Il trapianto di feci (o batterioterapia fecale o trapianto di
microbioma fecale) sta rivelandosi un presidio terapeutico molto promettente nelle
situazioni infettive di particolare impegno e in altre condizioni patologiche
dell’intestino; a livello internazionale, viene ormai praticato in circa 500
centri gastroenterologici, per lo più riforniti da un unico laboratorio con
sede a Boston; anche in Italia, la batterioterapia è in via di sperimentazione
in centri come il policlinico Gemelli di Roma e il Sacco di Milano.
E’ ora assodato che il microbiota (o microbioma) intestinale è un’entità complessa, comprendente un
migliaio di specie microbiche in simbiosi con l'organismo umano, che gioca un ruolo
chiave nel processo digestivo, nel metabolismo e nel sistema immunitario dell’ospite.
Potrebbe quindi
essere utile un suo rimpiazzo negli
individui in cui una sua depauperazione ha lasciato campo libero a patogeni pericolosi,
come il Clostridium
difficile, un vero e proprio
killer che si stabilisce nell’intestino spesso favorito dall’impiego
indiscriminato di antibiotici per eradicare patogeni più blandi; negli ultimi anni, ne è emerso un nuovo
ceppo ancor più virulento, chiamato NAP-1
(North American Pulsed-field gel electrophoresis type 1) che produce più tossine ed è più
resistente ai chinolonici: non si può non cogliere un’affascinante analogia tra microbiologia
e geopolitica. Soprattutto in
ambito nosocomiale, Clostridium
difficile è responsabile della colite cosiddetta pseudomembranosa,
caratterizzata da diarrea, marcata
leucocitosi, insufficienza renale acuta, megacolon tossico e shock.
L’immissione
nell’apparato gastroenterico di materiale fecale di cammello per combattere le
diarree gravi era da tempo utilizzata dai beduini, ma l’impiego di feci umane nella
colite pseudomembranosa resistente a metronidazolo e vancomicina è stato avviato nel 2003 da ricercatori di Sydney. La
procedura comporta l’infusione (via clistere o colonscopia o tubo naso-gastrico-digiunale)
di feci liquefatte prelevate da un donatore sano nell'intestino
malato, che viene, così, ri-colonizzano con batteri saprofitici utili alla
salute. Il donatore di solito è un parente, ma, in certi casi, può essere il paziente stesso, in un momento
precedente la cura antibiotica: in tal caso, si parla di ripristino autologo
della flora gastrointestinale.
Una nuova arma per sconfiggere diabete, obesità, autismo sclerosi multipla
Anche l’AIFA, nel
giugno di quest’anno, ha preso atto dell’efficacia (85% di
successo) e della sicurezza del trapianto fecale come strumento per
combattere l’infezione intestinale causata dal Clostridium difficile, emerse da una revisione di due studi
randomizzati e controllati e di 33 report di casi clinici (per un totale di 500
pazienti coinvolti), pubblicata su Annals of Internal Medicine.
Secondo
gli autori della revisione, risultati di questa portata sarebbero sufficienti a
indurre le agenzie regolatorie ad approvare l’immissione sul mercato di
qualsiasi farmaco; ribadiscono la sicurezza e l’efficacia della batterioterapia
fecale anche gli studiosi del King’s College di Londra e dell’Università di
San Diego in California.
Tuttavia, altri ricercatori, in un commento comparso sul British Medical Journal, sostengono che l’esiguo
numero dei trial randomizzati rende
questi dati ancora deboli e che la procedura deve essere ancora studiata per
quanto riguarda sia l’esatta individuazione delle indicazioni, sia il corretto screening dei donatori sia, infine, la
possibile insorgenza di effetti avversi finora non noti.
Il
trapianto fecale, comunque, è ormai “sdoganato” negli Usa ed è stato approvato
dal NICE (National Institute for Health and Care
Excellence) in Gran Bretagna, dove
è considerato farmaco; subisce, invece, lo stallo decisionale delle
agenzie regolatorie nel resto dell’Europa e dell’Australia, dove è stato classificato
come trapianto, che prevede una normativa più complessa.
La
batterioterapia fecale è stata sperimentata anche in una serie di malattie a
sfondo dis-immunitario: obesità, diabete, sindrome dell’intestino irritabile,
morbo di Parkinson, sclerosi multipla, porpora trombocitopenica idiopatica,
sindrome da fatica cronica e colite ulcerosa, le cui riacutizzazioni infiammatorie cicliche potrebbero
essere spiegate proprio dallo squilibrio della flora.
Tuttavia, sulle attese troppo ottimistiche incombono i possibili rischi: oltre a quello infettivo (che potrebbe essere minimizzato dalla selezione dei donatori) vi sono i potenziali rischi a lungo termine dati dal trasferimento di microbi (batteri, virus, prioni e parassiti intestinali) che possono portare con sé la suscettibilità a malattie croniche, persino di tipo mentale.