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Come gli scienziati percepiscono il loro ruolo nella società

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L’Associazione statunitense per il progresso delle scienze (AAAS) ha nei giorni scorsi reso pubblico, mediante la sua rivista Science, un rapporto realizzato in collaborazione con gli esperti del PEW Research Center, sull’immagine che della scienza e dei suoi rapporti con la società hanno, negli Stati Uniti d’America, gli scienziati e il pubblico di non esperti.

Il rapporto è stato molto commentato, negli Usa e anche fuori. Molti hanno messo in evidenza un dato, per la verità, un po’ scontato: la diversa percezione che spesso hanno gli scienziati e il grande pubblico adulto dei non esperti della scienza e delle sue implicazioni sociali. E portano a esempio il caso del cibo geneticamente modificato: l’88% degli scienziati americani ritiene siano sicuri, mentre solo il 37% degli americani adulti non esperti la pensa così. Un altro esempio è quello della sperimentazione con animali: l’89% degli scienziati americani ritiene sia ancora necessario, mentre solo il 47% degli adulti non esperti pensa altrettanto.
Tutto questo dimostra una divaricazione o, addirittura, una divergenza tra comunità scientifica e cittadini negli Stati Uniti e in tutto l’occidente, visto che risultati analoghi vengono registrati da indagini sulla percezione pubblica della scienza anche in Europa?
Occorre stare attenti, prima di trarre conclusioni affrettate. Perché l’indagine PEW (anche l’indagine PEW) dimostra che la maggioranza della popolazione americana ha una percezione molto positiva sia della scienza in sé sia dei suoi effetti sociali. Ha, inoltre, in alta considerazione l’attività scientifica che si svolge negli Stati Uniti, giudicata dalla maggioranza, la migliore al mondo. E dichiara di essere più che favorevole a che l’Amministrazione degli Stati Uniti finanzi la ricerca confondi pubblici.

Questa percezione, va da sé, è condivisa anche dalla comunità scientifica americana. È questa convergenza per così dire a carattere generale tra la percezione del grande pubblico e quella della comunità scientifica va sottolineata, perché, a ben vedere, non è affatto scontata in una fase storica di incertezza (che, come vedremo, è fortemente avvertita) e in un paese che, storicamente, guarda con una certa diffidenza all’intervento dello stato sia in economia che nella cultura. Significa che la popolazione americana ha ormai metabolizzato l’idea che la scienza ha sia un valore cultuale in sé sia un valore pratico, perché aumenta il benessere economico e sanitario dei cittadini.
A conferma di questa convergenza a carattere generale tra cittadini e comunità scientifica, va rilevato come su molti casi specifici (dalla diffidenza verso il fracking, alla valutazione positiva dell’investimento Usa nella stazione spaziale internazionale)  ci sia una visione comune pressoché assoluta.
Per tornare agli ogm e alla sperimentazione animale: più che sintomi della divergenza di opinione tra cittadini non esperti e comunità scientifica, devono essere considerati come fenomeni particolari, determinati da cause particolari specifiche. Tra cui, certo, c’è anche la mancanza di conoscenza. Ma che non possono essere ridotte alla sola mancanza di conoscenza.
Ma l’indagine PEW/AAAS è molto interessante perché è tra le poche al mondo che ci fornisce la percezione che gli scienziati hanno della loro attività e dei loro effetti. E in questo quadro non usuale spiccano alcuni elementi che meritano grande attenzione.

Gli scienziati americani hanno non solo un’alta considerazione della propria attività, com’è da attendersi. Hanno solo un’alta considerazione dell’attività scientifica realizzata negli Stati Uniti. E non hanno solo (beati loro) la percezione di essere ascoltati dai decisori politici (quasi sempre, ma non sempre). Tutto questo c’era da aspettarselo. Questo insieme di percezioni è, infatti, fondato su numerosi e solidi dati di fatto.
Ciò che era forse inatteso è che questa percezione positiva del proprio ruolo e del riconoscimento del proprio ruolo si sta un po’ erodendo. Solo il 52% dei ricercatori americani pensa questi siano tempi buoni per la ricerca. Era il 76% nel 2009: in cinque anni c’è stato un crollo di ottimismo di ben 24 punti. In pratica uno scienziato americano su quattro pensa che questi nostri tempi siano peggiori di quelli passati, anche di recente.
Difficile dire quali siano le cause di questa erosione dell’ottimismo. Se il timore di perdere una leadership consolidata a causa delle crescenti performances delle comunità scientifiche fuori dagli Stati Uniti, prime tra tutte quelle asiatiche. Se la crisi economica e il taglio ad alcuni bilanci. Se la sempre maggiore attenzione che i politici manifestano per lo sviluppo tecnologico e le immediate applicazioni a svantaggio della ricerca di base e curiosity-driven.

Due fatti sono certi. Primo, questa percezione trova motivo in alcuni dati di fatto. Secondo, è un sintomo che potrebbe indicare una malattia seria. Il dato di fatto è che anche negli Stati Uniti i giovani trovano crescente difficoltà a entrare da protagonisti nel mondo della scienza. Lo dimostra questo grafico, anch’esso pubblicato su Science, riferito alla percentuale di leader di ricerca biomedica che ottengono grants dagli NIH (National Institutes of Health). Nell’ultimo quarto di secolo c’è stata una caduta verticale del numero di giovani al di sotto dei 36 anni gratificati.
È come se il sistema di ricerca pubblico americano, di fronte alle nuove sfide a scala globale, si stesse irrigidendo e stia perdendo quella freschezza che lo ha caratterizzato per decenni.
Tutto questo e altro ancora genera insoddisfazione e incertezza. Un male interno alla comunità scientifica americana (e probabilmente anche europea) che va curato. Perché non si può essere leader della società della conoscenza se si è insoddisfatti del presente e incerti sul futuro.


Fonte: Science


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