Il chimico russo Mendeleev costruì la tavola periodica degli
elementi organizzandoli in uno schema geometrico che ne riproduceva le
proprietà chimiche. Per mantenere la periodicità dello “schema”, Mendeleev
decise di lasciare vuote alcune posizioni: pensava che dovessero esistere degli
elementi, all’epoca non ancora noti ma di cui era in grado di predire le
proprietà. Tra questi elementi c’era quello che oggi chiamiamo gallio.
Quando
nel 1874 il francese Lecoq scoprì questo elemento, confermando che mostrava
esattamente le caratteristiche previste da Mendeleev, si capì di avere tra le
mani qualcosa di grosso.
Più o meno la stessa cosa accadde con la fisica delle
particelle nella seconda metà del Novecento. Una volta note le particelle
elementari (oggi ne contiamo 17) e messa a punto la teoria per descrivere le
loro interazioni (il cosiddetto Modello Standard), i
fisici erano in grado di predire l’esistenza di centinaia particelle composite,
cioè formate da particelle elementari.
Due di queste particelle sono state scoperte recentemente
dall’esperimento LHCb dell’acceleratore di particelle LHC, al CERN di Ginevra.
I risultati, ottenuti a partire da misurazioni effettuate tra il 2011 e il
2012, sono stati presentati con un preprint alla rivista Physical Review Letters.
Si tratta di due barioni, ovvero strutture costituite da 3
quark. I quark sono particelle elementari presenti in 6 tipi diversi: up,
down, charm, strange, top, bottom. I barioni
trovati dal team di LHCb appartengono alla classe dei cosiddetti “barioni Ξ”
(si legge: “xi”), che sono formati da un quark up o down e due
quark più pesanti. Quelli individuati dal team del CERN, in particolare, sono
fatti con un down, uno strange e un bottom (in breve: dsb).
Avendo gli stessi costituenti, le due particelle non sono
propriamente distinte: si dice che sono diverse “risonanze” (in parole povere,
versioni a energia differente) dello stesso barione Ξ di tipo dsb. La
differenza sta negli spin dei
quark, a seconda che siano allineati oppure no: è questo a creare la differenza
di massa tra le due particelle identificate (5,935 GeV e 5,955 GeV, circa 6
volte più della massa del protone).
«Questo è un risultato molto emozionante», afferma Steven
Blusk, ricercatore alla Syracuse University di New York che ha partecipato
allo studio. «Grazie all’eccellente sistema di identificazione di LHCb, che è
unico tra gli esperimenti di LHC, siamo stati in grado di separare un segnale
molto nitido dal background. Questo dimostra ancora una volta la precisione del
rilevatore di LHCb».
L’esistenza di queste particelle e i loro tassi misurati di
produzione e decadimento confermano in maniera eccellente le predizioni della cromodinamica
quantistica, che è la parte del Modello Standard che descrive le
interazioni tra quark tramite la forza nucleare forte.
Questa per i fisici teorici è una notizia buona e allo
stesso tempo deludente. Buona, perché fa sempre piacere ricevere una conferma
delle bontà delle nostre teorie; cattiva, perché non ci dice nulla di nuovo. Lo
spiega Patrick Koppenburg, fisico di LHCb, che sottolinea anche
l’importanza di proseguire in questo tipo di ricerche: «Se vogliamo scoprire
una nuova fisica oltre il Modello Standard, ci occorre innanzitutto un quadro
chiaro e definito. Questi studi ad alta precisione ci aiuteranno in futuro a
distinguere tra effetti previsti dal Modello Standard e qualcosa di nuovo o
inaspettato».