Sul tema ci sono alcuni argomenti scientifici particolari che sono stati costantemente alla ribalta negli ultimi anni nel nostro Paese. Argomenti particolari perché scientifici ma con forte impatto sui media e sulle scelte politiche. Argomenti caldi di quella interrelazione che a livello internazionale è definita come “science-policy interface”.
A titolo esemplificativo proviamo ad analizzare insieme due
semplici proposizioni:
a) nella Terra dei Fuochi mortalità e tumori in
eccesso sono dovuti all’ambiente inquinato dal trattamento illegale dei rifiuti
pericolosi;
b) nella Terra dei Fuochi mortalità e tumori in
eccesso sono dovuti agli stili di vita della popolazione residente.
Non è un esercizio accademico perché sono due proposizioni facilmente
ritrovabili sui media, la maggior parte delle volte interpretate e usate in
contrapposizione.
Le stesse due frasi erano due delle ipotesi sulle quali
abbiamo iniziato a fare ricerca oltre un decennio addietro, con un gruppo di
lavoro comporto da Oms, Iss, Cnr e regione Campania.
Nell’approccio scientifico post-galileiano, secondo una
logica induttiva le ipotesi vengono formulate per essere poi accettate o
rifiutate attraverso un processo definito inferenziale (l’inferenza statistica
è un insieme di metodi con cui si cerca di trarre una conclusione sulla
popolazione in base ad informazioni ricavate da un campione).
In pratica dopo la formulazione dell’ipotesi essa prevede la
valutazione della probabilità di ottenere quei risultati nella popolazione se
l’ipotesi di partenza fosse vera.
A valle del calcolo dei valori corrispondenti ai dati nel
campione (es. media del campione), si stimano i parametri nella popolazione in
base ai risultati forniti dal campione (inferenza).
Questo percorso, fondamentale per la costruzione dell’evidenza
scientifica, lo è in particolare quando studiamo fenomeni biologici affetti da
elevata variabilità.
Un processo poco o per niente conosciuto da parte dei soggetti
pubblici potenziali utilizzatori dei risultati, cittadini e decisori, che al contrario
dell’apparenza non è difficile da comprendere e la sua comprensione è un punto
chiave.
Per completezza bisognerebbe anche parlare dell’approccio
deduttivo e di test per falsificazione, come proposto da Popper, ma di questo parleremo
un’altra volta.
Parzialità, riduzionismo e ideologia allontanano dai risultati empirici realmente ottenuti
Dieci anni di studi hanno prodotto e consegnato molti
risultati scientifici sulla base dei quali si può rispondere sulle due
proposizioni-ipotesi, e alla fine di questo breve intervento non mi sottrarrò a
questo. Penso che questo sia il primo snodo critico, forse proprio la
fonte dei successivi errori e distorsioni interpretative.
Qui si inserisce il primo elemento di anomalia: oggi le due
proposizioni vengono spesso declinate utilizzando solo una parte dei risultati
scientifici o anche nessun risultato scientifico. Parzialità, riduzionismo e
ideologia diventano le strutture portanti del pensiero e allontanano dai
risultati empirici realmente ottenuti.
Quale l’impatto di ritenere che il problema principale sia
quello degli stili di vita o dell’inquinamento ambientale? Un punto focale che
riguarda tante situazioni e circostanze diverse, basti pensare alle
affermazioni riguardanti il ruolo del fumo di tabacco a Taranto postulato in
opposizione ai risultati sul ruolo del risiedere nei quartieri più esposti a
inquinamento industriale di Tamburi e Paolo VI. Nozioni apparentemente paradossali
ma che comunque avanzano o meglio insinuano una ipotesi alternativa rispetto a
quella principale dell’inquinamento ambientale.
E’ vero che l’ipotesi alternativa è parte integrante del
processo inferenziale, ma per essere degna, al pari di quella principale, deve
poggiare anch’essa su basi corroborate da dati empirici robusti e replicabili.
Questo per evitare che di volta in volta siano buttate nell’arena, spesso non
scientifica ma mediatica, ipotesi prive di senso, che aumentano la confusione
col doppio scopo di depotenziare gli studi “ufficiali” e distogliere
dall’obiettivo principale che dovrebbe essere quello della prevenzione
primaria.
Poco importa se ipotesi strampalate si sciolgano poi
velocemente come neve al sole, l’importante è comunque aver aumentato la
percezione che i dati scientifici resi disponibili da studi provati siano
affetti da incertezza.
Sull’incertezza apriremo in seguito una finestra dedicata e
in questa sede mi limiterò ad asserire che la sua spiegazione è un altro
compito fondamentale dei ricercatori che si vogliano misurare con la
pubblicizzazione delle proprie ricerche. Infatti, l’incertezza è ineliminabile
ma si può limitare, spiegare, gestire.
A questo punto possiamo tornare alle due proposizioni di partenza sulla Terra dei Fuochi sulle quali la risposta che ritengo si possa dare in scienza e coscienza si possa articolare come segue:
- i risultati degli studi di epidemiologia ambientale segnalano in modo concordante una associazione tra residenza in aree con maggiore impatto da rifiuti pericolosi e eccessi di mortalità-incidenza per cause tumorali e non tumorali, tutti questi studi sono basati sulla residenza in comuni o aggregati di comuni;
- i risultati delle principali indagini su fattori di rischio individuale, dagli abusi di sostanze illecite, al fumo, all’alcol, la scolarità, le condizioni socio-economiche, l’obesità, la sedentarietà e altro ancora hanno confermato una criticità in Campania e in particolare nelle province di Napoli e Caserta (si vedano ad esempio gli studi PASSI e OKkio alla Salute dell’ISS;
- gli studi svolti considerando l’impatto da rifiuti insieme ai fattori socio-economici (indice di deprivazione) hanno mostrato una rilevanza di quest’ultimi : al proposito è interessante leggere con attenzione il lavoro del gruppo Oms-Iss-Cnr pubblicato nel 2009 che evidenzia il ruolo della deprivazione socio-economica quando si considera congiuntamente al rischio ambientale;
- i tipi degli studi effettuati fino ad oggi non hanno permesso la quantificazione esatta per il semplice motivo che nessuno studio era programmato per questo, nonostante sia stato più volte proposto;
- la dimensione del rischio ascrivibile ai due tipi di rischio, individuale e ambientale, è verosimilmente dello stesso ordine di grandezza;
- i gruppi di ricercatori impegnati a studiare rischi individuali e rischi ambientali concludono, spesso indipendentemente, che i risultati disponibili sono sufficienti a programmare e effettuare azioni di prevenzione primaria mirati ai rischi emersi nelle aree studiate.
un’epidemiologia costruita intorno al concetto di “fattore di rischio” deve confrontarsi anche con la pratica
Questi elementi
sono di primaria importanza non solo sul piano del dibattito teorico ma anche
per le implicazioni sul piano pratico. Infatti, la conoscenza dei fattori di
rischio e di come questi agiscono a livello individuale e collettivo è
fondamentale se si vogliono mettere a punto strategie per la loro attenuazione
o rimozione nella popolazione. Il tema è quanto mai di attualità nella realtà
sociale odierna, in cui la crescita di autonomia e di libertà personali si
accompagnano ad individualismo crescente.
Ciò ha profonda e diretta attinenza
con gli obiettivi del sistema sanitario in generale e con la promozione della
salute più in particolare, in quanto l’enfasi sull’individualità apre la porta
ad un pericoloso sbilanciamento tra politiche rivolte all’individuo e alla
comunità. Infatti, una maggiore attenzione alle scelte mirate a cambiamenti
personali (per esempio di comportamento o di stili di vita) presenta il forte
rischio di deprimere le strategie di interventi preventivi e di medicina
comunitaria.
Il favore di cui
questa opzione gode appare ancora più evidente se si considera che le campagne
incentrate sullo stile di vita sono assai attraenti per le persone che vi
intravedono la soluzione ai loro problemi, mentre le azioni di prevenzione
primaria basate su politiche ed azioni collettive sono più complesse e
sollevano interessi contrapposti. Due
esempi esplicativi sono da una parte le grandi attenzioni a prodotti/azioni per
combattere l’eccesso di colesterolo, dagli integratori alimentari alle attività
fisiche ai farmaci, dall’altra le difficoltà di introdurre misure di
limitazione del traffico nelle città che suscitano interessi divergenti,
scetticismi e contrarietà.
Tutto ciò è sicuramente poco legato alle prove di
efficacia realmente esistenti, ma piuttosto a come certe azioni e prodotti sono
promossi e commercializzati.
Dunque, un’epidemiologia costruita intorno al
concetto di “fattore di rischio” deve confrontarsi anche con la pratica, e
modellarsi per offrire conoscenze e strumenti non solo alle azioni volte alla
sensibilizzazione dell’individuo ma anche a quelle di medicina di comunità,
specie nel campo dell’epidemiologia ambientale nel quale si va affermando la
necessità di competenze di medicina ambientale. Molto spesso le azioni mirate
sul singolo individuo si prestano più facilmente per organizzare campagne di
promozione della salute rispetto ad interventi tesi a modificare il livello di
rischio a cui è sottoposta una comunità o addirittura una popolazione.
Per questo motivo non bisogna sottovalutare le
conseguenze dannose che possono derivare dal porre al centro delle politiche di
sanità pubblica i fattori di rischio individuali in alternativa a quelli
collettivi. Il meccanismo su cui prestare massima attenzione è quello della
“privatizzazione del rischio” che si genera dando responsabilità all’individuo
rispetto alla propria salute, elemento di per se positivo.
L’assunzione del
rischio come elemento di esperienza personale, porta alla colpevolizzazione per
il danno subito, fino ad addebitare la responsabilità della malattia. Una
sanità pubblica caratterizzata da attenzione più sull’individuo che sulla
comunità contribuisce alla perdita di appartenenza alla comunità e di
partecipazione individuale alle scelte collettive.
In conclusione, se oggi nella Terra dei Fuochi, come in tante altre aree inquinate, si volessero basare le scelte sulle conoscenze scientifiche disponibili non ci dovrebbe essere alcuna contrapposizione tra rischi da esposizioni ambientali e da stili individuali ma un intervento combinato a scopo preventivo e la programmazione di studi più evoluti.