Il 14 luglio gli astronomi realizzeranno un sogno che inseguono
da decenni: visitare Plutone con il suo sistema di lune grandi e piccole.
Scoperto
nel 1930 da Clyde Tombaugh all’osservatorio Lowell, in Arizona, Plutone è stato
a lungo considerato il nono pianeta del sistema solare. Al tempo del grand tour delle missioni Voyager, la sua posizione non era raggiungibile
e questo avevo fatto di Plutone l’unico dei corpi principali del sistema solare
a non avere ancora ricevuto la visita delle nostre sonde. Non restava che cogliere
l’occasione che si è presentata nel 2006 con un allineamento favorevole tra
Terra, Giove e Plutone che ha permesso di sfruttare anche un calcio
gravitazionale da Giove per rendere la missione New Horizons la sonda più
veloce che abbiamo mai spedito per studiare i corpi del sistema solare.
E
un’occasione unica che si ripeterà tra due secoli, vista l’orbita del lontano
Plutone. E’ questa peculiarità che ha salvato New Horizons dalla scure dei
tagliatori di missioni spaziali, ma la battaglia non è stata facile e la
missione, per sopravvivere, ha dovuto cambiare nome tre volte. La malasorte non
ha smesso di accanirsi perché, pochi mesi dopo il lancio, avvenuto nel gennaio
2006, l’Unione Astronomica Internazionale, durante la sua assemblea mondiale ad
agosto, ha declassato Plutone a minipianeta, cosa che non è stata affatto
apprezzata dalla NASA.
New Horizons va troppo veloce per potersi mettere in orbita
intorno a Plutone, non ha abbastanza carburante per la frenata. Sarà un flyby cioè
un passaggio ravvicinato (a 14.000 km dal pianeta), ma relativamente breve, che
gli scienziati dovranno utilizzare al meglio per raccogliere quante più
informazioni possibili sul mini pianeta Plutone e le sue lune. Tutto dovrà
essere deciso in anticipo perché i segnali impiegano 4 ore e mezzo a
raggiungerci dal lontano Plutone ed è impossibile fare aggiustamenti
dell’ultimo minuto. La sequenza delle operazioni dovrà essere pensata nei
minimi particolari perché non ci sarà una seconda possibilità.
È una rivisitazione
moderna dei mitici flyby dei due Voyager che, tra il ’79 e l’89, hanno
inanellato le visite di Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ad ogni flyby nuove
scoperte, ma anche nuovi stress per i gestori della missione che temporizzavano
la loro vita privata per non avere impegni durante i flyby. Matrimoni, nascite,
corsi di specializzazione, soggiorni all’estero sfruttavano i periodi di
crociera interplanetaria, durante i quali le attività erano ridotte. Una
simbiosi incredibile tra uomini e macchine che dura da mezzo secolo e viene
raccontata benissimo nel libro Interstellar
Age di Jim Bell che al Jet Propulsion Laboratory (JPL), seguendo i Voyager,
è cresciuto ed è ora un famoso scienziato. Sono cresciuti anche gli studenti che hanno
costruito il rivelatore di polveri a bordo di New Horizons.
Si chiama SDC
(Student Dust Counter) e la curiosità sui prossimi risultati ha già richiamato
gli ex studenti che, pur avendo carriere in altri campi, non hanno resistito al
richiamo del loro strumento.
Cambiano le
sonde e la potenza dei calcolatori utilizzati ma la meticolosità della
preparazione rimane la stessa: bisogna decidere dove, e per quanto tempo,
puntare ognuno dei sette strumenti di bordo. Avranno provato la manovra e la
sequenza delle operazioni centinaia di volte per trovare il mix giusto per
studiare quella che sembra un’adunanza nel regno dei morti declinato secondo la
mitologia greco romana. Infatti, ad orbitare attorno a Plutone, ci sono la maxi
luna Caronte, scoperta nel 1978, insieme alle lunette Stige, Idra, Cerbero e
Notte, svelate dallo Hubble Space Telescope nell’ultimo decennio.
Dopo il flyby, New Horizons continuerà il suo viaggio verso la fascia di Kuiper, il serbatoio delle comete del sistema solare, alla ricerca di qualche nuovo oggetto da esplorare. Ad aggiungere un tocco di umanità alla macchina c’è un piccolo contenitore con un pizzico delle ceneri di Clyde Tombaugh. E’ stato il primo umano a vedere Plutone e sarà l’unico a passarci vicino.
Articolo pubblicato su Domenica – Il Sole 24 ore