fbpx Pianeti nell'ombra? | Scienza in rete

Pianeti nell'ombra?

Read time: 8 mins

Tra le date significative che riguardano la nostra conoscenza del Sistema solare bisogna senza dubbio collocare anche quella del 30 agosto 1992. In quella notte, osservando dal Mauna Kea (Hawaii), David Jewitt e Jane Luu individuano 1992 QB1, un oggetto che orbita nella regione al di là di Nettuno.
Una scoperta cruciale, che contribuì a far assegnare ai due astronomi (assieme al planetologo Michael Brown) il prestigioso Kavli Prize nel 2012. Pubblicando l'annuncio su Nature, Jewitt e Luu si sbilanciano non poco: suggeriscono infatti che si possa trattare del primo membro della cosiddetta Fascia di Kuiper.
L'esistenza di tale regione al di là di Nettuno era stata ipotizzata negli anni Cinquanta dagli astronomi Gerard Kuiper e Kenneth Edgeworth, che avevano suggerito quella presenza quale possibile ricettacolo di oggetti che erano sopravvissuti alle concitate fasi della costruzione planetaria ed erano stati sospinti da meccanismi dinamici a orbitare in quelle remote regioni. Fino al 1992, però, di quegli oggetti non esisteva nessuna evidenza osservativa (a dire il vero, lo stesso Kuiper era molto scettico in merito alla loro reale esistenza).
Ovviamente, la scoperta di 1992 QB1 e quelle, in numero sempre crescente, che l'hanno seguita hanno cambiato drasticamente la nostra visione del Sistema solare. E questo non solo perché hanno portato, nel 2006, alla riclassificazione di Plutone come pianeta nano (diretta conseguenza di una riflessione della comunità astronomica internazionale sulla “definizione” di pianeta), ma anche perché hanno obbligato i planetologi a rivedere gli scenari evolutivi del Sistema solare, comprendendo in essi quella folta popolazione di cui fino a vent'anni fa non si conosceva assolutamente nulla. Per importanza, insomma, potremmo paragonare l'individuazione di 1992 QB1 alla storica scoperta di Cerere, il primo asteroide, da parte di padre Giuseppe Piazzi nella notte del 1° gennaio 1801 a Palermo.
Attualmente sono noti oltre 1300 oggetti che orbitano al di là di Nettuno (i cosiddetti TNOs), alcuni dei quali hanno dimensioni paragonabili a quelle di Plutone. Un numero di tutto rispetto, che ha permesso accurate analisi orbitali e la scoperta in quelle orbite di tracce lasciate da importanti meccanismi dinamici. Proprio appellandosi a un meccanismo dinamico finora poco esplorato, alcuni planetologi hanno avanzato l'ipotesi che, in quelle remote regioni, possa orbitare anche qualche oggetto di stazza planetaria.
Lo scorso settembre, Carlos de la Fuente Marcos e suo fratello Raul, ricercatori dell'Università Complutense di Madrid, pubblicano su MNRAS un lavoro nel quale affrontano il problema che suscitano alcuni TNOs, una dozzina in tutto, caratterizzati da orbite molto particolari. Si tratta di orbite abbastanza inclinate rispetto al piano del Sistema solare e molto eccentriche, cioè estremamente allungate, il cui semiasse maggiore ha valori compresi tra 150 e 525 Unità Astronomiche (l'unità astronomica è la distanza media Terra-Sole, vale a dire 150 milioni di chilometri).
Al gruppo, per esempio, appartiene Sedna, scoperto nel 2003 da Michael Brown e collaboratori quando si trovava in prossimità del perielio, alla distanza record di circa 76 UA dal Sole. La sua orbita allungata, però, lo spinge fino a 937 UA dal Sole.
Del gruppetto fa parte anche 2012 VP113, individuato da Scott Sheppard e Chad Trujillo il 5 novembre 2012, che con il suo perielio collocato a oltre 89 UA dal Sole ha strappato a Sedna il record del perielio più distante tra gli oggetti noti del Sistema solare. Facile, insomma, comprendere come mai questa pattuglia di oggetti venga catalogata come ETNOs (Extreme Trans Neptunian Objects).
Secondo i fratelli de la Fuente Marcos, le caratteristiche orbitali di questi oggetti mostrerebbero i segni di un meccanismo dinamico noto come risonanza di Kozai. Con tale nome si indica una particolare proprietà delle orbite che, sotto opportune condizioni, può portare a una variazione contemporanea dell'inclinazione e della eccentricità orbitale. Studiato inizialmente per gli asteroidi, questo legame comporta che se un oggetto, a causa delle perturbazioni dei pianeti maggiori, diminuisce la sua inclinazione, inevitabilmente vedrà la sua orbita diventare più eccentrica (cioè più allungata) e viceversa. Il meccanismo, però, impone che alcuni parametri orbitali assumano particolari valori, valori che i due astronomi spagnoli ritengono di aver riscontrato negli ETNOs. Quelle orbite così anomale, insomma, sarebbero giustificabili chiamando in causa il meccanismo di Kozai indotto da almeno un oggetto di taglia planetaria orbitante in quelle remote regioni al di là di Nettuno.
Le conclusioni vengono ribadite in un secondo studio pubblicato a gennaio dai fratelli de la Fuente Marcos sempre su MNRAS, questa volta in collaborazione con Sverre Aarseth (Università di Cambridge - Regno Unito). In questo studio viene seguita nei dettagli l'evoluzione dinamica della cometa 96P/Machholz 1, un oggetto bloccato nella risonanza di Kozai con Giove. Una sorta di case study che li porta a rilanciare la loro ipotesi: se questo oggetto cometario è dinamicamente analogo agli ETNOs, si deve mettere in conto l'esistenza di almeno un oggetto perturbatore sufficientemente massiccio che si nasconde nella Fascia di Kuiper. “Questo eccesso di oggetti con insoliti parametri orbitali - spiega Carlos de la Fuente Marcos - ci fa credere che vi siano forze invisibili che stanno alterando la distribuzione degli elementi orbitali degli ETNOs. La spiegazione più probabile è che al di là di Nettuno e Plutone esistano pianeti ancora da scoprire.”
Senza dubbio si tratta di previsioni decisamente dirompenti, in grado di rivoluzionare la nostra concezione attuale del Sistema solare. E' pur vero che molti planetologi non escludono a priori che al di là di Nettuno possano orbitare oggetti anche di una certa importanza, ma da qui a ipotizzarne almeno un paio grandi come la Terra o anche di più il passo è notevole. L'ipotesi - perché è bene ribadire che di ipotesi si tratta e non di scoperta - è certamente valida, ma è altrettanto valida l'obiezione di chi sottolinea come il campione di orbite a disposizione per una simile statistica sia per il momento estremamente ridotto.
Insomma, dal seme gettato potrebbe anche nascere uno splendido albero. Per il momento, però, è necessario annaffiarlo per bene, non avere fretta e aspettare.

Per aiutarci ad approfondire alcuni aspetti di questo annuncio, abbiamo contattato Vincenzo Zappalà, Professore ordinario di Astrofisica e Ricercatore astronomo presso l'Osservatorio di Torino, oggi in pensione. La sua specializzazione è stata la Planetologia e, in particolare, i corpi minori del Sistema solare e le loro dinamiche.
Dal 1997 al 2000 è stato Presidente della Commissione 15 dell’Unione Astronomica Internazionale.

Professore Vincenzo Zappalà, qual è la sua opinione sui recenti studi di C. de la Fuente Marcos e collaboratori in cui, per giustificare le particolari orbite degli ETNOs, si ipotizza la presenza di uno o più oggetti di stazza planetaria nella Fascia di Kuiper? Al di là delle conclusioni che suggeriscono, quanto può essere affidabile una statistica basata su un numero così esiguo di oggetti?
Il lavoro di de la Fuente è molto ben fatto e tiene in conto di problemi dinamici spesso poco studiati. Concordo sul fatto che gli oggetti che dovrebbero essere la prova "pratica" del meccanismo fondamentale sono troppo pochi per conclusioni statisticamente valide. E' necessario che il data set aumenti di parecchio per poter trarre conclusioni veramente plausibili. Per adesso siamo nella fase di possibile effetto di una teoria sicuramente valida.

Da più parti si sottolinea che, se confermata, la presenza di tali oggetti planetari metterebbe in seria difficoltà l'attuale modello di formazione ed evoluzione del Sistema solare. Come mai? In cosa risulterebbero così dirompenti quelle presenze planetarie oltre Nettuno?
Le difficoltà nascono quando viene in luce la scarsa conoscenza di certi scenari. Noi ci siamo costruiti un modello formativo ed evolutivo dei sistemi planetari basandoci sul nostro. Oggi che il numero cresce esponenzialmente ci rendiamo conto che le cose possono andare molto diversamente e si sono osservati dischi di polvere ben più lontani dalla stella madre di quanto si pensasse. Inoltre, non possiamo tralasciare la possibilità di migrazioni planetarie anche per masse considerevoli e non solo per planetesimi modesti come le comete della Nube di Oort. Siamo ancora all'ABC della formazione dei sistemi planetari...

Riguardo al meccanismo della risonanza di Kozai invocato nello studio si affaccia un piccolo dubbio. E' accettabile considerare un meccanismo dinamico esercitato da un pianeta gigante qual è Giove su un oggetto di piccole dimensioni quale la cometa 96P/Machholz1 e applicarlo a oggetti di dimensioni e masse ben superiori quali Sedna e 2012 VP113?
La risonanza di Kozai lavora molto bene quando il semiasse dell'oggetto perturbato è molto più piccolo (o più grande) di quello del perturbatore. Ne segue che è stato spesso usato per i sistemi satellitari e per piccoli corpi come asteroidi su orbite strette o comete a corto periodo. Tuttavia, nella costante che esso introduce e che lega strettamente inclinazione ed eccentricità, la massa degli oggetti non entra direttamente. Ne segue che, come tutte le risonanze che lavorano sulle caratteristiche orbitali e non su perturbazioni dirette, l'importante sono le distanze relative. La vera differenza rispetto ai fenomeni di precessione ben noti sta nel fatto che questa specie di bilancia tra eccentricità e inclinazione fa sì che la precessione si trasformi in una librazione attorno a un valore particolare, causando una specie di raggruppamento dinamico dei corpi che la subiscono. Nuovamente, però, gli oggetti osservati sono ancora troppo pochi per fare una statistica valida e risolutiva. Comunque, nessun problema per le masse coinvolte.

Anche alla luce delle recenti conclusioni sull'esistenza di possibili oggetti oltre Nettuno suggerite dalle osservazioni di NEOWISE, che idea personale si è fatta della popolazione che potrebbe occupare quella regione?
Niente vieta da un punta di vista osservativo l'esistenza di pianeti anche molto più grandi della Terra. Come succede spesso, è più facile scoprire qualcosa su stelle lontane che intorno alla nostra. Conosciamo meglio gli interni di altri pianeti che non quello terrestre, così come conosciamo meglio la struttura delle altre galassie che non quella della Via Lattea. La stessa cosa capita per il nostro Sistema solare. L'ideale sarebbe vederlo da lontano e studiare la distribuzione della polvere esterna e delle varie concentrazioni. Dall'interno le osservazioni hanno limiti enormi e danno un quadro estremamente soggettivo. La soluzione arriverà dallo studio di altri sistemi che ci mostreranno le probabilità di avere dischi molto più estesi e possibili migrazioni anche di grandi masse.
Basta pensare che la Fascia di Kuiper è stata scoperta solo poche decine di anni fa... e che il ruolo di Plutone è stato stabilito ancora successivamente. Figuriamoci quali difficoltà ancora esistono per avere uno schema di ciò che esiste ben oltre, pensando, inoltre, agli effetti selettivi che subiscono gli oggetti che vengono scoperti: i loro periodi sono ben oltre le capacità umane (secoli e secoli) e si riescono a "scoprire" solo se le loro orbite sono molto allungate e dirette nel modo giusto. Proprio quello che necessitano alcuni sistemi di protezione come quello di Kozai. Insomma, un serpente che si morde un po' la coda...


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Il soffocamento delle università e l’impoverimento del Paese continuano

laboratorio tagliato in due

Le riduzioni nel Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) limitano gli investimenti essenziali per università e ricerca di base: è una situazione che rischia di spingere i giovani ricercatori a cercare opportunità all'estero, penalizzando ulteriormente il sistema accademico e la competitività scientifica del paese.

In queste settimane, sul tema del finanziamento delle università e della ricerca, assistiamo a un rimpallo di numeri nei comunicati della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) e del MUR (Ministero della Università e della Ricerca). Vorremmo provare a fare chiarezza sui numeri e aggiungere alcune considerazioni sugli effetti che la riduzione potrà avere sui nostri atenei ma anche sul paese in generale.