Tra le conquiste più importanti della chimica c’è la sintesi
industriale dell’ammoniaca a partire dai costituenti, azoto e idrogeno,
presenti nella molecola in rapporto atomico 1:3. L’ammoniaca ha vari impieghi
ma soprattutto è indispensabile per la produzione dei fertilizzanti azotati, i
prodotti che hanno consentito all’agricoltura moderna di incrementare la
produzione e assicurare il cibo per tutti noi.
Si potrebbe pensare che data la
sua semplice formula sia abbastanza facile sintetizzarla dagli elementi
costituenti, uno dei quali (l’azoto), è presente in alta concentrazione nell’aria che respiriamo. Ci provarono in molti ma solo all’inizio del
secolo scorso si riuscì a farlo utilizzando alte pressioni e temperature adeguate,
in presenza di opportuni catalizzatori.
Il francese Henri Louis Le Châtelier (Parigi 1850– Miribel-les-Échelles, 1936)
brevettò, nel 1901, uno dei primi processi ma poi non proseguì gli studi anche
in seguito al verificarsi di un’esplosione. Restava parecchio lavoro da fare, specie in termini di condizioni operative
da dedursi dalla termodinamica, mentre rimanevano insoluti i problemi che
sorgevano quando si trattava di passare alla produzione industriale.
Il passo
avanti decisivo fu compiuto dal tedesco Fritz
Haber (Breslau,1868 - Basel, 1934) il quale, grazie anche alla
collaborazione con la BASF, attraverso il chimico e ingegnere Carl Bosch
(Colonia, 1874 – Heidelberg, 1940), riuscì nell’intento, prima con
catalizzatori a base di uranio e osmio, poi con l’assai meno costoso ferro,
operando a 200 atmosfere e 400-450°C. Il
primo brevetto di Haber è del 1908,
la produzione con tecnologia Haber-Bosch (impianto pilota) del 1910,
l’inizio della produzione su scala industriale del 1913.
Haber vinse, nel 1918, il premio Nobel per la Chimica proprio per la
sintesi dell’ammoniaca dagli elementi. Anche Bosch ottenne lo stesso
riconoscimento nel 1931, insieme a Friedrich Bergius, per l’invenzione e lo
sviluppo di metodi chimici ad alta
pressione. L’assegnazione del premio ad Haber fu duramente contestato dagli
scienziati dei paesi che avevano combattuto contro la Germania durante la
Grande Guerra. Ciò che gli rimproveravano era il fatto di essersi impegnato,
con zelo quasi fanatico, nelle operazioni militari basate sui gas anzi, in
qualche caso, di averle dirette di persona.
L’attacco chimico alla cittadina
belga di Ypres (22 aprile 2015), in cui furono rilasciate 168 tonnellate di cloro gassoso su un fronte
di circa sei chilometri, causando la morte di 5000 soldati alleati in soli
dieci minuti, valse a Bosch il macabro soprannome di “generale in camice
bianco” e padre della guerra chimica.
Se la sintesi dell’ammoniaca era stata
una conquista epocale, benefica per l’Umanità, almeno per quanto si riferiva all’agricoltura,
lo sviluppo degli esplosivi da usarsi in guerra e l’orrore delle armi chimiche
gettava ombre pesanti sulla figura di Bosch. Anche la sua vita famigliare ne
risentì pesantemente in quanto la moglie, Clara Immerwahr (Breslau, 1870 – Dahlem, 1915),
anche lei chimico, non approvava affatto le scelte del marito.
Clara era stata
la prima donna a conseguire il dottorato a Breslau (2 Dicembre 1900). L’aveva
ottenuto in chimica fisica con una tesi
sulla solubilità dei sali metallici, avendo come supervisore Richard Abegg
(1869-1910). Dopo il dottorato, Clara intraprese la carriera scientifica sotto
la guida di Abegg e si conoscono almeno cinque articoli scientifici con la sua
firma. Aveva sposato Haber nel 1901 e, da quel momento, la sua carriera finì
perché sacrificò i suoi interessi alla famiglia e soprattutto perché
soverchiata dal carattere totalizzante del marito. La convivenza con Haber si
trasformò presto in un supplizio. Il marito era talmente assorbito dal lavoro
al punto di ignorare, quasi, l’esistenza dei famigliari e il suo furore
ideologico, aborrito dalla moglie completò il quadro.
Ricorre
quest’anno l’anniversario della morte di Clara, la cui tragica fine, dovuta a suicidio,
non può essere relegata semplicemente ad
episodio di natura famigliare ma costringe, ancora una volta, a porsi
interrogativi sul cattivo uso della scienza. Forse, anche per questo, intorno a lei sono fioriti drammi teatrali,
programmi televisivi e un
importante premio scientifico.
In
occasione dell‘8 Marzo piace qui ricordarla come la prima donna che ottenne il
dottorato a Breslau. Fu un esempio coraggioso di emancipazione femminile,
tristemente naufragato anche a causa dell’egoismo maschile e della follia
distruttiva di una guerra che travolse le coscienze.
Per
saperne di più:
Jan Apotheker (Ed.), Livia Simon Sarkadi (Ed.), “European Women in Chemistry”, Wiley, 2011