L’insonnia fatale familiare (FFI) è una rara malattia genetica dovuta alla mutazione del gene della proteina prionica (PrP) la cui forma alterata tende a formare aggregati che si accumulano all’interno dei neuroni portandoli alla morte. Dal punto di vista sintomatico i pazienti affetti da questa patologia, per la quale purtroppo non esiste ancora una cura, manifestano sudorazione continua, tremori, disturbi comportamentali, decadimento cognitivo e un rapido e inarrestabile dimagrimento, ma soprattutto l’impossibilità di prendere sonno proprio a causa della morte dei neuroni del talamo, una delle regioni del cervello deputate al controllo dei ritmi circadiani.
Ora c'è uno strumento in più per studiarla e comprenderne i meccanismi. Un gruppo di ricercatori italiani ha appena pubblicato sulla rivista PLOS Pathogens uno studio sullo sviluppo di un modello murino che ricapitola le caratteristiche fenotipiche e comportamentali della patologia. Il progetto, ideato e realizzato da Roberto Chiesa, del Dipartimento di Neuroscienze dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano, è stato svolto grazie alla collaborazione con Fabrizio Tagliavini della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta”, esperto di malattie da prioni e con Luca Imeri del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano, esperto di sonno che ha eseguito i test elettroencefalografici sui topi transgenici per verificare se gli animali riproducevano correttamente le alterazioni del sonno caratteristiche della malattia umana.
I risultati degli esperimenti sui topi transgenici
Inserendo nel
topo transgenico il gene mutato i ricercatori hanno indotto la produzione della
proteina PrP alterata dal punto di vista conformazionale. L’alterazione e la
sua tendenza ad aggregare sono sufficienti a causare nel topo una malattia che
ha le stesse caratteristiche della FFI umana tranne l’infettività.
Le malattie
da prioni, di cui fa parte anche la malattia
di Creutzfeldt-Jakob (CJD), l’analogo umano del morbo della mucca pazza, sono
infatti considerate malattie infettive e la FFI non fa eccezione: benché sia
una malattia genetica e quindi trasmissibile solo mediante ereditarietà, è
stato sperimentalmente dimostrato che nel cervello dei pazienti si può formare
un prione in grado di infettare animali da laboratorio sani. “I nostri
risultati indicano che l’infettività e la patogenicità della proteina prionica
mutata sono due aspetti dissociabili del prione” spiega Roberto Chiesa. “Nei
nostri studi sulla proteina alterata prodotta dal topo transgenico FFI e dal
modello murino CJD che abbiamo sviluppato in precedenza abbiamo scoperto che
ciò che causa la degenerazione dei neuroni è una forma alterata dal punto di
vista conformazionale della proteina che non necessariamente coincide con la
forma infettiva. È come se della proteina prionica esistessero diverse forme: la
forma normale che esiste nel cervello di tutti i mammiferi compreso l’uomo e di
cui non è ancora ben chiara la funzione fisiologica – ma si ritiene possa
essere coinvolta anche nella regolazione dei ritmi circadiani di sonno-veglia –,
e le forme alterate che tendono ad aggregarsi. Alcuni degli aggregati sono
tossici, altri sono anche infettivi, cioè sono in grado di propagarsi inducendo
l’alterazione della proteina PrP normale.”
E aggiunge: “FFI
e CJD condividono la stessa mutazione D178N ma presentano un diverso
polimorfismo all’aminoacido 129. Questo polimorfismo influenza la tendenza ad
aggregare delle PrP mutate e porta all’accumulo degli aggregati in
compartimenti diversi all’interno della cellula. Abbiamo visto infatti che ciò
che sembra causare la disfunzione neuronale e in ultima analisi la morte del
neurone è l’accumulo delle proteine mutate nella via secretoria neuronale, per
lo più nel reticolo endoplasmatico nel caso della malattia CJD, e
principalmente nel Golgi per la FFI. Gli aggregati trattengono con sé le
proteine con le quali interagiscono normalmente (ad esempio recettori e canali
ionici) impedendo che possano raggiungere la loro corretta collocazione sulla
membrana cellulare e creando così un grave danno al neurone.”
Nel modello murino di FFI l’espressione della proteina wild-type attenua il manifestarsi delle alterazioni del sonno. “Pensiamo che ci siano due componenti in questa malattia” spiega ancora il ricercatore “da un lato la proteina mutata perde la propria funzione fisiologica nella regolazione del sonno; dall’altro tende ad aggregarsi e misfoldare fino a diventare tossica e particolarmente dannosa per le regioni del cervello che controllano il sonno.”
E sottolinea: “Avere a disposizione un modello transgenico è fondamentale per capire i meccanismi patogenetici di queste malattie ma anche per testare potenziali terapie. Negli ultimi anni è infatti emerso che i prioni hanno la capacità di mutare e di eludere il trattamento farmacologico sviluppando una resistenza, perciò è importante testare l’efficacia delle nuove molecole nel più ampio spettro possibile di animali da laboratorio, che ancora oggi rappresentano l’unico modello che ci permetta di comprendere a fondo i meccanismi patogenetici dandoci la possibilità di analizzare gli effetti degli eventuali farmaci.”
Lo studio è stato finanziato da Telethon, dal Ministero della Salute e da Fondazione Cariplo.