Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) sono un gruppo
di patologie che affliggono circa 200.000 italiani, tra cui purtroppo anche
molti bambini (circa il 20-25%). I sintomi sono particolarmente fastidiosi in
quanto comprendono forti dolori addominali, sangue anche occulto nelle feci,
incontinenza, ritardo dello sviluppo, deficit di crescita, artrite,
malnutrizione e febbricola e influiscono pesantemente sulla qualità della vita
del malato.
Le cause non sono ancora note, anche se si ipotizzano una reazione
immunologica abnorme e la predisposizione genetica. A tutt’oggi, se si eccettua
l’intervento chirurgico che però crea gravi complicazioni, non esistono cure
definitive ed i pazienti vengono sottoposti a terapie croniche con
antiinfiammatori.
Sulla scia degli studi
precedenti, nei quali avevano testato talidomide nella cura del morbo di Chron,
una delle MICI, un gruppo di ricercatori italiani ha valutato l’efficacia del
farmaco anche su pazienti affetti da colite ulcerosa pediatrica refrattaria
alle terapie convenzionali.
La ricerca, pubblicata sull’ultimo numero della
rivista Inflammatory Bowel Diseases,
è stata coordinata da Marzia Lazzerini
dell’ospedale pediatrico IRCCS Burlo Garofolo di Trieste in collaborazione con
l’IRCSS Gaslini di Genova e i Centri pediatrici universitari e ospedalieri di
Pisa, Messina, Milano, Firenze e Brescia. “Abbiamo iniziato a utilizzare
talidomide presso la clinica pediatrica di Trieste già negli anni ’90,
inizialmente nel trattamento dei bambini affetti da MICI che non avevano
nessun’altra possibilità terapeutica” ci spiega la Lazzerini. “Dopo circa 30
casi trattati con buoni risultati abbiamo deciso di proporre, nel 2006, un
protocollo di ricerca all’agenzia italiana del farmaco (AIFA). Il finanziamento
ottenuto da questo ente nel 2007 ci ha consentito di condurre una vera e
propria sperimentazione randomizzata controllata negli anni dal 2008 al 2012.
Nel 2013 abbiamo pubblicato i primi risultati sul trattamento del morbo di
Chron e quest’anno l’articolo sulla seconda fase della sperimentazione clinica
sui casi affetti da colite ulcerosa.”
Lo studio ha coinvolto
26 pazienti di età compresa tra i 2 e i 18 anni e ha evidenziato un forte miglioramento
dato dall’utilizzo di talidomide come regime terapeutico. I risultati sono
stati talmente favorevoli da indurre i medici a ridurre progressivamente le
dosi del farmaco, mantenendo i benefici.
“Considerati i risultati
di questo studio talidomide ha dato prove favorevoli molto forti al suo
utilizzo come terapia nelle malattie infiammatorie croniche” sottolinea
Lazzerini. E aggiunge: “Nella nostra sperimentazione i bambini selezionati per
il trattamento erano resistenti agli altri farmaci. Il prossimo progetto che
abbiamo sottoposto all’AIFA coinvolgerà anche soggetti con patologia non
resistente. Lo scopo è di anticipare alla seconda linea la somministrazione del
farmaco ed osservarne gli effetti a lungo termine.”
Talidomide, dalla tragedia alla possibile cura di molte patologie
Talidomide è un farmaco
tristemente noto per la sua teratogenicità. Fu infatti sviluppato e messo in
commercio da una azienda farmaceutica tedesca negli anni Cinquanta e Sessanta
come sedativo, anti-nausea e ipnotico e ritenuto particolarmente adatto alla
donne in gravidanza. All’epoca non erano noti gli effetti avversi sul feto, in
particolare sullo sviluppo degli arti e furono riscontrati molti casi di
anomalie fetali a seguito dell’assunzione del medicinale. Talidomide fu
ritirato dal commercio alla fine del 1961, dopo che era stato diffuso in più di
50 paesi sotto 40 nomi commerciali differenti.
Ma Marzia Lazzerini ci spiega: “La teratogenicità è in realtà l’aspetto più
controllabile del farmaco. Per ogni paziente che utilizza la talidomide viene applicato
il cosiddetto ‘pregnancy risk program’ (programma di rischio per la gravidanza)
cioè un protocollo di controllo anticoncezionale obbligatorio. Per quanto
riguarda il suo utilizzo nelle MICI, l’effetto collaterale più dannoso per il
paziente è l’insorgenza di una neuropatia periferica, condizione certamente non
trascurabile ma meno grave rispetto ai danni di crescita provocati dal
trattamento con cortisone o all’indebolimento del sistema immunitario con conseguente
insorgenza di gravi infezioni e all’effetto neoplastico di altri farmaci.
L’insorgenza della neuropatia dovuta all’uso di talidomide può essere
rallentata riducendo le dosi di farmaco ma mantenendo l’efficacia terapeutica.
A differenza degli altri farmaci infatti, talidomide non perde efficacia nel
tempo ma i suoi effetti benefici perdurano finché viene somministrata. Dato che
i pazienti finora trattati erano tutti refrattari alle altre cure, non si può
escludere che in altri la talidomide possa dare tempi di remissione anche dopo
la sospensione.”
Negli ultimi anni, grazie allo studio del suo meccanismo d’azione, talidomide è stata riproposta come terapia in svariate patologie. Attualmente viene utilizzata per la cura dell’AIDS e di malattie autoimmuni quali il Lupus eritematoso sistemico e la malattia di Behçet. Il farmaco si è inoltre dimostrato in grado di inibire alcune molecole responsabili della proliferazione tumorale e dell’angiogenesi, cioè dello sviluppo di nuovi vasi sanguigni essenziali per la crescita del tumore. Talidomide contrasta perciò lo sviluppo del tumore e può ridurre alcuni dei sintomi che si manifestano nei pazienti oncologici quali febbre, sudorazione notturna e forte calo di peso. Da una decina di anni è stata introdotta nella terapia del mieloma mutliplo, una della neoplasie del sangue più diffuse. Il medicinale ha dimostrato una forte efficacia nei pazienti anziani per i quali ha prolungato il tempo di ricaduta.
Ora i nuovi studi fanno ben sperare dall’utilizzo di questo farmaco anche per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali.