L’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta
che l’inquinamento atmosferico è responsabile di 7 milioni di morti premature nel mondo[1]. Oltre 4 milioni di queste morti sono attribuibili
all’inquinamento indoor, quasi totalmente
derivanti dall’uso di combustibili “poveri” per uso domestico nei paesi in via di sviluppo
dell’Africa e del Sud-est asiatico.
Le morti premature
attribuibili all’inquinamento atmosferico comunemente inteso
ammontano quindi in tutto il mondo a circa 3.7 milioni e il principale “killer” risulta essere il particolato atmosferico “fine”, le particelle sospese in atmosfera con
dimensioni inferiori a 2.5 micrometri (PM2.5). Anche in questo caso,
la mortalità più elevata si riscontra
nei paesi dell’Asia, con la sola Cina che sconta circa 1.4
milioni di morti premature dovute all’inquinamento.
L’Europa non è comunque esente da questo problema, con un numero
stimato in circa 870 mila morti premature dovute al PM2.5. La Fig. 1
mostra la riduzione dell’aspettativa di vita
dovuta al PM2.5 in Europa. Appare evidente che i massimi di
riduzione dell’aspettativa di vita si verificano nella Pianura
Padana e nell’area attorno al Benelux.
Fig. 1 – Diminuzione statistica della speranza di vita in Europa (espressa in mesi relativamente all’anno 2000) dovuta ai livelli di concentrazione di PM2.5 antropico.
Il particolato atmosferico fine
Il particolato
atmosferico è costituito da particelle emesse da sorgenti naturali
(polveri desertiche, spray marino, emissioni dalle foreste) e antropiche
(produzione di energia, traffico veicolare, combustione di biomasse, ecc.).
Le
particelle emesse come tali in atmosfera sono dette “particolato primario”. Una grossa
percentuale del particolato atmosferico non viene però emessa come tale, ma viene formata in atmosfera per effetto di reazioni
chimiche che, partendo da precursori gassosi, generano particelle solide dette
quindi “particolato secondario”[2].
Per ridurre la
concentrazione di particolato in atmosfera e preservare la salute umana si deve
agire sulle sorgenti di origine antropica, non essendo ovviamente possibile
controllare le sorgenti naturali. Le prime azioni messe in campo per la
riduzione delle sorgenti di particolato hanno riguardato il particolato
primario: agendo sulla sorgente con misure tecnologiche e/o di efficientamento
si riducono le emissioni e, conseguentemente, la concentrazione in atmosfera.
Molto più complesso è invece agire per la riduzione del particolato
secondario, in quanto occorre ridurre le sorgenti di inquinanti gassosi
precursori, con l’ulteriore complicazione che, a causa delle
reazioni chimiche responsabili della formazione del particolato secondario, la
relazione sorgente-concentrazione in atmosfera non è lineare. Va poi evidenziato che l’identificazione e la
quantificazione del particolato secondario, su cui gran parte della ricerca
atmosferica si è applicata negli ultimi 20 anni, è invece un’acquisizione relativamente nuovo nell’ambito della legislazione.
Il PM2.5
ha una composizione molto variabile dipendentemente dalle sorgenti che lo
generano ma, a grandi linee, si possono definire le seguenti componenti:
1. frazione inorganica, principalmente composta da solfato e nitrato d’ammonio (particolato secondario);
2. frazione organica, composta da migliaia di composti non tutti ancora
identificati (particolato in gran parte secondario);
3. carbonio elementare (EC) derivante da tutti i processi di combustione
(particolato primario).
Le evidenze scientifiche a livello europeo
Un paio di anni fa
ho coordinato su richiesta della Commissione Europea la preparazione del
Rapporto Research findings in
support of the EU Air Quality Review nel quale sono elencate le più recenti acquisizioni
della ricerca nel campo della qualità dell’aria in Europa in supporto all’azione della
Commissione Europea che sta attualmente rivedendo le normative comunitarie per
la qualità dell’aria e la protezione
della salute[3].
I risultati essenziali del Rapporto si possono
riassumere nei seguenti punti:
- non è stato fino a oggi possibile evidenziare singoli componenti del particolato cui possa essere attribuito l’effetto sulla salute, per questo l’indicatore che viene considerato nella legislazione è la concentrazione totale di particolato in atmosfera;
- vi sono comunque indicazioni di un effetto sulla salute del carbonio elementare, anche se non se ne conosce il meccanismo biologico di interazione, e per questo si sta valutando l’opportunità di prescrivere fra i parametri di legge da monitorare e controllare, anche la concentrazione di EC;
- per un’efficace riduzione dei livelli di PM2.5 occorre agire principalmente sulle emissioni dei precursori gassosi del particolato, in particolare la riduzione delle emissioni di ammoniaca (NH3), principalmente originate dalle attività agricole e zootecniche, possono portare a una notevole riduzione del particolato organico secondario;
- l’inquinamento atmosferico non conosce confini geografici o amministrativi (regioni, stati, continenti) ed il PM2.5 viene trasportato dai moti atmosferici anche a distanze di migliaia di kilometri nel giro di pochi giorni, è quindi importante che la riduzione delle emissioni inquinanti sia concordata fra le autorità preposte ai vari livelli: regionale, nazionale e continentale.
Un importante studio a livello globale
Già diversi mesi fa il collega Jos Lelieveld del Max Planck for Chemistry di Mainz mi aveva
inviato in via confidenziale un lavoro sottomesso per la pubblicazione sulla
rivista Nature, che mi era subito sembrato di grossa importanza
per la valutazione degli effetti sulla salute del PM2.5 a livello
globale, ma che non potevo citare, data la stretta politica di embargo che la
rivista attua. Finalmente il lavoro è stato pubblicato
nell’ultimo numero di Nature[4].
Senza entrare troppo nei dettagli della ricerca
si possono però evidenziare alcuni importanti, e per certi versi
sorprendenti, risultati.
Gli autori hanno
infatti stimato il numero delle morti a livello mondiale ascrivibili all’inquinamento atmosferico valutando, tramite un modello chimico di trasporto
globale, il contributo ai livelli di PM2.5
in atmosfera di diverse sorgenti di particolato. Molte parti degli USA e dell’Europa hanno visto un sostanziale miglioramento della qualità dell’aria negli ultimi decenni, a causa delle
politiche di regolazione delle emissioni inquinanti, mentre così non è per vaste regioni del globo, particolarmente per
i paesi asiatici con popolazione elevata che continuano a soffrire elevati
livelli di inquinamento atmosferico con i conseguenti effetti negativi sulla
salute e l’elevato numero di morti premature.
A livello mondiale
la sorgente più importante responsabile delle morti premature è l’utilizzo di energia per scopi commerciali e
civili. Sorprendentemente, la seconda sorgente responsabile della mortalità a livello globale risultano essere le attività agricole e zootecniche, che rilasciano NH3 dagli allevamenti e
dall’uso di fertilizzanti. NH3 reagisce in
atmosfera formando particelle di solfato e nitrato d’ammonio. Seguono poi in ordine di importanza a livello globale la
produzione di energia, le attività industriali, la
combustione di biomasse, ed il traffico veicolare.
Nella Fig. 2 vengono
evidenziate le categorie principali che hanno l’impatto predominante sulla mortalità dovuta all’inquinamento atmosferico nelle diverse aree del globo.
Fig. 2 – Categorie di sorgenti maggiormente responsabili della mortalità dovuta all’inquinamento atmosferico nel 2010. Le diverse sorgenti sono classificate con diversi colori (scala a destra) che corrispondono a: attività industriali (IND), traffico veicolare (TRA), utilizzo dell’energia a fini commerciali e residenziali (RCO), combustione di biomasse (BB), produzione di energia (PG), agricoltura e zootecnia (AGR), sorgenti naturali (NAT, principalmente la sabbia desertica. Nelle aree senza indicazione di colore la concentrazione media annuale di PM2.5 è al di sotto della soglia di confidenza. (Fonte - Lelieveld, J., J.S. Evans, M. Fnais, D. Giannadaki and A. Pozzer (2015), The contribution of outdoor air pollution sources to premature mortality on a global scale. Nature, 525, 367-371.)
Si vede quindi come
in Europa e Russia l’impatto più forte sulla mortalità derivi dalle attività agricole e zootecniche, che globalmente sono responsabili del 20% delle
morti premature. Negli USA, questa sorgente di particolato è predominante nella parte atlantica del paese, mentre in altre parti sono
prevalenti la produzione di energia ed il traffico veicolare.
La combustione di
biomasse è la sorgente preponderante in gran parte dell’America latina, nell’Africa
sub-Sahariana, in parte del Sud-est asiatico e nella Russia boreale, a causa
delle emissioni dovute alla distruzione delle foreste ad opera dell’uomo.
In gran parte dell’Africa, del Medio
Oriente e della Cina occidentale la causa di morte prevalente è associata a sorgenti naturali, la sabbia del deserto. Il traffico veicolare
è responsabile per il 20% delle morti premature
dovute all’inquinamento in USA, Germania e Gran Bretagna, ma
il suo peso a livello globale è appena del 5%.
L’importanza di questo studio risiede chiaramente nella possibilità per i legislatori di organizzare le politiche di abbattimento dei livelli
di PM2.5 a seconda delle sorgenti maggiormente responsabili nelle
diverse aree del globo. Infatti, come si è visto, il peso
relativo delle diverse sorgenti di PM2.5 e dei precursori è diverso in diverse aree in funzione della popolazione, struttura economica
e produttiva, tecnologie disponibili, ecc..
Chiaramente, la risoluzione
spaziale del modello utilizzato (110x110 km) non permette di catturare gli
effetti a scala locale delle sorgenti di inquinamento da particolato. Inoltre
una limitazione di questo importante studio deriva dal considerare uguale la
tossicità di tutti i componenti chimici del particolato. D’altra parte, come evidenziato dallo studio europeo sopra menzionato, non
esiste a tutt’oggi una metodologia che permetta l’assegnazione univoca di livelli di tossicità diversa ai diversi componenti.
Mentre gli studi sulla relazione fra qualità dell’aria e salute umana si stanno sempre più perfezionando sia dal punto di vista epidemiologico che tossicologico,
studi come quelli qui presentati già possono fornire ai
responsabili politici della sicurezza ambientale importanti informazioni su
come meglio affrontare questa piaga ambientale con interventi efficaci nel
merito, giustificati secondo le più recenti acquisizioni
scientifiche, rifuggendo da azioni basate a volte su una semplice componente
emozionale o propagandistica.
[1] WHO Regional Office for Europe, OECD. Economic cost of the health impact of air pollution in Europe: Clean air, health and wealth. Copenhagen: WHO Regional Office for Europe, 2015.
[2] Fuzzi, S., U. Baltensperger, K. Carslaw, S. Decesari, H. Denier van der Gon, M.C. Facchini, D. Fowler, I. Koren, B. Langford, U. Lohmann, E. Nemitz, S. Pandis, I. Riipinen, Y. Rudich, M. Schaap, J. Slowik, D.V. Spracklen, E. Vignati, M. Wild, M. Williams, S. Gilardoni (2015) Particulate matter, air quality and climate: lessons learned and future needs. Atmos. Chem. Phys., 15, 8217-8299.
[3] Maione, M. and S. Fuzzi, editors (2013) Research Findings in support of the EU Air Quality Review (105 pp.) European Commission, Luxembourg.
[4] Lelieveld, J., J.S. Evans, M. Fnais, D. Giannadaki and A. Pozzer (2015), The contribution of outdoor air pollution sources to premature mortality on a global scale. Nature, 525, 367-371.