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La conoscenza scientifica per rilanciare l'economia

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In che misura l’aumento esponenziale delle conoscenze scientifiche ha cambiato il DNA del mondo in cui viviamo e quali sono le importanti implicazioni che ne derivano? Questa domanda sta al cuore del breve (ma denso) saggio di Sergio Ferrari “Società ed economia della conoscenza” nel quale l’autore intende mettere a fuoco i processi che hanno portato a un sempre più fitto intreccio tra crescita delle conoscenze scientifiche e sviluppo economico e a una profonda trasformazione delle dinamiche che condizionano quest’ultimo.

Per entrare in questa prospettiva non è sufficiente l’osservazione dei soli effetti apparenti del progresso tecnico sulla crescita economica, ma bisogna ragionare sulla capacità di innovazione delle applicazioni della scienza in risposta alle necessità del mondo reale e su come le stesse dinamiche dello sviluppo sollecitano il progresso scientifico. Ferrari pone pertanto all’attenzione il fatto che il crescente ruolo assunto dall’innovazione tecnologica nello sviluppo dell’economia contemporanea “traduce il cambiamento delle relazioni tra conoscenza scientifica e applicazioni tecnologiche”. L’innesco del processo cumulativo dello sviluppo ha fatto sì che il progresso tecnologico si imponesse man mano in forme più composite, rendendo sempre più articolato e sofisticato il rapporto tra scienza e tecnologia e sempre più sfumato il confine tra le cosiddette innovazioni “radicali” e quelle “incrementali”. In altri termini, l’innovazione non è più il frutto episodico di una qualche invenzione rilevante (come accadeva agli albori della rivoluzione industriale) mentre l’estensione ormai raggiunta dalle conoscenze scientifiche e tecnologiche consente di elaborare le soluzioni innovative più efficaci rispetto ad obiettivi di “qualità dello sviluppo”. Ed è questo il passaggio cruciale. L’”innovazione” cessa di essere un fatto occasionale per diventare strumento di “programmazione” dello sviluppo traendo a sua volta da quest’ultimo ulteriori stimoli.
Per Ferrari tutto questo rappresenta la piena realizzazione della visionaria concezione del rapporto tra sviluppo e innovazione, che si deve a Joseph Schumpeter agli inizi del ‘900, quando l’impatto del cambiamento tecnologico sulla dinamica economica cominciava già ad essere consistente e a manifestare connotati differenti da quelli emersi con la prima rivoluzione industriale. L’innovatore “demiurgo” di Schumpeter, che “distrugge un presente non più interessante, per poter costruire così un nuovo sistema basato su nuovi prodotti e nuovi servizi”, è colui che mette in moto lo sviluppo (determinando una dinamica economica qualitativamente differente da quella del passato) e che ne imprime la direzione.

La storia del ‘900 – in particolare quella successiva al secondo dopoguerra – mostra chiaramente come il corso dello sviluppo contemporaneo sia stato sempre più segnato da dinamiche di tipo schumpeteriano. Ma l’importanza di questa storia sta soprattutto nel far emergere che dietro alle innovazioni dell’età contemporanea esiste una “progettualità” di fondo che attinge al patrimonio delle conoscenze scientifiche accumulate per fornire soluzioni alla domanda di trasformazione che lo stesso processo di sviluppo genera e che coinvolge tutti gli attori del sistema socio-economico. Questa “progettualità” vive in una dimensione sistemica in cui occupano un posto ben preciso fattori essenziali per l’innesco di ogni processo innovativo e che per questo possono essere definiti i pilastri di un Sistema Nazionale dell’Innovazione: La base delle conoscenze (che prende forma nel patrimonio umano presente nelle diverse strutture di ricerca); una finanza specificamente orientata allo sviluppo delle tecnologie; una managerialità capace di mettere in rapporto il progresso tecnologico e la realizzazione di politiche per lo sviluppo. Tutto questo traduce l’enorme potenzialità della conoscenza scientifica come nuovo strumento delle politica economica, ma evidenzia anche l’enorme complessità che i processi innovativi sottendono, ancorché “programmabili”. E non si tratta della sola dimensione finanziaria - che pure occupa un posto assai rilevante, considerato l’elevato onere di investimento richiesto ai progetti innovativi a fronte di una redditività differita in un futuro dagli esiti incerti – ma anche di questioni – che investono i tratti dello sviluppo - che si richiamano a una dimensione “etica, politica e sociale”. In altri termini, in quanto strumento influente sul corso dello sviluppo e in quanto “programmabile”, l’innovazione dovrà sempre accompagnarsi a una capacità di visione dello sviluppo, entro una sfera di “responsabilità” di tipo pubblico, non ultima quella di esprimere politiche di promozione della ricerca che non trascurino  mai l’essenziale componente “curiosity driven” di questa attività.

Per quanto complesso, il percorso è comunque segnato, e non è oramai più possibile fuoriuscire dalle logiche della società e dell’economia della conoscenza. In questo senso il caso dell’Italia – a cui Ferrari dedica una buona parte della trattazione - appare paradigmatico. Se si guarda alle vicende dell’Italia – sottolinea Ferrari – si capisce infatti che lo scarso accoglimento del Paese nei confronti dell’economia della conoscenza, e dunque lo scarso peso assegnato a politiche per lo sviluppo della ricerca e a politiche industriali per favorire la crescita di settori avanzati – diversamente da quanto avvenuto nei maggiori paesi occidentali – si è risolto in un processo di inarrestabile declino, di cui il versante economico non è che l’epifenomeno. La scarsa attenzione dedicata a questa specificità dell’Italia, attenzione che è divenuta pressoché nulla dall’inizio della presente crisi internazionale, rappresenta inoltre un’aggravante di tutta la situazione. Se non si coglie questo punto, anche l’auspicabile cessazione delle politiche di austerità non sarà sufficiente a riallineare l’economia italiana a quella degli altri maggiori partner europei. Ed è molta la strada che ad oggi il nostro Paese deve recuperare. Ma è molto lunga, in definitiva, anche la strada che l’Europa tutta deve percorrere – sottolinea Ferrari.
Puntando a superare i crescenti divari tra i suoi paesi e a realizzare gli obiettivi dei suoi padri fondatori nel segno del progresso civile e sociale. Obiettivi che –  concludiamo noi - la società della conoscenza può e deve realizzare, affinché il suo ingresso nella storia dello sviluppo umano abbia realmente un senso.


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