L’ultima
frontiera della lotta contro il cancro è l’immunoterapia applicata alle
leucemie. È quanto emerge da un comunicato apparso recentemente sulla rivista
Nature. Pioniere del nuovo approccio terapeutico, l’immunologo Michel Sadelain del
Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York City. La sua idea è di
isolare alcune delle cellule T di un paziente e ingegnerizzarle perché riconoscano
il cancro, quindi reiniettarle nel soggetto malato.
Studi su modelli murini
hanno dimostrato che questo approccio potrebbe funzionare.
Quando Sadelain lanciò
nel 2007 il suo primo trial clinico faticò a trovare pazienti disposti a
partecipare, ma non biasima i colleghi per aver rifiutato di sottoporre i
pazienti ai suoi protocolli sperimentali. "Sembra fantascienza," confessa.
"Ci ho pensato per 25 anni e ancora dico a me stesso 'Che idea folle'".
Da allora i
risultati preliminari di Sadelain e di altri gruppi hanno dimostrato che la sua
‘idea folle' può eliminare tutti i segni di leucemia in alcuni pazienti per i
quali il trattamento convenzionale ha fallito. Oggi il suo gruppo di ricerca fatica
ad accogliere i numerosi pazienti che chiedono di essere inclusi nei trial
clinici, denominati ‘trasferimento di cellule T adottive’.
Le prospettive
terapeutiche dell’utilizzo delle cellule T ingegnerizzate - comunemente
denominato cellule T CAR (recettore per l'antigene chimerica) - per il
trattamento di leucemie e linfomi sono state ampiamente discusse al congresso
annuale dell'American Society of Hematology (ASH), tenutosi a San Francisco
(California) dal 6 al 9 dicembre. L’entusiasmo verso il nuovo approccio è stato
in parte smorzato dalle preoccupazioni riguardanti la sicurezza, le difficoltà relative
alla produzione di terapie personalizzate su larga scala e di come le autorità
di regolamentazione giudicheranno un trattamento così insolito e complicato. Ma
queste paure sono state esorcizzate dai dati che mostrano anni di sopravvivenza
in pazienti che altrimenti avrebbero avuto solo pochi mesi di vita.
I dati sono
impressionanti, tanto che le aziende farmaceutiche hanno chiaramente deciso che
vale la pena affrontare le insidie e i costi di sviluppo di questa terapia. Almeno
cinque grandi aziende hanno investito nello sviluppo di una terapia con cellule
T CAR nel corso degli ultimi tre anni. Tale interesse da parte dell’industria rappresenta
una drammatica svolta per un campo di indagine che un tempo interessava solo una
manciata di centri medici accademici. Anche alcune piccole imprese
biotecnologiche sono sorte allo scopo di sviluppare cellule T CAR.
La maggior parte degli sforzi della ricerca si concentrano sull’eliminazione delle cellule B cancerose produttrici di anticorpi responsabili di leucemie e linfomi. Per raggiungere questo scopo, i ricercatori ingegnerizzano le cellule T perché riconoscano la proteina CD19, un marcatore di superficie della maggior parte delle cellule B, e attacchino le cellule che lo espongono. Trovare proteine che sono espresse solo dalle cellule tumorali può essere difficile e CD19 rappresenta un compromesso: il trattamento a volte spazza via tutte le cellule B, cancerose e sane, ma i pazienti possono sopravvivere senza di esse.
Nel corso del
meeting ASH, Sadelain e colleghi hanno riportato che questo approccio ha eliminato
ogni segno di cancro in tutti e sei i pazienti con linfoma che sono stati
arruolati nel loro studio clinico. In un'altra presentazione, l’immunologo Carl
June della University of
Pennsylvania di Philadelphia ha mostrato che colpendo CD19 la carica tumorale è
stata ridotta in 9 su 23 pazienti affetti da leucemia linfatica cronica. Inoltre
in una forma tumorale più aggressiva, la leucemia linfoblastica acuta, 27 dei
30 pazienti non presentavano segni di cancro dopo la terapia e le cellule T CAR
sono state identificate nel sangue due anni dopo.
Ma gli studi
evidenziano anche i rischi di stimolare l’accelerazione delle risposte
immunitarie. In aprile, almeno cinque trial con utilizzo di cellule T CAR sono
stati interrotti dopo una serie di decessi di pazienti che presentavano livelli
insolitamente elevati di una proteina chiamata interleuchina-6, che promuove
l'infiammazione, e di altre molecole infiammatorie. L'interleuchina-6 fa parte
della normale risposta del corpo alle infezioni, ma l'intenso attacco immunitario
scatenato dalle cellule T CAR può causare una brusca impennata dei suoi livelli
di espressione. I test ripresero dopo che i ricercatori ebbero modificato i
protocolli per monitorare meglio e curare il problema.
I rischi per la sicurezza e le difficoltà di produzione delle cellule T CAR stanno frenando molte aziende farmaceutiche dall’intervenire nella ricerca. È indubbio però che quando le cellule T CAR arriveranno sul mercato non saranno economiche. Andrew Baum, il capo londinese della ricerca sanitaria globale per Citi, una banca d'investimento con sede a New York City, afferma che alcuni sponsor stimano il costo di queste terapie superiore a quello dei trapianti di midollo osseo, che possono superare i 500.000 dollari. Il costo potrebbe essere tanto elevato da costringere le aziende ad istituire un sistema di rimborso in cui verranno pagate solo se il paziente trarrà beneficio dal trattamento. Baum stima che il picco di vendite delle terapie con cellule T CAR raggiungerà i 10 miliardi dollari l'anno, anche se tale importo dipenderà da quali terapie concorrenti emergeranno e se il trattamento potrà essere esteso ad altri tipi di tumore.
Per ora Sadelain, che è anche fondatore scientifico di Juno Therapeutics, spera solo che l'attenzione da parte dell’industria faccia da stimolo al suo campo di indagine. Ricorda i suoi giorni da postdoc, quando lottava per inserire i geni nelle cellule T mentre i colleghi gli chiedevano perché si prendeva tanto disturbo. "Non abbiamo mai avuto un tale investimento di risorse in questo campo finora," dice. "E 'difficile da credere - a volte ancora mi pizzico."