Il 26 novembre
2014, giorno di compleanno di Norbert Wiener, a 120 anni dalla nascita e 50
dalla morte, si terrà un Wiener’s day for Peace,
a Pisa, alle ore 15.30, ospitato dalla Scuola Normale Superiore, nella bella
Sala degli Stemmi.
Nonostante si
tratti di un solo denso pomeriggio, si può considerare un evento storico, se si
considera che per trovarne uno analogo, occorre riandare al “Wiener Memorial Meeting” dell’ottobre 1965 a Genova.
Esso ha
preso forma dall’aggregarsi di diverse sensibilità del mondo della scienza e
della cultura intorno ad un auspicio che esprimevo proprio su Scienza in Rete in Norbert
Wiener. Il matematico che avvistò il nostro tempo: “sarebbe bello che di
lui ci si ricordasse anche al di là delle scienze cosiddette hard, e non solo negli Stati Uniti”.
Scienza interdisciplinare,
etica e pacifica sono le tre parole chiave dell’evento. E sono tre dei concetti
fondamentali, non gli unici, su cui Wiener dopo Hiroshima e Nagasaki, per un
ventennio, riflette ad alta voce. Per essi si batte strenuamente, prendendo anche
posizioni controcorrente, impolitiche e personalmente costose.
Nell’articolo
appena citato, spiegavo come maturò e, infine, esplose la sua ribellione verso
la scienza americana, ma anche mondiale, uscita dalla Seconda guerra mondiale.
Una scienza che continuava in gran parte ad essere asservita a finalità
belliche, sottoposta a strette misure di segretezza, ammalata di gigantismo e
compartimentalizzata, dove l’individuo era un ingranaggio di una macchina estremamente
più grande di lui.
Qui vorrei aggiungere altri
elementi di riflessione su questa “ribellione”, legati
alle tre parole chiave scelte per il Wiener’s day. Nel
1940 Wiener, capo consulente per il calcolo automatico del comitato americano per
la preparazione della guerra, aveva proposto agli stati generali della scienza
statunitense, l’NDRC, di costruire un computer ultraveloce, dotato di un’ampia
memoria cancellabile e riscrivibile, magari utilizzante un dispositivo a raggi
catodici, come avrebbe fatto poi l’inglese Frederic Williams nel 1947 per il computer di
Manchester.
Wiener aveva
suggerito tale memoria, come pure l’adozione dell’elettronica e delle
rappresentazioni binarie dei numeri, per rendere il calcolo veloce e preciso, ed
altrettanto veloce la memorizzazione e la cancellazione dei risultati intermedi
prodotti nel corso delle lunghissime computazioni necessarie per trattare equazioni
come quelle della fluidodinamica, dello stesso tipo, cioè, di quelle che
sarebbero diventate di lì a poco il duro pane quotidiano dei fisici di Los
Alamos, John von Neumann in testa.
L’NDRC nel
1940, però, non aveva compreso l’importanza del progetto e tra il ’43 e il ’45 la
mesa di Los Alamos doveva traboccare di
miliardi di schede IBM, piene di ormai inutili risultati intermedi. Le macchine
IBM in dotazione, progettate alla Columbia University per calcoli astronomici e
attuariali, erano infinitamente lente rispetto ai problemi in gioco. Così von
Neumann fu autorizzato ad uscire ed entrare a suo piacimento da Los Alamos, per
cercare in tutta l’America algoritmi e macchine in grado di superare il pantano
matematico in cui si era intrappolati.
Da allora le
strade di von Neumann e Wiener, già in contatto da decenni, dalla fine del 1943
fino al 1945 iniziarono a sovrapporsi. Dietro la versione dell’ENIAC riadattata
con i consigli forniti da von Neumann alla Moore School e, tra le righe del “First Draft on the EDVAC”,
a firma di von Neumann, ma con tante parentesi lasciate in bianco, c’è
sicuramente anche la mano di Wiener, oltre che quella del suo assistente di
allora, il ragazzo prodigio Walter Pitts, di George Stibitz e di altri.
Solo dopo il
bombardamento nucleare del Giappone, Wiener si rese conto che le preoccupazioni
matematiche e di calcolo di von Neumann di quel frenetico biennio erano
finalizzate principalmente alla realizzazione della Bomba. Comprese che la
cibernetica, in quanto scienza dell’elaborazione dell’informazione, aveva già
mangiato la mela del peccato prima che fosse battezzata con quel nome, cosa che
avvenne con la pubblicazione del suo libro “Cybernetics” (1948),
dove leggiamo:
«Abbiamo contribuito alla nascita di una nuova scienza che […] comporta sviluppi tecnici con grandi possibilità per il bene e per il male. Non possiamo fare altro che consegnarla al mondo che ci circonda, e questo è il mondo di Belsen e Hiroshima. […] Il meglio che possiamo fare è agire in modo che un vasto pubblico comprenda le tendenze e gli aspetti di questo lavoro, e limitare il nostro impegno personale nei campi che, come la fisiologia e la psicologia, sono piú lontani dalla guerra e dallo sfruttamento».
La scelta di Wiener è molto simile a quella degli scienziati atomici critici che avevano dato vita al “Bulletin of Atomic Scientists”: creare un’opinione pubblica consapevole in grado di controllare democraticamente le innovazioni scientifiche. Rifiutò qualsiasi invito a lavorare nella nascente informatica, a suo parere troppo vicina alla guerra. E, come annunciava nel passo citato, continuò ad occuparsi di cibernetica limitatamente a quegli aspetti in cui essa era vicina alla fisiologia e alla psicologia. È per questo motivo che, per tutti, tranne che per Wiener, qualsiasi cosa fosse dotata del prefisso “cyber” era e sarà connessa con la computer science, con l’informatica. Mentre per la cibernetica di Wiener la mente corre a protesi per mutilati, a sussidi per ciechi, sordi, nonché a quello zoo di macchinette automatiche che popolava l’immaginario degli anni Cinquanta e dei primi Sessanta.
Ascoltatissimo dai falchi nelle alte sfere militari e politiche, nel contempo, von Neumann diventava il dottor Stranamore di Kubrick o almeno tese a somigliargli moltissimo, senza qui disprezzare in alcun modo la sua grandezza, in quanto uno dei maggiori scienziati di tutti i tempi. Per von Neumann la guerra fredda sarebbe inevitabilmente sfociata in un clash finale:
«I preliminari della guerra sono in un certo qual senso un processo autoeccitatorio mutuo, dove le azioni di un lato stimolano le azioni dell’altro lato. Queste ultime poi retroagiscono sul primo lato e lo provocano ad andar oltre quanto ha fatto ‘un round prima’, ecc. [...]. Ciascuno deve sistematicamente interpretare le reazioni dell’altro alla propria aggressione, e così, dopo parecchi round di amplificazione, alla fine ciò conduce al conflitto ‘totale’».
Wiener diventò invece l’anti-Stranamore per antonomasia. Per le strategie della guerra fredda propose una ricetta per così dire dinamica, incentrata sulla flessibilità. Non glorificava la pace in sé: mostrava l’assurdità della guerra, e specialmente di quella nucleare. Scriveva:
«Questa versione militare di ‘un altro bicchierino non ci farà male’ ha molto in comune con la poco convincente asserzione alcolistica su cui è modellata [...]. Fondamentalmente, essi [i russi] non possono avere alcun desiderio più di noi di celebrare una vittoria nominale mediante una pira funeraria universale da entrambi i lati».
Si rivolse
incessantemente ai media, spendendo il proprio prestigio personale per
inceppare un circolo vizioso che, inseguendo la razionalità ipersemplificata della
teoria dei giochi, specialmente di quella degli esordi, sollecitava diffidenza tra
i contendenti, spronandoli ad irrigidirsi ulteriormente e ad accelerare la
corsa agli armamenti, con sfoggio muscolare reciproco a colpi di test nucleari
sempre più potenti di qua e di là della cortina, fino ad includere in una sola
bomba H, la potenza di più mille bombe di Hiroshima.
Grande
rilevanza rivestono ancora oggi anche le sue riflessioni su una scienza
intedisciplinare che privilegi, specialmente nelle prime fasi di una ricerca,
piccoli gruppi formati da studiosi eminenti, con un profondo radicamento nel
proprio campo, ma anche in grado di comprendere i problemi delle altre
discipline. A suo parere spesso solo da queste task forces
di pionieri potevano scaturire idee profonde e fertili, suscettibili in un
secondo tempo di essere sviluppate ed applicate in grandi progetti,
amministrativamente complessi e dotati di ampi finanziamenti. C’è qui molta
materia di riflessione per esempio riguardo allo Human Brain
Project ed altri simili progetti attualmente attivi, tipicamente
neocibernetici.
Mentre von
Neumann predicava una sorta di atarassia etica dello scienziato di fronte al
mondo che lo circonda, Wiener insisteva che lo scienziato non poteva delegare
ad altri le proprie responsabilità. Prima di Hiroshima, Wiener era stato il
paladino di una scienza priva di qualsiasi limitazione. Dopo cominciò a
sostenere la necessità di autolimitarsi e, comunque, di impiegare molte energie
nella comprensione delle finalità e delle conseguenze ultime delle scoperte ed
invenzioni.
Il Wiener’s day for Peace sarà un’occasione per discutere questi
temi e riattualizzarli, nonché per recuperare la figura di Wiener a tutto
tondo.
Per approfondire:
L. Montagnini, Le armonie del disordine.
Norbert Wiener matematico-filosofo del Novecento. Venezia, Istituto
Veneto, 2005.