fbpx Le nuove prospettive di ricerca sulla SLA | Scienza in rete

Le nuove prospettive di ricerca sulla SLA

Tempo di lettura: 8 mins

Lo scorso 26 settembre, presso il Centro Congressi Fondazione Cariplo a Milano, si è svolta la V edizione del Convegno scientifico nazionale di AriSLA - Fondazione Italiana di ricerca per la SLA.
L’evento dal titolo NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA. PER UN FUTURO SENZA SLA! rappresenta il consueto appuntamento della Fondazione con la comunità scientifica nazionale e internazionale che si occupa di Sclerosi Laterale Amiotrofica.
Un’occasione preziosa per far conoscere i risultati dei progetti di ricerca sostenuti e finanziati da AriSLA attraverso la sua Call annuale - dal 2009 infatti siamo impegnati ogni anno nell’investire in ricerca scientifica sulla SLA circa 1 milione di euro, per finanziare progetti di ricerca di base, traslazionale, clinica e tecnologica secondo un attento processo di valutazione in peer review - ma è anche un appuntamento con i maggiori esperti che nel mondo si occupano di SLA e che si mettono al servizio dei ricercatori italiani per la diffusione della conoscenza sulla malattia.

I nuovi modelli in vivo e in vitro utilizzabili per la ricerca nell’ambito della SLA

In particolare quest'anno, main topic del Convegno sono stati i nuovi modelli in vivo e in vitro utilizzabili per la ricerca nell’ambito della Sclerosi Laterale Amiotrofica, argomento di grande rilevanza per questa malattia, data la scarsa efficacia dei modelli finora utilizzati nell’identificare nuove molecole terapeutiche.
La sintesi delle relazioni, qui di seguito presentate, vuole dare l’idea dei temi affrontati e delle questioni poste alla riflessione e alla discussione dei presenti: tutti i dettagli degli interventi, con gli atti del Congresso sono presenti sul sito scientifico di AriSLA.
La giornata si è aperta con la lectio magistralis di Stanley Appel - Methodist Neurological Institute di Huston, Texas - che ha approfondito il ruolo della neuroinfiammazione nella SLA. Partendo dall’osservazione sperimentale che cellule della microglia di tipo M1 risultano essere maggiormente espresse nella fase di progressione della malattia, mentre cellule di tipo M2 sono più presenti in fase stabile, lo scienziato ha illustrato l’ipotesi che una corretta modulazione tra queste diverse componenti del sistema immunitario possa rallentare l’avanzamento della SLA. Questa differente espressione potrebbe essere utilizzata anche come biomarcatore di progressione di malattia, per distinguere i pazienti “fast progressing” dai pazienti “slow progressing”.

La sessione mattutina è proseguita con la presentazione dei risultati conclusivi di due progetti finanziati da AriSLA nell’ambito delle Call annuali: due Full Grant (IPSALS, Giacomo Comi - Università degli Studi di Milano - e ALSMNDTDP-43, Fabian Feiguin - International Center for Genetic Engineering and Biotechnology ICGEB, Trieste).
Giacomo Comi ha presentato i risultati ottenuti in vitro e in vivo sull’utilizzo dell’iPSC-Induced pluripotent stem cells come potenziale strumento terapeutico. In un recente articolo pubblicato dal gruppo di ricerca è stato infatti dimostrato come il trattamento con cellule staminali neurali (NSC) differenziate a partire da iPSCs si sia rivelato efficace in un modello murino di SLA. In particolare si è dimostrato come il trapianto sistemico, e minimamente invasivo, si sia rivelato la migliore via di somministrazione, rispetto all’intratecale, intracerebrale e intraspinale. Gli animali trapiantati hanno mostrato un significativo aumento della sopravvivenza. Dallo studio si può concludere che le iPS rappresentano un buon modello per l’analisi dei meccanismi di malattia e sono da considerarsi anche molto promettenti nel loro potenziale utilizzo per terapie cellulari per la SLA e per le altre malattie neurodegenerative.

A seguire, l’intervento di Fabian Feiguin si è focalizzato sull’utilità del modello di Drosophila melanogaster, o moscerino della frutta, per lo studio e la comprensione della cause dell’insorgenza della SLA. Molti dei geni legati alla malattia, come TARDPB che codifica per la proteina TDP-43, sono infatti in buona parte conservati nella Drosophila.
Il gruppo di ricerca ha creato un modello di malattia che non esprime TDP-43, dimostrando che la proteina ha un ruolo essenziale nel sistema nervoso, al fine di regolare il comportamento locomotorio e la sopravvivenza e, grazie all’omologia funzionale dei geni nelle due specie, la ri-espressione della proteina umana è in grado di rispristinare la funzione fisiologica.

Sul tema dei modelli per lo studio della SLA sono anche intervenuti esperti internazionali, che hanno presentato lo stato dell’arte e le prospettive future legate allo sviluppo di nuovi modelli e alla validità di quelli attualmente in uso.
Nell’ordine, Wim Robberecht dell’Università di Leuven, Belgio, ha fornito una panoramica dei diversi organismi modello tra cui il Saccaromyces cerevisiae, Drosophila melanogaster, Caenorhabditis elegans e Danio rerio, e Mus musculus, elencandone pregi e difetti come strumenti per mimare la SLA. Questi modelli hanno permesso di fare grandi passi avanti nell’identificazione di possibili meccanismi e cause della patologia, ma non si sono dimostrati altrettanto adeguati fino ad oggi per individuare una terapia efficace.
La difficoltà nell’utilizzare i risultati ottenuti nel modello animale sull’uomo, infatti, nascono principalmente dall’assenza di un buon modello di malattia, che sia rappresentativo dei pazienti SLA sporadici, i quali rappresentano il 90% della popolazione che è colpita dalla malattia.

Il tema della IPS è stato affrontato anche da Nicholas Maragakis, della John Hopkins University di Baltimora, che si è focalizzato sulle potenzialità di queste cellule nel ricreare in laboratorio le caratteristiche specifiche della malattia e nel riprodurre l’eterogeneità dei pazienti SLA.
Nonostante i numerosi e promettenti studi sull’utilizzo delle iPSCs come modello di malattia, Maragakis ha sottolineato l’evidente necessità di comprendere fino a che punto esse siano in grado si ricapitolare i meccanismi in atto nell’intero organismo, ed il bisogno di valutare come differenti laboratori possano ottimizzare e standardizzare i protocolli di differenziamento e di analisi dei dati.

Nuove strade per la cura della malattia

Ma le nuove prospettive di ricerca sono anche rappresentate dai progetti di ricerca traslazionale ad alto potenziale innovativo, finanziati da AriSLA e giunti a termine nel 2014, dei quali sono stati esposti i risultati nella sessione pomeridiana del Convegno. I progetti presentati, orientati a identificare un trattamento per la malattia, rappresentano la ricerca più vicina al paziente finanziata dalla Fondazione.
Nel progetto PRALS, Full Grant presentato da Nadia D’Ambrosi - Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - è stato discusso il ruolo della microglia nella SLA, con particolare riferimento alla modulazione del recettore p2x7, un canale cationico ligando-dipendenti che si apre in risposta al legame dell'ATP e che provoca depolarizzazione cellulare, ritrovato aumentato nella microglia dei topi SOD1 G93A.
I risultati esposti suggeriscono che p2x7 svolge una duplice funzione: la sua ablazione costitutiva determina un peggioramento della malattia, mentre la sua inibizione, nella fase pre-asintomatica tardiva, ne migliora la progressione. Il recettore può dunque considerarsi un gene “modifier” della SLA.
Con il progetto GOALS Paolo Edomi, dell’Università degli Studi di Trieste, basandosi su evidenze riguardanti un meccanismo autoimmune alla base della SLA, ha cercato di individuare nel siero di pazienti autoanticorpi specifici da poter utilizzare come biomarcatori per la diagnosi e la prognosi della malattia.
I risultati presentati confermano il ruolo dell’autoimmunità nella SLA e suggeriscono nuove potenzialità di utilizzo di questa tecnologia.

Gianluca Cestra, del CNR di Roma, ha presentato i risultati del progetto FUSinteractor, studiando nel modello di Drosophila la rilevanza funzionale dell’interazione tra FUS, una proteina nucleare coinvolta nell’insorgenza della SLA, e due proteine NonA e Pur-alpha, coinvolte nella regolazione dell’espressione genica.
I risultati suggeriscono che le due proteine, bloccando la traduzione proteica e controllando la formazione degli stress granules, potrebbero essere coinvolte nella patogenesi della SLA associata a mutazioni di FUS.
Luca Muzio, della Fondazione Centro San Raffaele di Milano, ha presentato i risultati del progetto ALS-MAI, relativi al trattamento di topi SOD1 G93A con Interleuchina 4 (IL-4), mediante singola iniezione nello spazio intraventricolare. La terapia con IL-4 si è dimostrata efficace nel modulare la microglia verso il sottotipo protettivo M2 nel midollo spinale, migliorando il fenotipo clinico ed il deficit motorio nei topi maschi.

Nel suo intervento Valentina Bonetto, dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha presentato i dati del progetto ecypALS, il cui obiettivo è stato quello testare nuovi approcci terapeutici basati sulla modulazione della CyclophillinA (CypA) extracellulare - in vitro e in vivo - su modelli murini di SLA.
In particolare è stato selezionato un composto chiamato MM218, in grado di bloccare la Ciclofillina A, secreta dalle cellule in maniera aberrante in topi SOD1 G93A. Il composto ha dimostrato di essere ben tollerato in vivo e di promuovere un aumento della sopravvivenza e un miglioramento delle performance motorie. Potrebbe dunque essere considerato un buon candidato per lo studio di una possibile terapia nell’uomo.

Da ultimo, Monica Nizzardo - Università gli Studi di Milano - Principal Investigator del progetto ALSsiMO, ha presentato i risultati relativi all’utilizzo di oligonucleotidi antisenso diretti contro la proteina SOD1 mutata come possibile terapia nella SLA. E’ stato testato in topi SOD1 G93A l’oligomero antisenso morfolino (MO), che lega l’mRNA target e ne inibisce la traduzione ed ha il vantaggio di avere un’eccellente biodistribuzione e un ottimo profilo di efficacia senza risultare tossico. Il trattamento con il MO si è rivelato efficace nel migliorare le performance motorie e la sopravvivenza dei modelli animali e ha mostrato un effetto protettivo verso i motoneuroni.

La sintesi di quanto discusso in una lunga giornata di lavoro trasferisce la vivacità scientifica dei ricercatori italiani e la molteplicità degli stimoli affrontati: ogni risultato presentato e dibattuto in sala contribuirà certamente a dare impulso al loro lavoro di ricerca.
L’appuntamento per la VI edizione del Convegno Scientifico di AriSLA è per il prossimo settembre 2015.

Per prendere visione degli atti del Convegno www.alscience.it

Ufficio Scientifico di AriSLA


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.