Avere tra le mani un volumetto della collana “Microscopi” dell’editore Ulrico Hoepli risveglia i ricordi del passato e nel contempo segna una continuità con le esigenze del presente che fa assaporare il valore perenne della cultura. Chi di noi non si è mai imbattuto sul lavoro, in biblioteca o magari su una bancarella, in qualcuno dei famosi “Manuali Hoepli”? C’è chi li colleziona e fa bene. La collana ebbe inizio nel 1875 con il Manuale del tintore di Roberto Lepetit e toccò l’apice della popolarità con il Manuale dell’ingegnere di Giuseppe Colombo. Con il tempo i titoli superarono i duemila e dall’ambito tecnico spaziarono in tutti i campi del sapere, storia e letteratura incluse. Gli autori erano personalità di prim’ordine, provenienti dalle professioni e dal mondo accademico. Erano volumi di piccolo formato, sobriamente rilegati, con testi agili ma curati, destinati soprattutto ai tecnici. L’attuale collana divulgativa “Microscopi”, diretta da Massimo Temporelli, avviata nel 2013 e forte di sei titoli, ha altri scopi. É destinata a tutti e vorrebbe rispondere a domande del tipo:
- Che cosa fa la scienza?
- Che limiti ha la tecnologia?
- Come stanno cambiando la società e il nostro mondo?
Gli autori sono giovani e vicini al mondo della ricerca. Dovrebbero trattare, con un linguaggio brillante e non accademico quei progressi della scienza e della tecnologia che stanno cambiando la nostra vita, magari senza che ce ne accorgiamo. Quando si dice tutti, diciamo anche noi scienziati perché la crescente tendenza alla specializzazione ci ha portato a vivere in ambiti culturali sempre più angusti. Tanti di noi, al mattino, accendono il computer e spediscono mail senza sapere ciò che fanno. La collana vuole soddisfare il nostro desiderio di capire qualcosa in più del mondo che ci circonda, così come i Manuali volevano preparare i tecnici allo sviluppo industriale di cui sarebbero stati gli artefici.
L’astronomo e divulgatore Carl Sagan (1934-1996) così scriveva nel 1989 : “Viviamo in una società squisitamente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia, in cui quasi nessuno sa di scienza e tecnologia e questa è una chiara ricetta per il disastro”. Purtroppo, nulla o quasi nulla è cambiato. La frase si trova nell’articolo “Why We Need to Understand Science” (1989) e viene ripresa da Marco Cavazzini in questo volumetto che tratta un argomento da lui stesso definito “vasto e difficilmente circoscrivibile”. Cavazzini è un chimico, impiegato come ricercatore presso l’Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari del Cnr. Ha partecipato attivamente a numerosi progetti di ricerca. Dal 2007 è stato nominato responsabile della Commessa “Componenti molecolari, supramolecolari o macromolecolari con proprietà fotoniche ed optoelettroniche” del Dipartimento di Scienze Chimiche e Tecnologie dei Materiali del Cnr.
Il libro ha un titolo un po’ spaccone “Nanouniverso Megafuturo” con sottotitolo “Le nanotecnologie cambieranno il mondo”. Ignoriamo di chi è la scelta ma di certo contraddice lo stile dell’autore ed è l’unica cosa del libro che non è piaciuta a chi scrive. L’autore specifica che la trattazione non ha troppe pretese scientifiche ma è evidente che ha curato il testo in maniera eccellente, a cominciare dagli inserti esplicativi e dalle utili citazioni. Il libro è diviso in sei capitoli, con un piccolo ma ben scelto corredo di riferimenti bibliografici e siti di consultazione. Il primo capitolo, di carattere introduttivo, contiene alcuni cenni storici sugli albori della ricerca nel campo dei materiali e degli oggetti sulla nano-scala (10-9 m), anticipando alcune delle loro proprietà fondamentali. Il secondo tratta dei metodi di fabbricazione e approfondisce il tema delle caratteristiche dei nano-oggetti e dei nanomateriali. I successivi tre capitoli trattano delle applicazioni e riguardano rispettivamente: nanomedicina, nanoelettronica, energia e nanotecnologie. Quello conclusivo è significativamente intitolato: nano e noi. Si apre con un paragrafo dedicato all’ingresso delle nanotecnologie nella vita quotidiana e con la giusta osservazione dell’autore che “il progresso tecnologico può dirsi vera rivoluzione quando diventa parte integrante della nostra vita”. Particolarmente interessanti sono i due paragrafi che riguardano i rischi connessi all’impiego delle nanoparticelle e quello dedicato alla “nanosicurezza”. Nel primo si riconosce che “non sappiamo abbastanza circa le nanotecnologie per affermare senza tema di smentite che siano sicure”. Nel secondo si conclude, in accordo con il NanoImpactNet (2012), che ormai non si può prescindere dall’adozione di approcci comuni verso la nanosicurezza e dallo sviluppo di un sistema di condivisione delle informazioni, buone prassi, approcci e protocolli.
Tuttavia, a proposito di “megafuturo”, per sapere cosa ci aspetta non ci resta che citare, come fa Cavazzini, il vecchio Shakespeare: “Sappiamo cosa siamo, ma non sappiamo cosa potremo essere”.