fbpx La politica è di nuovo bocciata in scienze, ma non è un nuovo “caso Stamina” | Scienza in rete

La politica è di nuovo bocciata in scienze, ma non è un nuovo “caso Stamina”

Tempo di lettura: 5 mins

L’assegnazione delle risorse per la ricerca non si fa così. In una lettera alla Stampa, un gruppo di una trentina scienziati italiani di spicco ha espresso il proprio disappunto per lo stanziamento di finanziamenti ancora una volta «destinati in maniera arbitraria, a prescindere da un’accurata valutazione scientifica».
Il riferimento è a un codicillo del maxidecreto sulla stabilità di cui si è già parlato anche su Scienzainrete: il comma 223 stabilisce infatti che, senza bandi né concorsi, i fondi destinati a Stamina nel 2013 dal decreto Balduzzi debbano andare a una sperimentazione clinica di fase due basata sul trapianto di cellule staminali cerebrali umane in pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica». Nella legge non si fa il nome di Angelo Vescovi, direttore scientifico dell'IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza San Pio da Pietrelcina di San Giovanni Rotondo, ma tutti, e per primo il diretto interessato, capiscono che la norma parla di lui, e della sua ricerca.
Una norma di fatto ad personam, che non è piaciuta agli scienziati, abituati a competere per i pochi fondi a disposizione a suon di risultati e pubblicazioni, mettendo sul piatto i propri progetti per dimostrare se e quanto siano più promettenti di quelli degli altri.

La vicenda non è paragonabile a quella del caso Stamina che negli anni scorsi ha travolto il Paese: Vescovi è un ricercatore di alto livello, che lavora in questo campo da moltissimi anni e pubblica su riviste internazionali. Ha condotto uno studio di fase I che ha dimostrato al sicurezza del suo trattamento a base di cellule staminali cerebrali prodotte in regime di GMP e certificate dall’AIFA. Si appresta a seguire le fasi successive previste da una corretta sperimentazione clinica per una malattia orfana come la SLA. Niente a che vedere con l’esperto di pubbliche relazioni Davide Vannoni, che faceva produrre i suoi intrugli in cantina e li faceva infondere a pazienti con ogni sorta di malattia di nascosto, dietro pagamento di somme ingenti.
A ripercorrere errori già compiuti in passato è piuttosto la politica, nel momento in cui di nuovo decide arbitrariamente l’assegnazione di fondi pubblici a una sperimentazione condotta da enti privati, senza una valutazione scientifica di merito. Ed è significativo in questo senso il fatto che la decisione sia passata solo dalla Commissione Bilancio del Senato, e non da quella Igiene e sanità.

La destinazione del cosiddetto tesoretto accantonato dal decreto Balduzzi per la sperimentazione su Stamina, d’altra parte, è oggetto di discussione da tempo. Tra le proposte di intervento finali della relazione conclusiva della Indagine conoscitiva "Origine e sviluppi del cosiddetto caso Stamina", promossa dal Senato e approvata all’unanimità il 18 febbraio 2015, si suggeriva di abrogare completamente le norme dell'art. 2 del decreto Balduzzi, con queste motivazioni: «Il comma 2 prevede la prosecuzione di trattamenti in essere sulla base di cellule staminali mesenchimali e, come tale, costituisce esplicito riconoscimento nei confronti della pratica illegale di Stamina; il comma 2-bis riconosce inoltre la necessità di una sperimentazione clinica che è in realtà priva di alcun presupposto scientifico. Anzi l’assenza del presupposto scientifico e medico è stato ripetutamente documentato dalla comunità scientifica, non ultimo dai due Comitati istituiti dal Ministero della salute. È di tutta evidenza l’opportunità di eliminare atti che si riferiscono ad una vicenda preoccupante e dannosa sia per i malati che per il Paese, al fine di ristabilire, con lo strumento della legge, la legalità vulnerata ed offesa».

La stessa relazione richiama la sentenza n. 274/2014 della Corte Costituzionale che, proprio con riferimento alla vicenda Stamina, ribadiva che «decisioni sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non potrebbero nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, bensì dovrebbero prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali e sovra-nazionali – a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che a questi fini rivestono gli organi tecnicoscientifici». In altre parole, è addirittura la Corte Costituzionale ad affermare che non può essere una legge a decidere quale protocollo clinico si deve sperimentare.

Eppure, nei giorni scorsi, è proprio questo quel che è accaduto di nuovo al Senato, con l’emendamento sulla SLA in cui il Parlamento non si è limitato a individuare finalità da perseguire ma ha scelto una tra le tante malattie degenerative senza possibilità di cure - senza motivare perché questa debba essere privilegiata rispetto ad altre -, ha definito il protocollo scientifico da utilizzare - nel momento in cui ha precisato il tipo di cellule da impiegare - e si è soffermato sulla fase della sperimentazione clinica su cui investire, escludendo di fatto altri approcci e altre sperimentazioni di fase anche più avanzata per malattie altrettanto devastanti, come la SMA. Ma, soprattutto, il provvedimento ha riportato in auge un metodo, che si sperava superato, di assegnare cospicui finanziamenti senza alcuna selezione su base competitiva.
La senatrice Elena Cattaneo, sostenuta da un fronte politico trasversale, aveva chiesto nelle scorse settimane che la voce di bilancio un tempo assegnata alla sperimentazione su Stamina andasse a incrementare il Fondo per la Non Autosufficienza, riportando così quel denaro in qualche modo alle famiglie dei pazienti, principali vittime del caso, sostenendole nel gravoso impegno dell’assistenza ai loro cari, qualunque sia la grave malattia che li ha colpiti. La proposta è stata dichiarata inammissibile per mancanza di copertura finanziaria dalla Commissione Bilancio del 12 novembre 2015 (Res. som. N .486). La bocciatura non è stata motivata, e può essere spiegata solo con il fatto che l'emendamento voleva assegnare i tre milioni di euro del Fondo sanitario nazionale individuati dal decreto Balduzzi, afferente il Ministero della Salute, per la sperimentazione di Stamina al Fondo nazionale per le non autosufficienze, in capo al Ministero per la solidarietà sociale.

Maggior fortuna ha trovato la proposta di assegnare questi fondi alla sperimentazione con staminali cerebrali per il trattamento della sola SLA. Ma i ricercatori non ci stanno, e fanno sentire la voce: «Il legislatore può decidere di finanziare studi clinici con cellule staminali, ma la scelta di un tipo di studio piuttosto che di un altro richiede competenze e conoscenze diverse che non rientrano – ed è giusto che non rientrino – tra quelle della politica» afferma la lettera, che conclude chiedendo al Parlamento di fare un passo indietro: «Chiediamo che questa proposta venga modificata durante la discussione della Legge di Stabilità e che questi fondi vengano destinati a sostenere un bando pubblico finalizzato a selezionare quella che verrà giudicata, da una competente commissione scientifica riconosciuta a livello internazionale, essere la più avanzata sperimentazione clinica possibile a base di cellule staminali per malattie incurabili. Ne trarranno vantaggio tutti, i malati, gli studiosi, i Ministeri e l’intero Paese. Finanziare progetti identificati con metodi né trasparenti né condivisi non giova a nessuno».

Leggi la lettera

Firma qui se vuoi sostenere la lettera!

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.