fbpx Superconduttori a temperatura ambiente? Con il laser si può | Scienza in rete

Superconduttori a temperatura ambiente? Con il laser si può

Read time: 3 mins

La superconduttività è quell’affascinante fenomeno, noto da circa un secolo, per cui certi materiali cessano di offrire resistenza al passaggio della corrente elettrica quando vengono portati a temperature molto basse, vicine allo zero assoluto. Senza questi materiali, chiamati superconduttori, non avremmo le macchine per le risonanze magnetiche nucleari, né avremmo acceleratori di particelle come LHC.
A partire dal 1986 sono stati scoperti alcuni materiali che si comportano come superconduttori anche a temperature al di sopra di quella della liquefazione dell’azoto. Questa scoperta fu importante perché l’azoto liquido è molto economico e semplice da produrre: i superconduttori poterono cominciare a essere usati anche al di fuori dei laboratori più sofisticati. Questa scoperta valse il Premio Nobel per la Fisica del 1987 a Georg Bednorz e Karl Müller

Il primo di questi superconduttori “ad alta temperatura” ad essere stato scoperto è l’ossido di ittrio bario e rame (abbreviato YBCO). Ed evidentemente questo composto è destinato ad avere un ruolo di spicco nello sviluppo tecnologico legato alla superconduttività, perché recentemente è stato il protagonista di un’altra importante scoperta, effettuata da un team internazionale guidato da Andrea Cavalleri dell’Istituto Max Planck per la Struttura e la Dinamica della Materia, ad Amburgo: se colpito con un particolare impulso di raggi laser infrarossi, l’YBCO si comporta come un superconduttore anche a temperatura ambiente. Per pochi milionesimi di secondo, ma lo fa.
L’ossido di ittrio bario e rame ha una struttura molecolare particolarmente complessa, caratterizzata da due piani contenenti rame e ossigeno separati da regioni in cui sono disposti anche gli atomi degli altri elementi. Questa struttura “a sandwich” è responsabile della superconduttività dell’YBCO: gli elettroni di conduzione possono spostarsi per effetto tunnel tra i piani con rame e ossigeno, ma solo a temperature inferiori a circa –180 °C. L’effetto del laser a infrarossi è stato studiato dai ricercatori del Max Planck Institute analizzando con grande precisione le variazioni della struttura cristallina dell’YBCO con un altro laser, questa volta a raggi X: si chiama LCLS e si trova a Stanford, negli USA.

Il motivo di questo comportamento inaspettato ha richiesto un anno di studio; i risultati sono stati pubblicati con un articolo su Nature. «Abbiamo iniziato inviando l’impulso infrarosso al cristallo, e questo ha fatto oscillare alcuni atomi della struttura», racconta Roman Mankowsky, fisico del Max Planck Institute e primo autore dell’articolo. «Subito dopo abbiamo inviato un impulso a raggi X per misurare in maniera precisa la struttura eccitata».
I risultati di queste sottili misurazioni indicavano che il laser a infrarossi non solo eccitava gli atomi, ma li spostava lievemente. I piani con rame e ossigeno risultavano più larghi di appena due picometri (miliardesimi di millimetro): una distanza un centinaio di volte più piccola del diametro di un atomo. Questa differenza, seppur minuscola, è sufficiente per favorire l’accoppiamento quantistico tra i piani e permettere la superconduttività anche a temperatura ambiente.

L’effetto non è durato che una frazione infinitesima di secondo, ma la scoperta è senz’altro importante. Per i teorici dello stato solido, perché aumenta notevolmente le nostre conoscenze sui superconduttori ad alta temperatura; ma soprattutto per le applicazioni pratiche che si possono già sin d’ora immaginare. Commenta Mankowsky: «Questa scoperta potrà aiutare gli scienziati dei materiali a sviluppare nuovi superconduttori con temperature critiche sempre più alte, e in definitiva di raggiungere il sogno di un superconduttore che opera a temperatura ambiente e non necessita di alcun raffreddamento». Se questo sogno diventasse realtà, saremmo di fronte a una vera e propria rivoluzione tecnologica.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Terre rare: l’oro di Pechino che tutti vogliono

miniera californiana di Mountain Pass

Il trattato USA-Ucraina appena sancito rivela quanto urgente sia la necessità di dotarsi di minerali critici, fra cui le 17 terre rare, per la transizione digitale ed elettrica. In realtà tutti sono all'inseguimento della Cina, che produce il 70% di questi metalli e l'85% degli impianti di raffinazione e purificazione. Questo spiega una serie di ordini esecutivi di Trump e le nuove politiche di Giappone, Australia ed Europa, e forse anche la guerra in Ucraina. Non più tanto le fonti fossili quanto le terre rare sono diventate materia di sicurezza nazionale. Ovunque si riaprono miniere, anche in Italia. Ma essendo difficili da estrarre e purificare si punta anche al riciclo e alla ricerca per mettere a punto le tecnologie di recupero più economiche e sostenibili. Ma come ha fatto la Cina ad acquisire una tale supremazia? E che cosa stanno facendo gli altri?

Nell'immagine la storica miniera californiana di Mountain Pass, TMY350/WIKIMEDIA COMMONS (CC BY-SA 4.0)

C’era una volta, negli anni Novanta del secolo scorso, un mondo con due potenze in sostanziale equilibrio nella produzione di terre rare: Stati Uniti (33%) e Cina (38%), seguiti da Australia (12%), India a e Malesia per il 5% ciascuna e le briciole ad altri paesi. Ora non è più così.