Il 6 aprile 2009, alle ore 3:32 locali, un scossa di terremoto – di magnitudo Richter 5,8 – colpì la zona dell’Aquila, facendo quasi 300 vittime. Nei giorni precedenti, un tecnico operante nei laboratori di fisica del Gran Sasso, Gioacchino Giuliani, meglio noto con il nome di Giampaolo, aveva lanciato un allarme terremoto per la città di Sulmona (che dista circa 70 km dall’Aquila), basandosi sui dati forniti da una tecnica di sua “invenzione”, secondo la quale l’aumento delle emissioni di gas radon dal terreno è un indicatore affidabile di un imminente sisma. In pratica, secondo la testimonianza dello stesso Giuliani (che di professione non è geofisico né sismologo), usando il gas radon come precursore sismico, è possibile “prevedere” un terremoto con 6-24 ore di anticipo in un raggio di 120-150 km dal punto di rilevazione.
La ricerca: obiettivi e metodo
La grande eco mediatica avuta in quei giorni dalle dichiarazioni di Giuliani mi ha indotto ad analizzare da vicino i loro effetti sulla percezione pubblica della scienza, e, in particolare a verificare le reazioni del pubblico della rete, considerato come un interessante campione della popolazione italiana. Così, nei giorni successivi al sisma, ho effettuato un’ampia rassegna in rete (siti, blog, forum) e nei “social network”, analizzando non solo i testi, gli audio e i video pubblicati sull’argomento, ma anche e soprattutto i commenti dei lettori, utili appunto a fornire il quadro di percezione della vicenda da parte del pubblico.
Analisi dei risultati
L’annuncio dell’imminenza di un sisma a Sulmona – mai arrivato – aveva già portato Giuliani agli onori della cronaca alla fine di marzo, sia per aver gettato la popolazione nel panico, sia per aver ricevuto una denuncia da parte della Protezione Civile per “procurato allarme”. Ma il terremoto dell’Aquila, anch’esso, a detta di Giuliani, facilmente prevedibile con i suoi strumenti, divenne immediatamente occasione per tutti i media di approfondire quanto da lui sostenuto, in particolare in un’ottica di contrapposizione fra Giuliani e la “scienza ufficiale” (rappresentata dalla Protezione Civile e dagli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, INGV), che sosteneva con forza l’impossibilità di prevedere i terremoti. La mattina del 6 aprile Giuliani è già un “personaggio”, assieme a Berlusconi, Bertolaso (capo del Dipartimento della Protezione Civile), Boschi (all’epoca presidente dell’INGV). Viene intervistato da tutte le principali testate giornalistiche (Rai, Mediaset, La7, Sky, Repubblica, Corriere ecc.), e nei giorni successivi è presente – di persona o semplicemente citato – in diverse trasmissioni televisive di approfondimento. Ma la sua parabola sui media principali è rapida: pochi giorni dopo, le polemiche sulle previsioni lasciano il campo a polemiche di altro genere.
Non altrettanto rapida è la sua parabola in Internet. Anzi. Giuliani fa la sua comparsa in rete in corrispondenza con la previsione del terremoto a Sulmona, prima su alcuni blog locali, immediatamente dopo su alcuni “social network”, in particolare su Facebook e Twitter. Su molti blog e su Facebook, in particolare, Giuliani assume presto il duplice ruolo di “anti-Bertolaso” da un lato (lettura in chiave politica) e di “anti-INGV” dall’altro (lettura in chiave scientifica). Fra i nomi dei gruppi e i commenti dei membri sono infatti ricorrenti espressioni che invocano Giuliani come eroe nazionale, che chiedono le dimissioni di Bertolaso o che criticano la “scienza ufficiale”.
Così, la vicenda di Giuliani diventa simbolo – e continua ad esserlo ancora oggi, grazie all’opera di alcuni blogger influenti – della quotidiana “lotta” fra l’individuo inerme e l’establishment politico-scientifico-mediale, a rinnovare in molti la convinzione che la “scienza ufficiale è male”, soprattutto se associata alla “politica” (come nel caso in esame). Lo dimostrano le decine di migliaia di fan di Giuliani e le centinaia di migliaia di commenti, tweet e post in suo favore, la maggior parte dei quali espressi in maniera acritica se non addirittura fideistica. Eppure chi accede alla rete potrebbe facilmente arrivare alle fonti e documentarsi ampiamente su tutto, e in particolare su quanto afferma proprio la “scienza ufficiale”, sulla e della quale Internet fornisce ogni informazione e risultato.
Conclusioni
E’ evidente che nel caso in esame ci troviamo di fronte a una forma di “digital divide” scientifico-culturale: avere accesso alla rete non equivale ad avere accesso alla conoscenza. Per questo motivo, la rete negli anni è diventata amplificatore di posizioni anti-scientifiche, ricettacolo di “teorie del complotto” e, purtroppo, anche sapiente “miscelatore” di fatti con opinioni.
E’ inoltre interessante osservare che qui la rete si è rivelata ancora una volta non particolarmente indipendente dai mainstream media: nella maggior parte dei casi, infatti, i commenti e i post citavano quello che era stato trasmesso dalla televisione o pubblicato dai giornali.
Davanti a un fronte accusatorio così massiccio, la “scienza ufficiale” non è certamente in grado da sola di sostenere e verificare gli esiti delle proprie affermazioni. Da qui il rafforzamento della necessità di diffondere i propri risultati e di fare buona divulgazione della scienza, soprattutto in rete, non solo da parte degli scienziati stessi, ma anche – e forse soprattutto – di giornalisti, esperti e appassionati, per i quali si potrebbe ipotizzare una sorta di “accreditamento”.