dei telefoni

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Gli articoli che affrontano i problemi legati all'approvvigionamento energetico e all'impatto del crescente consumo di energia sui cambiamenti climatici sono frequenti sui nostri giornali, ma l'articolo di Francesco De Leo, pubblicato sul Sole 24 Ore di domenica 1 novembre, affronta il problema da un punto di vista nuovo. De Leo evidenzia come le reti di telecomunicazione siano oggi tra i principali utenti di elettricità in Italia e nel mondo. Telecom Italia è il secondo utente di energia elettrica in Italia, dopo le ferrovie, ma prima di tante industrie pesanti. I nostri telefonini possono funzionare grazie alle circa 60 mila stazioni radio dei quattro operatori nazionali, che consumano complessivamente circa due miliardi di kWh all'anno, corrispondenti a una bolletta elettrica pari a circa 300 milioni di euro, con una emissione equivalente di anidride carbonica nell'atmosfera di oltre un milione di tonnellate.

L'approvvigionamento energetico rappresenta un costo importante per gli operatori (e quindi per i loro clienti) nei paesi sviluppati, ma può diventare un grave ostacolo per la realizzazione delle reti nei paesi in via di sviluppo, dove la distribuzione dell'energia elettrica può non essere capillare e può non raggiungere le potenze necessarie. In questi casi quindi una riduzione dei consumi diventa il presupposto necessario per l'offerta dei servizi.

Il mondo della ricerca accademica e industriale ha iniziato ad affrontare il problema del consumo energetico delle reti di telecomunicazioni da qualche anno, dopo decenni di grande sviluppo, durante i quali la disponibilità di energia veniva sempre data per scontata ed i problemi energetici non erano un elemento da prendere in considerazione nel progetto delle reti. Oggi invece i costruttori di apparati stanno cercando di ridurre i consumi e in qualche caso di sfruttare sorgenti alternative di energia (ad esempio, Ericsson ha sviluppato una stazione radio alimentata con pannelli solari) e i gruppi di ricerca delle principali università del mondo stanno studiando approcci per il cosiddetto "green networking".

Il gruppo di ricerca sulle reti di telecomunicazioni del Politecnico di Torino da tempo studia le possibilità per ridurre il consumo energetico delle reti, guardando sia a Intenet sia ai sistemi di telefonia cellulare. Nel secondo caso, i risultati più recenti dimostrano che si potrebbero ottenere enormi risparmi se nei periodi di ridotto utilizzo delle reti, invece di tenere accese le infrastrutture di tutti i quattro operatori che offrono il servizio nel nostro paese, si riducesse il numero di reti accese, permettendo agli utenti delle reti che vengono spente di accedere al servizio attraverso le reti accese (in roaming, secondo il gergo tecnico). Non bisogna inoltre trascurare il fatto che lo spegnimento degli apparati non indispensabili per l'erogazione del servizio implica anche la riduzione delle emissioni di energia elettromagnetica nell'atmosfera (il cosiddetto inquinamento elettromagnetico).

Le nostre valutazioni, che usano scenari parzialmente idealizzati, indicano che le riduzioni di consumo che si possono ottenere con questi semplici approcci sono sostanziali: a seconda dei casi si va dal 20% al 60%. D'altra parte, risulta abbastanza comprensibile il fatto che, essendo le reti progettate per fornire il servizio a tutti i clienti che lo desiderano durante i periodi di massimo utilizzo (la cosiddetta ora di punta), quando invece gli utenti sono pochi, per esempio di notte, non sia ragionevole mantenere l'operatività delle reti agli stessi livelli dell'ora di punta.

Volendo banalizzare, il nocciolo del discorso è che quando gli utenti sono pochi diventa ragionevole fornire il servizio mediante solo una rete, spegnendo le altre. In fondo, questo ci fa tornare a ciò che tutti da bambini ci siamo sentiti dire mille volte dai nostri genitori: quando esci dalla stanza spegni la luce!

ritratto di Michela MeoMichela Meo
Ingegneria elettronica, Politecnico di Torino

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Crediti immagine: modificata da Kai Oesterreich/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 3.0

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