In una sorta di damnatio memoriae siamo costretti a riaffrontare vecchi problemi
ambientali come se fossero nuovi. E’ il caso dell’energia, dove ogni anno
riscopriamo il risparmio e l’efficienza energetica, il Negawatt al posto del
Megawatt, magari riprendendo parole d’ordine di nuovi guru, dimenticandoci che
di risparmio ed efficienza in Italia si era cominciato a parlare in forme nuove
subito dopo la crisi energetica del 1973.
Protagonista di quella nouvelle vague
fu Giancarlo Pinchera, dapprima, laureato in ingegneria chimica, convintissimo che la nuova tecnologia nucleare potesse,
nel dopoguerra, trarre l’Italia dalla sua povertà di risorse e garantire uno
sviluppo illimitato. Poi sempre di più convinto che lo
sviluppo avesse in realtà dei limiti - nelle risorse e nelle sue stesse
emissioni, che pochi anni dopo avrebbero inaugurato la stagione del
riscaldamento globale. E che la via dell’atomo fosse lastricata di buone
intenzioni, ma anche di insidiosi incidenti (Three Mile Island 1979; Chernobyl
1986) e - in un paese affetto da sismicità fisica e istituzionale come
l’Italia - di un’incertezza gestionale di fondo (vedere problema scorie,
per esempio).
Ci ricorda queste e altre cose il
recente libro di Pietro Greco Giancarlo Pinchera. Pioniere dell’efficienza.
La storia di una vita che, partire dalla
nascita nel 1933 a Cassino, vede il nostro laurearsi in ingegneria chimica, far
parte dei primi programmi nucleari italiani del dopoguerra e del loro squallido
tramonto per ragioni politiche culminato nell’arresto di Felice Ippolito,
presidente del CNEN, nel 1963, vittima di una imboscata ordita dal non ancora
presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Il periodo di lavoro di Giancarlo
Pinchera nel nucleare proseguì per qualche tempo al centro di Casaccia
dell’ENEA studiando i reattori autofertilizzanti, quando comincio a incrociarsi
con la militanza nel partito comunista italiano.
Il tramonto e il definitivo
seppellimento dell’opzione nucleare in Italia si interseca con la crisi petrolifera del 1973 e la conseguente austerity, con i servizi al telegiornale
delle famiglie che uscivano in bicicletta. Il tema dell’austerità divenne, in
un famoso discorso dell’allora segretario del Partito comunista italiano Enrico
Berlinguer (1977), un invito all’austerità, di fatto una lotta allo spreco.
Austerità che all’epoca fu poco capita ma che in realtà coglieva lo spirito dei
tempi, la nascita della sensibilità ambientale, annunciata da opere come
i limiti dello sviluppo del Club di Roma (animato
dall’"ingegnere della FIAT" Aurelio Peccei) e sistematizzata
nel Cerchio da chiudere di Barry Commoner.
Sulle ceneri del nucleare nasce l’ambientalismo italiano, di cui Pinchera fu uno dei protagonisti insieme a molti altri: da Nicola Caracciolo e Mario Fazio di Italia Nostra a Fabrizio Giovenale, Chicco Testa ed Ermete Realacci di Lega per l’ambiente (poi Legambiente), a Fulco Pratesi e Gianfranco Bologna del WWF. Insieme a Gianni Silvestrini, Umberto Colombo e altri esperti d’energia, Pinchera capì già negli anni settanta che il profilarsi della crisi energetica, ecologica e climatica del pianeta chiedeva soluzioni diverse: non antitecnologiche ma neppure ipertecnologiche, piuttosto soluzioni consapevoli della complessità del tema e non prive di una loro eticità di fondo.
Da qui l’idea che la strada maestra sarebbe dovuta diventare ben presto la decarbonizzazione dell’economia, quindi l’archiviazione delle fonti fossili, lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione soprattutto nel campo delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e del risparmio nei consumi. In questo modo si poteva prefigurare quella "società neotecnica”, di cui in Italia parlò per la prima volta un altro protagonista di quella stagione, il “merceologo” Giorgio Nebbia, che in un convegno organizzato da Italia Nostra nel 1979 la dipingeva come una società “che prevede città meno congestionate, una distribuzione equilibrata della popolazione e delle attività umane nel territorio, il recupero dei centri storici e delle città minori, che prevede sistemi di trasporto con minori consumi di energia e di inquinamento”. Non quindi un ritorno alle candele ma un modo diverso, democratico e partecipato di sviluppare soluzioni tecnologiche compatibili con la tutela dell’ambiente e la valorizzazione delle caratteristiche del Belpaese.
A questo progetto culturale e politico (in parte fallito) Pinchera diede tutto se stesso, sia come studioso (dal solare all’auto elettrica, agli effetti dell’inquinamento dell’aria ai gas climalteranti), sia come civil servant: prima nel ministero dell’ambiente diretto da Giorgio Ruffolo (e poi da Carlo Ripa di Meana), poi, con la vittoria di Francesco Rutelli alle comunali di Roma nel 1993, in qualità di direttore della società di gestione dei rifiuti della capitale (AMA), per la quale immaginò e in parte realizzò una rivoluzione organizzativa e culturale, puntando al dimezzamento della quantità di rifiuti da conferire in discarica, avviando i primi inceneritori a recupero di energia, ma anche insistendo su un diverso modo di collocare gli impianti del trattamento rifiuti attraverso un “controllo rigorosissimo fatto di con la sorveglianza della comunità”.
La morte
prematura per ictus che lo colse il 2 settembre 1995 aprì una terribile ferita
umana e culturale in quel fronte ancora troppo esile, ancora minoritario, che
infatti non riuscì a portare a compimento il “sogno neotecnico” e a tradursi
nell'ethos di una nuova classe dirigente del paese. Almeno a giudicare dal
perdurare, anno 2015, delle centrali a carbone, delle terre dei fuochi,
dell’epilogo dell’ILVA e delle numerose altre “primavere silenziose” italiane.
Il seme di Giancarlo Pinchera ha fruttato, ma l’albero sta crescendo ancora.
Crescerà, ma quanta fatica, quanta intelligenza, quanta lotta serviranno
ancora?