“Politici e leader della maggior parte dei paesi del mondo hanno perso completamente i contatti con la realtà della ricerca” comincia così un commento di Amaya Moro-Martin, pubblicato su Nature qualche mese fa “sembrano non sapere che quanto più la ricerca è forte tanto meglio andrà l’economia” e questo è specialmente vero per i paesi dove la crisi si sente di più. “I politici invece cosa fanno? Tagliano la ricerca e così rendono questi paesi ancora più vulnerabili. Ci sono tanti esempi, continua la Moro-Martin, un’astrofisica americana che è membro della commissione dell’Euroscienza - in Italia per esempio il reclutamento dei ricercatori è calato del 90 percento e quello che si spende in ricerca fondamentale è calato al punto che non è rimasto più nulla”.
Ci sono problemi
anche in Spagna, gli investimenti sono
calati del 50 percento e degli scienziati che vanno in pensione se ne
sostituisce solo il 10 percento. La situazione è molto critica anche in Grecia
e Portogallo.
E in Germania? E’ tutto diverso. Anche là produzione industriale
ed esportazioni sono calate notevolmente e tre anni fa hanno tagliato il
bilancio federale di 80 miliardi ma hanno aumentato del 15 percento gli
investimenti in ricerca, soprattutto in ricerca biomedica e continuano a farlo.
Il 30
ottobre i ministri del governo centrale e dei 16 stati federali hanno stanziato
25 miliardi e mezzo di euro per ricerca
e educazione superiore. E sì che la
Germania spende - forse sarebbe più corretto dire investe – già 100 miliardi
all'anno in ricerca ed è il quarto paese
al mondo dopo Stati Uniti, Cina e Giappone per attenzione alla ricerca e alla
ricerca scientifica in particolare. Gran parte di quei soldi vanno alle circa
300 Università che insieme contano più di 2 milioni e mezzo di studenti, 400
mila in più del 2005. Ma c'è dell'altro, per mantenere fede a un impegno preso
nel 2007 Governo e stati hanno anche siglato un accordo per garantire un
aumento dei finanziamenti a quattro organizzazioni di ricerca non universitarie
fra cui gli Istituti Max Planck . Insieme, le quattro organizzazioni, contano
254 istituti e il budget è passato dai 5 miliardi e due del 2005 ai quasi 8
miliardi di oggi. Le priorità? Energia (soprattutto rinnovabile) e salute con
un occhio di riguardo all'invecchiamento della popolazione. Nel 2016
investirà ancora di più con un aumento
progressivo del 3 percento all'anno fino al 2020. C'era anche un fondo di 4
miliardi e mezzo (German Excellence Initiative) doveva finire nel 2017 ma i
ministri hanno deciso che lo prolungheranno.
Non è così negli Stati Uniti, un editoriale di Nature del gennaio 2014 fa vedere che i finanziamenti pubblici per la ricerca non aumenteranno almeno quest'anno e se si tiene conto di aumento dei costi e inflazione vuol dire una riduzione che potrebbe arrivare al 20 percento dell'investimento complessivo in ricerca. In America però dove non arriva il pubblico arriva la filantropia privata e le donazioni per la ricerca. E la cosa prende sempre più piede. Ci sono persino scienziati che lasciano il laboratorio per occuparsi direttamente di mettere in piedi fondazioni private (questo è successo anche da noi con Telethon) con l’obiettivo di aiutare gruppi di ricerca in settori particolari, l’Alzheimer per esempio o il diabete o certe forme di cancro.
L'Italia invece è lontanissima dai progetti
di investimento pubblico della Germania
e dalla visione dei filantropi americani. Peccato perché c’è un solo modo per
uscire dalla crisi, più soldi pubblici per la ricerca seguendo l'esempio della Germania e saper “corteggiare”
i filantropi come hanno
cominciato a fare negli Stati Uniti.
Nel 2010 Obama aveva lanciato “Star
Metrics” per chiedere agli scienziati di
aiutarlo a capire cosa sia tornato indietro all’economia americana da tutto
quello che era stato investito in
ricerca negli ultimi anni. Gli
scienziati hanno preparato un rapporto di 600 pagine. Sembra fuori discussione
che gran parte della crescita del paese
dipenda dall’aver investito in ricerca e l’esempio più convincente è quello del
genoma. Per decodificare quello
dell’uomo negli Stati Uniti fra pubblico e privato si sono investiti 3,8 miliardi di dollari, il ritorno per
l'economia del paese è stato di 800 miliardi in 13 anni, vuol dire che 1
dollaro speso ne rende 140, solo nel 2010 quel progetto ha consentito di creare
310.000 posti di lavoro (e dal 1998 al 2010 i posti di lavoro in più sono stati
3 milioni e 800.000). Ci sono anche costi associati all’investire in ricerca per
esempio, le cure di oggi mantengono in vita grandi anziani che solo qualche
anno fa sarebbero morti; è certamente un risultato della ricerca medica e non
c’è dubbio che sia una buona cosa, ma il mantenere in vita queste persone
costa.
Se
parli coi nostri politici ti dicono che non è tempo di pensare alla ricerca, è
un momento difficile per noi, forse il più difficile dal dopoguerra. Ma quando
Lincoln lanciò il Morrill Act - il decreto che metteva le basi perché i
giovani di talento potessero accedere all'educazione avanzata e promuovere la
ricerca nel campo delle scienze e della tecnologia - si era in piena guerra
civile. A chi gli chiese perché, Lincoln
rispose: "per dare un futuro alla
nazione".
Si
chiama lungimiranza. Certo, lui era Abraham Lincoln ma la cosa che a me fa più
impressione è che questo succedeva il 22 aprile 1863. Sono passati 150 anni. Da
noi si fanno previsioni (su quando e come
e se mai si uscirà dalla crisi) e
poi proclami e promesse. Ma tutto questo
lascia il tempo che trova.
Approfondimento dell'articolo pubblicato su La Lettura - Corriere della Sera del 22-02-2015