Le anomalie registrate dall’Alpha magnetic spectrometer (AMS), il “cacciatore di antimateria” che dal 2011 si trova a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, sono un fatto scientifico importante. Il numero di antiprotoni ad alta energia rilevato nei mesi scorsi risulta eccessivo rispetto alle possibili fonti note di antimateria: e bene hanno fatto i dirigenti del CERN di Ginevra lo scorso 15 aprile a darne notizia con un certo rilievo. Ma è del tutto fuori luogo sostenere – come hanno fatto alcuni mass media italiani – che siamo di fronte a una scoperta che cambia il volto e addirittura le leggi della fisica. Ed è ancora presto – molto presto – anche per affermare che abbiamo individuato le prime tracce di “materia oscura” nell’universo. Prudenza, ragazzi.
Cerchiamo di capire cosa è successo. Perché la misura è importante e perché non è il caso di parlare di una “rivoluzione nei cieli”. Chi segue i fatti della fisica sa che, tra i molti problemi irrisolti, c’è quello della presenza della “materia oscura” nell’universo. In altri termini noi “vediamo” (con tutte le strumentazioni possibili) meno del 5% di tutta la materia/energia presente nel cosmo. Mentre le osservazioni ci fanno “pesare”, per gli effetti gravitazionali che produce, una quantità di materia invisibile e sconosciuta pari a circa il 25% della materia/energia cosmica. La chiamiamo “materia oscura” non solo perché non la vediamo, ma anche perché non ne conosciamo la natura. Il restante 70% dell’universo è costituito da un’ancora più misteriosa “energia oscura”.
Da dove viene la materia oscura?
Obiettivo dei fisici è, naturalmente, cercare di scoprire in qualche modo la natura della “materia oscura”, di cui sappiamo solo che non risente della forza elettromagnetica. Un altro problema con cui si misurano i fisici è quello che il nostro universo è costituito per intero di materia, mentre esistono solo tracce di antimateria. Le due si distinguono solo perché, a parità di ogni altra caratteristica, hanno carica elettrica opposta. A un elettrone di materia con carica elettrica unitaria negativa, per esempio, corrisponde un elettrone di antimateria (chiamato positrone) del tutto simile, tranne che ha una carica elettrica positiva. Allo stesso modo, a un protone di materia con carica elettrica unitaria positiva, corrisponde un antiprotone con carica elettrica negativa. Quando particelle di materia e antimateria si incontrano, si annichilano reciprocamente liberando enormi quantità di energia.
Il problema è che tutti i modelli ci dicono che materia e antimateria sono (sarebbero) state prodotte in egual misura nei primi istanti successivi al Big Bang che ha generato il nostro universo. E allora, perché oggi viviamo in un universo di materia? Cosa ha portato la materia a vincere in una battaglia con l’antimateria che non avrebbe dovuto avere alcun vincitore?
Queste due classi di domande – e altre ancora – inducono a ritenere che il quadro teorico delle alte energie non sia completo e che ci sia qualcosa “oltre il Modello Standard”, ovvero il modello che, con la scoperta nel 2012 del “bosone di Higgs” ci offre un quadro stabile (ma, appunto, incompleto) della fisica delle particelle.
L'exploit italiano
È per rispondere a queste domande che, nel 2001, è stato collocato sulla Stazione Spaziale Internazionale l’AMS, un rivelatore di antimateria alla cui realizzazione hanno concorso in maniera significativa i fisici italiani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) guidato da Fernando Ferroni. Alla progettazione e alla realizzazione dell’AMS ha concorso in particolare il fisico Roberto Battiston che oggi dirige l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Per cui è con legittimo orgoglio che Ferroni e Battiston hanno sottolineato l’importanza scientifica delle misure di AMS: l’Alpha magnetic spectometer sta lavorando bene e producendo ottimi risultati, a riprova (a ennesima riprova) che la fisica italiana continua a collaborare e competere alla pari con quella dei paesi più avanzati.
AMS ha dunque rilevato un eccesso di antiprotoni ad alta energia. Ma eccesso rispetto a che? Beh, è chiaro: rispetto a tutte le cause note di produzione di antimateria. Sebbene in tracce, l’antimateria esiste nel nostro universo. E viene prodotta in alcuni processi, per esempio con l’impatto dei raggi cosmici (particelle ad alta energia) con la polvere interstellare o con la stessa atmosfera terrestre. Nessuna fonte nota di antimateria è in grado di spiegare il gran numero di antiprotoni rilevati da AMS. Le possibilità sono diverse, allora. O che esistono altre fonti astrofisiche sconosciute di antimateria; o che i nostri modelli cosmologici siano da rivedere; oppure che si tratti di un indizio, indiretto, della presenza e dell’interazione di “materia oscura”.
Manca ancora la prova
Il problema della “materia oscura” è, come abbiamo detto, che non ne conosciamo la natura. Non sappiamo di cosa è fatta. Ma ci sono modelli teorici che ipotizzano l’esistenza di particelle neutre e molto pesanti. Sempre i modelli teorici prevedono che, in alcune circostanze, queste particelle neutre e pesanti possano generare in buona quantità antiprotoni ad alta energia. Tutto questo non significa che gli antiprotoni ad alta energia rilevati in gran quantità da AMS siano “necessariamente” la prova – una prova, peraltro, indiretta – dell’esistenza della “materia oscura”. La spiegazione che lega gli antiprotoni di AMS alla “materia oscura” ipotizzata da alcune teorie è una possibilità. O, detto in altri termini, la scoperta di un eccesso di antiprotoni ad alta energia è compatibile con alcune teorie sulla “materia oscura”.
Occorrerà molto tempo e molte altre osservazioni indipendenti per collocare la misura di AMS in un quadro di spiegazione solida. Per sapere se quella particolare antimateria è il frutto di cause astrofisiche che non conosciamo o ci dice qualcosa sulla natura della “materia oscura”.
E' ricerca d'avanguardia, ma la fisica non ne sarà rivoluzionata
In ogni caso gli antiprotoni di AMS non modificano né il volto né le leggi della fisica. Né propongono rivoluzioni intorno alla “materia oscura”. Abbiamo infatti già indizi solidi (gli effetti gravitazionali) sulla sua esistenza. Potrebbero essere decisivi per scoprirne la natura. Per saperlo non dovremo fare altro che procedere con prudenza, aspettando con pazienza nuove misure da parte dell’equipe di AMS e di altri gruppi di ricerca sparsi per il mondo.
Con una notazione. La “materia oscura” è ormai alla frontiera della ricerca cosiddetta astro-particellare, ovvero la ricerca che accomuna astrofisici e fisici delle particelle. La competitività è altissima. Si confrontano grandi gruppi internazionali. Ciascuno vuole, legittimamente, arrivare primo a scoprirne la natura e a renderla “materia chiara”. Negli ambienti dei fisici si sapeva che AMS stava per rendere pubblici i suoi dati. E, forse, non è un caso che tre giorni prima, il 13 aprile, l’American Physical Society abbia presentato i dati della Dark Energy Survey sulla mappa a scala cosmica della “materia oscura” (http://deswl.github.io/page1/vikram_paper/vikram_paper.html). E che il giorno prima, il 15 aprile, l’Hubble Space Telescope ha reso noto i suoi dati sulla “materia oscura” che interagisce con se stessa (http://www.space.com/29115-dark-matter-interactions-galaxy-collisions.html). La competizione internazionale tra gruppi ad altissimo livello certamente aumenta la probabilità che presto si arrivi a sciogliere i misteri della “materia oscura”. Ma aumenta anche i rischi delle forzature. E, dunque, invita tutti a essere partecipi, ma prudenti.