Ogni volta che in fisica viene scoperta una nuova particella
è una buona notizia: se questa particella disturba le teorie fisiche in vigore,
dà l’opportunità di migliorarle; se le conferma, ne mostra la validità.
Ricade in quest’ultimo caso la scoperta del bosone di Higgs
nel 2012. Il campo di Higgs interagisce con le particelle elementari che
costituiscono la materia (quark e leptoni) dando loro massa, secondo un
meccanismo ideato nel 1964 da Peter Higgs e altri: trovare il bosone di Higgs
significa confermare che il meccanismo di Higgs avviene davvero in natura ed è
responsabile della massa delle particelle elementari.
Tutto procede tranquillamente fino a qualche giorno fa,
quando un gruppo di ricercatori della Princeton University, negli USA, pubblica
sulla rivista Science la scoperta
di qualcosa di totalmente esotico, che non segue il meccanismo di Higgs per
acquisire massa. Qualcosa con proprietà anomale e molto elusivo chiamato
“fermione di Majorana”, previsto dall’altrettanto elusivo fisico italiano Ettore
Majorana nel lontano 1937, poco prima che scomparisse misteriosamente.
che cos’è un fermione di Majorana?
Le particelle elementari che costituiscono la materia (i
fisici le chiamano “fermioni”) sono descritte da un’elegantissima equazione
formulata nel 1928 da Paul Dirac, che si chiama appunto equazione di Dirac.
Essa prevede che a ogni particella sia associata una relativa antiparticella.
Un’antiparticella ha le stesse caratteristiche della particella associata
tranne la carica, che è opposta; inoltre, se una particella e una relativa
antiparticella entrano in contatto, si disintegrano a vicenda liberando
energia.
Qualche anno dopo, nel 1932, fu scoperta la prima antiparticella: il
positrone, associato all’elettrone.
L’elettrone e le altre particelle di materia hanno
antiparticelle distinte e acquisiscono massa tramite il meccanismo di Higgs: in
gergo si parla di “fermioni di Dirac”.
Qui entra in gioco Majorana. Lavorando duramente, il geniale scienziato catanese produsse nel 1937 un’equazione simile a quella di Dirac ma più generale (l’equazione di Majorana), che prevede l’esistenza di fermioni neutri (cioè senza carica elettrica) che coincidono con la propria antiparticella. I “fermioni di Majorana” – così sono stati ribattezzati – sono particelle esotiche perché acquisiscono la loro massa interagendo non con il campo di Higgs ma con se stessi, in quanto sono le loro stesse antiparticelle. Questa interazione può avvenire senza alcuna annichilazione: anzi, i fermioni di Majorana sono molto stabili e interagiscono molto poco con la materia “ordinaria”.
Se questi strani oggetti esistono, come possiamo trovarli?
L’idea venne nel
2001 al fisico teorico russo Alexei Kitaev: i fermioni di Majorana
potrebbero essere rintracciati alle estremità di un filo superconduttore (cioè
che trasporta elettricità senza porre resistenza elettrica). Per farlo i
ricercatori di Princeton hanno preparato un cristallo di piombo purissimo su
cui hanno opportunamente disposto delle “file” di singoli atomi di ferro; hanno
portato tutto vicino allo zero assoluto (un grado sopra, per la precisione) in
modo che le molecole non si agitassero troppo, e poi hanno osservato il tutto
con un sofisticato microscopio a effetto tunnel.
Il risultato è indiscutibile: le “file” di atomi di ferro si
comportano come un fermione di Majorana. La prova è inequivocabile perché,
oltre ad aver visto il segnale caratteristico del fermione di Majorana alle
estremità delle file, l’esperimento ha evidenziato anche che in ogni altro
punto il segnale è assente o quasi. Se così non fosse, si potrebbe imputare il
segnale alle estremità a qualche altra causa.
«Questo è il modo più diretto per osservare il fermione di
Majorana per come ci si aspetta che emerga all’estremità di certi materiali»,
spiega Ali Yazdani, lo scienziato a capo dell’esperimento. Il fisico di
Princeton ha sottolineato più volte in conferenza
stampa il fatto che il fermione di Majorana non è stato scoperto in un
acceleratore di particelle, come è avvenuto per esempio con il bosone di Higgs,
ma osservando direttamente particolari materiali.
La differenza è importante perché in un acceleratore di
particelle è l’energia immessa a creare le particelle, mentre nel sistema
realizzato da Yazdani e colleghi la nuova particella “spunta” dal modo in cui
il materiale è organizzato.
Il fermione di Majorana, per come lo hanno osservato i
ricercatori americani, non è insomma una vera e propria particella da
aggiungere a quelle che già conosciamo, ma più propriamente uno “stato
quantistico composito” che sorge dall’interazione tra fermioni di Dirac ed
emerge – questo il verbo usato da Yazdani – come comportamento globale del
sistema.
Quali sono i vantaggi di una situazione di questo tipo? Ce
lo spiega lo stesso Yazdani: «L’aspetto più eccitante è che è tutto molto
semplice: non si tratta d’altro che di piombo e di ferro. [...] Questo può
essere vantaggioso perché consente agli scienziati di manipolare particelle
esotiche per applicazioni pratiche». Un esempio? La computazione quantistica.
L’idea che i fermioni di Majorana potessero essere usati per realizzare
computer quantistici venne già a Kitaev nel 2001.
In un computer tradizionale i dati vengono elaborati sotto
forma di bit, che possono assumere i valori di 0 oppure 1; in un computer
quantistico i bit sono costituiti da sistemi quantistici che, in virtù del principio
di sovrapposizione, permette ai “qubit” – questo il nome dei “bit
quantistici” – di avere entrambi i valori allo stesso tempo. Questa differenza,
piccola ma sostanziale, rende i computer quantistici il vero e proprio “Sacro
Graal” dell’informatica.
I fermioni di Majorana si prestano perfettamente al compito
di qubit proprio perché interagiscono pochissimo con la materia “ordinaria”: in
questo modo possono rimanere stabili per lungo tempo senza alterare il loro
stato quantistico.
Oltre a questa importante applicazione pratica, i fermioni
di Majorana possono giocare un ruolo importante in altri aspetti della fisica.
Innanzitutto, ci sono dei motivi per pensare che i neutrini “tradizionali”
possano essere in effetti fermioni di Majorana, proprio per la loro scarsissima
propensione a interagire con le altre particelle. Ora che sappiamo
“evidenziare” i fermioni di Majorana è possibile trovare dei metodi per fare
luce su questa ipotesi.
Infine, il carattere così “elusivo” dei fermioni di Majorana
li rende dei possibili candidati per la materia oscura, quel misterioso
“serbatoio cosmico di massa esotica” che rappresenta circa il 90% della materia
contenuta nel nostro universo, privo o quasi di interazioni dirette con la
materia ordinaria.
Anche se Majorana non fosse scomparso in circostanze
misteriose, oggi probabilmente non sarebbe vivo per vedere confermata in
maniera così brillante la previsione teorica che realizzò – con solo carta e
penna – ben 77 anni fa.