fbpx Stereotipi e violenza di genere nella comunicazione | Scienza in rete

Stereotipi e violenza di genere nella comunicazione

Read time: 3 mins

Il sessismo è fin troppo presente, sia implicitamente sia esplicitamente, nella comunicazione mediatica. Dalle notizie di cronaca alla pubblicità, la figura della donna è sottoposta costantemente a una discriminazione di genere.
La violenza di genere, in particolare, è un argomento che occupa sempre più spazio sui mezzi di comunicazione. La narrazione dei femminicidi entra nel discorso pubblico ancora principalmente attraverso la cronaca, sulla carta stampata, in radio, televisione o in rete. Spesso troviamo riportate “autogiustificazioni” da parte di assassini rei confessi come “L’ho uccisa perché l’amavo”, assunte poi come frasi emblematiche dai titoli dei vari media. Ma così presentando i delitti sulle donne cadono nella trappola fatale dell’uso di uno schema narrativo stereotipato che contribuisce a consolidare i presupposti culturali del dominio maschile.

L’utilizzo di parole come passione, impulso, raptus per raccontare questi tipi di abusi non fa altro che avanzare giustificazioni per questa violenza che più che privata è collettiva. La violenza di genere è infatti raramente frutto di un raptus momentaneo. Gli omicidi di donne, come qualunque altro delitto di genere, sono meditati, coltivati e alimentati da un rancore che cresce con il tempo. Troppo spesso però, l’atto omicida viene descritto come risultato di un attacco di follia, di una sindrome depressiva o persino di un eccesso d’amore.

In questo modo, gli aggressori vengono dipinti come vittime dell’irrazionalità o di patologie cliniche di fronte alle quali non possono opporre resistenza. Le vittime, quindi, sono giudicate in qualche modo colpevoli di avere scatenato la furia dell’omicida attraverso atti come l’abbandono, il tradimento oppure la scelta di una vita autonoma. In questo modo, la violenza non appare più come frutto di un disegno razionale, bensì come una reazione involontaria a comportamenti della donna che, a differenza dell’uomo, è invece nel pieno della proprie facoltà.

Così facendo, la vittima reale diventa quasi il “vero” carnefice mentre il reale carnefice diventa la “vera” vittima. Questa trappola comunicazionale ha il vantaggio di rendere la narrazione di queste tragedie più interessante, ma in maniera implicita attribuisce colpe dietro il paravento di uno stereotipo di genere e formula giudizi su comportamenti assegnando ai protagonisti ruoli contrari alla realtà.
Il neologismo “femminicidio” comprende tutte quelle forme di violenza che culminano con l’uccisione di una donna derivate da pratiche, relazioni e discriminazioni misogine rivolte alle donne in quanto tali.
I giornalisti dovrebbero evitare di formulare giudizi sommari sulle vittime, facendo a meno dell’uso  di cornici sensazionalistiche o di un sostegno superficiale a diffusi stereotipi di genere attraverso l’esplicitazione della propria opinione.

Negli ultimi anni comunque, il lavoro realizzato da attivisti ed esperti di comunicazione, soprattutto donne, sta portando a un aumento del livello di consapevolezza generale che, per quanto ancora limitato, contribuisce a smuovere le fondamenta culturali della violenza di genere. La diffusione del termine femminicidio, nato all’interno dei movimenti femministi negli anni Novanta, ad esempio, è segnale di progresso, poiché permette di leggere i fatti di cronaca attraverso una prospettiva che restituisce complessità sociale e di genere a quelli che altrimenti verrebbero descritti come semplici “raptus”.

Gemma Pérez Forniés


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La contraccezione di emergenza e il mistero dei “criptoaborti”

Il comitato anti-aborto denominato Osservatorio permanente sull’aborto sostiene che i contraccettivi di emergenza come la pillola del giorno dopo causino "criptoaborti" e insiste su una presunta azione abortiva non riconosciuta dalla comunità scientifica, che afferma chiaramente la natura contraccettiva di questi farmaci. È un movimento, sostenuto anche dall'Associazione ProVita e Famiglia, che porta avanti una campagna più ampia contro tutti i contraccettivi ormonali.

Sono 65.703 le interruzioni volontarie di gravidanza registrate dall’ISTAT nel 2022 in Italia. Il numero è calato progressivamente dal 1978, quando è entrata in vigore la legge 194, che regolamenta l’aborto nel nostro Paese. Un comitato di ginecologi e attivisti dell’Associazione ProVita e Famiglia, però, non è d’accordo: sostiene che sono molte di più, perché aggiunge al computo 38.140 fantomatici “criptoaborti” provocati dall’assunzione dei contraccettivi ormonali di emergenza, la pillola del giorno dopo e quella dei cinque giorni dopo.