Internet
è buona, cattiva o neutra? L’intelligenza artificiale prenderà il sopravvento
su quella umana? I big data rappresentano una risorsa o una minaccia per la
nostra privacy? Domande, queste, che aleggiano nell’aria da svariati decenni,
ma che hanno cominciato a diventare pressanti negli ultimi anni, da quando cioè
il progresso tecnologico ha cominciato a mostrare coi fatti quanto sia delicato
e instabile il rapporto tra società, cultura e tecnologia.
Naturalmente
non ci sono ancora risposte a queste domande: non perché manca la capacità di
immaginare il futuro, ma perché mancano definizioni univoche che chiariscano di
cosa esattamente stiamo parlando.
Luca De Biase è uno degli intellettuali più lucidi e competenti attivi oggi in Italia. Esperto in innovazione tecnologica e cultura digitale, è uno degli osservatori più intelligenti e acuti del cambiamento epocale che la nostra società e la nostra cultura stanno attraversando. Il grande merito del suo ultimo saggio, Homo pluralis, sta nel rinunciare alla tentazione di fare previsioni sul futuro per definire il framework narrativo più efficace a definire l’ecosistema in cui la società post-moderna convive con il suo impianto tecnologico e con gli strumenti culturali tesi a interpretarlo. Questo libro è uno dei maggiori contributi su questo tema che siano stati dati in Italia negli ultimi anni. «La rete – spiega il giornalista all’inizio del libro – assume una forma coerente con la grande narrazione che la società accetta per descrivere la propria prospettiva». La grande intuizione di De Biase, che anima l’intero libro, è che il modo migliore di costruire un futuro soddisfacente sia inventare una narrazione coerente con i nostri scopi.
L’epoca
attuale, che è post-ideologica per definizione, è confusa proprio perché non
presenta una narrazione dominante. E per questo ci ritroviamo ad assistere a
scontri e dibattiti polarizzati da due visioni estremiste: quella tecnoscettica
e quella tecnoentusiasta. Occorre una sintesi in grado di cogliere appieno il
quadro complessivo e insieme la Zeitgeist,
in tutte le sue sfaccettature. Per De Biase questa sintesi esiste e ruota attorno
al concetto di “pluralità”.
Attualmente,
sostiene l’autore, è in atto una competizione tra tre frame narrativi principali: quello iperliberista (alimentato
dall’utopia di un mercato autoregolamentato in grado di prendere le decisioni
migliori), quello tecnocentrico (che confida nella speranza che il progresso
tecnologico troverà in futuro le soluzioni a tutti i problemi attuali) e quello
ecologista (in cui la diversità è ricchezza e l’approccio, essenzialmente
olistico, è orientato all’equilibrio tra le varie dimensioni).
L’autore
analizza in maniera encomiabile queste tre “visioni”, portando decine di esempi
a sostegno della sua tesi: quella, cioè, secondo cui «il tempo dell’ecologia
come centro fondativo di una cultura più adatta alle sfide dell’avvenire sembra
essere giunto. […]» De
Biase non parla di ecologia intesa come ambientalismo, ma di un “approccio
ecologico” al rapporto tra individuo, società e macchine. Lo stesso approccio
che a partire dagli anni ’60 del secolo scorso è stato rivolto all’ambiente,
per tutelarlo e salvaguardarlo. L’idea di De Biase è che lo stesso approccio
sarebbe altrettanto efficace anche per l’ecosistema dei media.
Se
però la sensibilità ecologica per i temi ambientali è diventata nel corso dei
decenni parte della cultura condivisa, avverte l’autore, «l’approccio ecologico
ai media, alla politica e all’economia arranca su una strada ancora in salita».
Come si potrebbe impostare un approccio ecologico ai media, e come potrebbe tutto questo tradursi in scelte concrete, da effettuare oggi, da parte di sviluppatori e designer di nuove piattaforme online? Homo pluralis dovrebbe essere letto come un notevole e importante contributo in questa direzione. Così come la cultura ecologica si basa sulla valorizzazione della pluralità, allo stesso modo sarebbe utile porsi nella costruzione di una narrazione ecologista dei media. Da qui il concetto di “intelligenza plurale”, «che non appiattisce gli individui sulla struttura omogeneizzante della piattaforma ma li richiama costantemente alla molteplicità delle dimensioni della persona umana e della vita». L’intelligenza plurale, in questo senso, sana il conflitto tra intelligenza individuale e intelligenza collettiva, evitando di generare visioni troppo drastiche in una direzione o nell’altra.
L’“uomo plurale” immaginato da De Biase è esattamente come l’uomo ecologico: un individuo pienamente immerso in questa multidimensionalità, quindi consapevole e responsabile per la comunità oltre che per sé, nonché in grado di agire in prima persona per il bene del sistema. E poiché internet prende la forma della narrazione con cui decidiamo di interpretare il presente, le scelte di sviluppatori e designer possono attivare e impostare dinamiche che evitino i grandi rischi e le grandi dicotomie che caratterizzano la rete attuale. In questa prospettiva, internet può finalmente diventare l’arena in cui si gestiscono i beni comuni e si risolvono i problemi sociali. «I media sociali – sostiene De Biase – hanno dato vita a una fase della storia. Ora è forse il tempo dei media civici, concepiti non solo per far incontrare persone che si piacciono, ma per affrontare in modo nuovo i problemi di convivenza tra persone che hanno qualcosa da mettere in comune».
Homo pluralis è un libro denso, stratificato, profondo. Illuminante e rivelatore perché non semplifica la complessità ma la incanala in prospettive nuove ed efficaci. È un libro importante in quanto tratteggia una via di uscita al grande marasma dei nostri tempi, e lo fa proponendo un grande cambiamento nel paradigma con cui pensiamo all’infosfera. La tesi di De Biase è forte e difficilmente attaccabile perché viene dimostrata in maniera completa, usando con competenza e perizia argomenti che provengono dalle discipline scientifiche, dalla filosofia, dalla tecnica, dalla storia, dall’economia. È un libro di cui parlare non solo perché si colloca con solidità e sicurezza nel piano di un dibattito internazionale, ma soprattutto perché in questo dibattito siamo tutti coinvolti. E la posta in gioco, come abbiamo sperimentato tutti sulla nostra pelle, è estremamente alta.