Cervelli italiani sempre più in fuga. Anche e soprattutto
quando hanno idee vincenti. I cervelli stranieri, al contrario, non vengono in
Italia. Anche quando avrebbero i soldi per pagarsi da soli le loro ricerche.
L’esito della selezione dei progetti di giovani
ricercatori (early-career top researchers) meritevoli di essere finanziati anche con 2 milioni di euro ciascuno
reso pubblico nei giorni scorsi dall’European Research Council non
lascia adito a dubbi.
L’Italia ha molti bravi ricercatori. Ma questi bravi ricercatori, se possono,
se ne vanno, perché il paese non offre loro l’opportunità di realizzare i loro
programmi scientifici.
Ma, al di là di ogni commento, lasciamo parlare i dati,
che sono chiarissimi.
L’ERC ha selezionato 328 progetti
presentati da early-career top researchers, dai migliori ricercatori all’inizio
della loro carriera, attribuendo loro, complessivamente, 485 milioni di euro. È
la settima edizione di questa iniziativa.
La selezione è stata durissima: il
90% delle 3.273 proposte presentate è stato scartato e solo una ristretta élite ha dunque ottenuto un (ricco) grant.
Ciascuno dei vincitori spenderà il suo grant nell’istituzione scientifica che ha indicato, anche fuori dal paese. Ebbene, nella classifica per nazionalità dei vincitori l’Italia (ma occorrerebbe dire, gli italiani) è come al solito in ottima posizione. Con 28 grant vinti, il nostro paese è secondo solo alla Germania (che con 68 vincitori fa la parte del leone) e alla Francia (36 premiati). Da notare il numero molto piccolo di vincitori inglesi, appena 13.
Un segnale molto
positivo è che l’Italia vanta un numero di donne vincitrici decisamente alto
(18): in termini assoluti le italiane premiate sono seconde solo alle tedesche
(che sono 19). Ma in termini relativi le donne italiane sono di gran lunga
prime: il 64% degli italiani premiati sono di genere femminile (18 su 28),
contro il 28% (19 su 68) dei tedeschi.
Ma eccoci alle dolenti note. Terza per numero di
ricercatori premiati, l’Italia risulta nona per numero di ricercatori ospitati,
appena 11. Preceduta nell’ordine da
Germania (70 vincitori l’hanno scelta come sede delle proprie ricerche), Gran
Bretagna (55), Francia (43), Olanda (34), Israele (27), Spagna (20).
Poi viene
l’Italia, alla pari con paesi molto più piccoli, come Austria e Danimarca. Da
notare la performance della Gran Bretagna (da ottava per numero di vincitori a
seconda per numero di vincitori ospitati) e dell’Olanda. Anche la
Spagna ospita quasi il doppio dei vincitori dell’Italia.
Il confronto tra questi due insiemi di dati – la
nazionalità dei vincitori, i paesi che li ospiteranno – è francamente disarmante per il nostro paese. L’Italia
ha infatti il bilancio di gran luna più negativo: vanta 28 vincitori ma ospita
solo 11 premiati (-17). La Germania, pur avendo un altro numero assoluto di
vincitori, ha un bilancio leggermente positivo (+2), mentre la Gran Bretagna ha
una capacità di attrazione davvero straordinaria: con appena 13 vincitori ha 55
ospiti, con un saldo molto, molto positivo (+42). Ma anche il confronto con la
capacità di attrazione degli altri paesi è sconfortante. In Germania andranno
28 vincitori stranieri, in Olanda 16, in Danimarca 9, in Spagna 6. In Italia
appena 2. Davvero il nostro paese non ha alcun appeal.
Se poi consideriamo i vincitori che restano nel loro
paese, il quadro è ancora più netto. Restano in Germania 41 vincitori su 68
sono rimasti nel loro paese, pari al 60%. In Spagna 14 su 19 (il 74%). In
Francia, addirittura, 29 su 36: oltre l’80%. Gli italiani che invece hanno
scelto l’Italia sono solo 9 su 28: appena il 32%. Due giovani top researchers
italiani su tre vanno via.
L’insieme di questi dati dimostra il nostro assunto di
partenza. L’Italia conferma di avere ottimi ricercatori, anche tra i giovani. E
un numero di ottime ricercatrici, rispetto a quello di altri paesi, addirittura
eccezionale. Ma queste bravi ricercatrici e questi bravi ricercatori che scelgono
(probabilmente perché non hanno altra scelta) di andare all’estero per
realizzare i loro progetti sono in numero drammaticamente superiore alla
normale (e positiva) migrazione dei cervelli di altri paesi.
Al contrario, la capacità di accogliere in Italia
ricercatori dall’estero e far trovare loro un ambiente adatto è drammaticamente
più bassa degli altri paesi europei. E non vale evocare (solo) la contingenza
economica. La Spagna è nelle nostre stesse difficoltà economiche, ma ha numeri
meno drammatici. È l’ambiente complessivo italiano (in primo luogo la
burocrazia e la sindrome da fortezza assediata) a risultare respingente.
Il risultato è che agisce una sorta di Robin Hood al
contrario: preziose risorse umane (come gli economisti definiscono le persone
capaci e qualificate) vengono sottratte a un paese (relativamente) povero e
regalate a paesi più ricchi. Non è questo un spread almeno altrettanto
importante dell’indice finanziario il cui andamento viene giudicato decisivo
per le sorti di un paese? Fino a quanto potremo sopportare questo continuo
drenaggio di cervelli?
Un’ultima notazione. Riguarda Israele. Vanta ben 27
vincitori: quarto assoluto, uno in meno dell’Italia. Un risultato davvero
significativo, frutto di una politica della ricerca molto attiva che ha portato
il piccolo paese a dotarsi di centri di ricerca di assoluta eccellenza anche
con investimenti ingenti, pari quasi al 5% del Prodotto interno lordo (Pil).
I
risultati si vedono. Tutti i 27 vincitori israeliani resteranno nel loro paese,
dove trovano condizioni invidiabili. Ma nessuno straniero ha scelto
un’istituzione scientifica israeliana per svolgere la sua ricerca
d’avanguardia. Il paese soffre di una
certa chiusura con cui, pur dall’alto delle loro straordinarie performance,
scienziati e politici israeliani dovranno confrontarsi.