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Green Belts: rammendiamo i margini urbani con il verde

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Il concetto di Green Belt venne introdotto per la prima volta dalla Regional Planning Committee della circoscrizione di Londra nel 1935. L’obiettivo era cingere la città con un’ampia area verde, pubblica e con funzione ricreativa per i cittadini. Vent’anni dopo, le Green Belt cominciarono a essere incluse nei piani di sviluppo di tutti i più ampi centri urbani del Regno Unito col risultato di svilupparsi, alla fine degli anni Novanta, su circa il 12% del territorio urbano inglese. 

Oggi la politica delle cinture verdi si è rivelata una soluzione lungimirante e da cui sempre più prendere esempio per fronteggiare il rapido sviluppo urbano degli ultimi decenni. All’obiettivo iniziale se ne sono poco alla volta aggiunti altri. In particolare nel Planning Policy Guidance 2  (LINK?) vengono riconosciuti alle Green Belt cinque propositi fondamentali. Non solo il contenimento dello sviluppo urbano, bensì anche l’incentivo alla riqualificazione delle aree urbane degradate e dei centri storici fatiscenti.  Fuori dal Regno Unito, l’esempio di Francoforte è forse il più riuscito: 8 mila ettari di spazi aperti che contornano le vecchie mura della città. Nel Manifesto della cintura verde di Francoforte (1996) emerge chiaramente il valore attribuito ai concetti di “libertà” e apertura del parco, che non essendo strutturato in maniera funzionale specifica, si presta alla molteplicità degli interessi dei cittadini.

In Italia non sono mancati tentativi di imitazione della politica inglese, anche se raramente con buoni risultati. Solo a partire dal 2000 alcune città hanno inserito progetti di Green Belt nei propri piani regolatori nel tentativo di fronteggiare l’espansione dell’edificato nelle circostanti aree agricole. E’ di Torino, ad esempio, il progetto Corona Verde per integrare le Residenze Reali e i parchi agricoli che circondano la città, progetto però ancora lontano dal compimento.  Nel 2006 l’allora Provincia di Milano, in collaborazione col Politecnico, ha lanciato il progetto Metrobosco con il proposito di riforestare quelle zone che circondano la città per collegare i grandi parchi dell’hinterland milanese: tre milioni di nuovi alberi da piantare in dieci anni che però sono rimasti sulla carta. Nel frattempo la Provincia di Milano non esiste più, e la pratica è passata (insieme ai debiti…) alla istituenda Città Metropolitana, che proprio in questi mesi sta mettendo a punto il suo statuto. Fra i vari punti, c’è il rilancio del verde di scala metropolitana.

A tutt’oggi, la soluzione inglese resta tra le più fortunate per la grande sfida della riqualificazione delle zone periurbane. Renzo Piano lo conferma in un recente articolo: «È necessario mettere un limite alla crescita a macchia d’olio, non possiamo più permetterci altre periferie sempre più lontane […] serve una cintura verde che definisca con chiarezza il confine invalicabile tra città e campagna».


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