Qualunque fan di Harry Potter conosce il mantello dell’invisibilità, che permette ai giovani studenti di Hogwarts di rendersi invisibili ogni volta che lo indossano. Quella uscita dalla penna di J.K. Rowling però non è l’unica saga fantasy in cui i protagonisti possono diventare invisibili: chiunque abbia letto Il Signore degli Anelli, per esempio, sa di cosa stiamo parlando.
Oggi, nel ventunesimo secolo, sappiamo che l’invisibilità non è solo frutto della fervida immaginazione degli scrittori, ma qualcosa che si può ottenere con una buone dose di fisica e l’aiuto di materiali speciali noti come metamateriali. Certo, si tratta di materiali estremamente costosi e di difficile realizzazione, ma i progressi sono rapidi e promettenti.
La
storia prende una piega inaspettata quando John Howell, fisico
dell’Università di Rochester (New York), aiutando il figlio quattordicenne a
realizzare un progetto scolastico scopre un metodo molto più semplice e low
cost per far sfuggire gli oggetti alla vista.
Da
buon fisico, Howell padre perfeziona questo metodo in laboratorio. Insieme a Joseph
Choi, dottorando all’Istituto di Ottica della stessa università, realizza
esperimenti e test, e sviluppa un adeguato formalismo matematico del fenomeno.
Il risultato è uscito nei giorni scorsi in un articolo pubblicato su arXiv.
«Ci
sono molti approcci high tech all’invisibilità, – commenta Howell, – e
l’idea che ne sta alla base è far passare la luce attorno a un oggetto come se
quell’oggetto non ci fosse, spesso usando materiali esotici o altamente
tecnologici.» Il sistema messo a punto insieme a Choi, invece, usa soltanto
quattro comunissime lenti. Nessun metamateriale o altri ritrovati della
tecnologia.
Il
“mantello Rochester” (ribattezzato così alludendo al mantello di Harry Potter)
non è soltanto il sistema più semplice messo a punto finora per l’invisibilità:
come spiega Choi, «è il primo dispositivo in grado di garantire un’invisibilità
in tutte le direzioni e nell’intero spettro visibile». Sistemi più complessi,
infatti, spesso riescono a nascondere gli oggetti solamente a determinate
frequenze luminose, oppure in una direzione soltanto.
Il mantello Rochester è costituito da quattro lenti con opportune caratteristiche, allineate in modo da mantenere determinate distanze l’una dall’altra [vedi sotto i dettagli]. Questa particolare disposizione riesce a deviare i raggi di luce in un modo tale che, come per magia, gli oggetti disposti dietro al sistema sembrano letteralmente scomparire: al loro posto non si vedrà altro che lo sfondo. Il sistema è studiato in modo che lo sfondo appaia senza alcuna distorsione o ingrandimento, contrariamente a quanto avviene usando altri metodi.
Oltre al fatto di non necessitare di materiali complessi e costosi, un altro vantaggio di questo dispositivo è che l’invisibilità è presente anche se ci si sposta dall’asse del sistema di lenti fino a un angolo di circa 15°: un risultato record se paragonato ad altre tecnologie, che può essere ulteriormente aumentato usando configurazioni di lenti più complesse.
Avremo quindi presto un mantello a invisibilità come quello di Harry Potter? Be’, non ancora. Il mantello Rochester è fatto di lenti, il che rende difficile pensare di usarlo per realizzarne un qualche tipo di indumento. Ma le applicazioni tecnologiche possono comunque essere svariate e notevoli. La prima viene dallo stesso Howell, che ha immaginato il vantaggio per i chirurghi di guardare “attraverso” le proprie mani direttamente ai tessuti che stanno operando.
Insomma, se il sogno dell’invisibilità non è ancora alla nostra portata, i passi che stiamo facendo per raggiungerlo sono sempre più spediti.
Nota
per i curiosi
Se
volete cimentarvi nella costruzione del mantello Rochester, avete bisogno di
due coppie di lenti. Le lenti della prima coppia (chiamiamole 1 e 2) dovranno
avere una certa lunghezza focale f1, quelle della seconda
coppia (3 e 4) un’altra lunghezza focale f2.
Disponete le
lenti 1 e 3 in modo che tra esse vi sia una distanza t1 = f1
+ f2. Fate la stessa cosa con le lenti 4 e 1. Ora allineate
le due coppie 1-3 e 4-1 (in quest’ordine!) in modo che tra 3 e 4 ci sia una
distanza t2 = 2f2(f1 + f2)/(f1
– f2), e il gioco è fatto. Per il loro studio, Howell e Choi
hanno usato due coppie di doppietti acromatici di diametro 50 mm
e lunghezze focali f1 = 200 mm e f2 = 75
mm.