Era il Maggio 1824, nel Dialogo
della Natura e di un Islandese, Giacomo Leopardi depositava l’amaro disincanto
del suo cosiddetto «pessimismo cosmico», un concetto comunemente esaurito nell’idea
di «Natura matrigna» appresa da tutti sui banchi di scuola e divenuta manifesto
del naturalismo leopardiano.
All’Islandese preda d’affanni che invano scappa dalla Natura
percorrendo il globo, essa rivela d’improvviso la sua incontenibile potenza replicandogli
indifferente: «Io sono quella che tu fuggi».
La citazione leopardiana riecheggia nel titolo dell’ultimo
volume di Gaspare Polizzi ‘Io sono quella
che tu fuggi‘. Leopardi e la Natura, edizioni di Storia e Letteratura, uno
studio rigoroso che restituisce la concezione leopardiana della Natura così
complessa e ricca di accenti filosofici e scientifici sfuggenti nelle tradizionali
definizioni scolastiche.
Il risultato è una fitta rete di nessi intricati tra il pensiero
scientifico moderno e l’opera omnia del
poeta, la sua filosofia della natura, le cui fonti superano l’esclusivo
orizzonte umanistico per abbracciare le Scienze.
Tra quelle studiate l’Astronomia, più delle altre, cattura
lo sguardo affascinato di Giacomo, spesso intento a volgere al cielo i suoi
occhi di bambino curioso del mondo, tanto da formalizzare questa passione nella
successiva stesura di tre lavori d’impronta astronomica e il più famoso, la Storia dell’Astronomia dalla sua origine
fino all’anno MDCCCXI, è stato considerato addirittura «uno dei dieci testi
più importanti sull’argomento che siano mai stati scritti» nell’Ottocento e
fissa già l’attenzione del poeta sui nomi più autorevoli dell’Astronomia
moderna: Isaac Newton, Niccolò Copernico e Galileo Galilei, sostanziali nella futura
poetica leopardiana.
Alla forte carica mitopoietica dell’Astronomia che riverbera
intensa non solo nei Canti, si salda
il confronto diretto con la nouvelle
chimie di Antoine- Laurent Lavoisier, incisiva nell’elaborazione del
materialismo leopardiano, irrobustito così da uno spesso sostrato “chimico” che
Polizzi analizza nel volume.
Astronomia e Chimica, ma non solo. C’è ampio spazio anche
per la Fisica, cui Leopardi appena adolescente dedica dieci trattazioni raccolte
nelle Dissertazioni filosofiche che
firmano la sua adesione al newtonianismo, e la Storia naturale, miniera di
spunti per un «pensiero dell’animalità, fortemente connesso alla più generale
visione materialistica», come precisa Polizzi.
L’evidente incursione di Leopardi oltre il terreno delle humanae litterae non deve stupirci; numerose opere scientifiche si affiancavano a
dizionari e testi filosofici nelle austere scansie della biblioteca paterna: il
Trattato elementare di Chimica di Antoine-
Laurent Lavoisier, gli Elementi di fisica
sperimentale di Saverio Poli e Vincenzo Dandolo, l’Histoire naturelle di George Louis Leclerc, conte di Buffon, il Systema Plantarum Europae di Linneo,
sono alcuni dei prestigiosi titoli di un
lungo elenco posseduti e consultati dal poeta.
Accanto alle Scienze, l’attenzione per la tecnica
Sulla scia di un’usanza diffusa tra i nobili, Monaldo
Leopardi aveva raccolto automi e ritrovati tecnologici particolari, fonti
ispiratrici di originali metafore scientifiche disseminate non solo nello Zibaldone; strumenti che instillano di
nuova linfa la precoce vivacità intellettuale del figlio primogenito sollecitandogli
acute riflessioni sulla tecnica, dagli esiti differenti nel corso del tempo.
Se la Proposta di
premi fatta dall’Accademia dei Sillografi trasuda di leggera ironia verso
gli aspetti pervasivi della tecnologia, sostituta artefatta dell’uomo nella sua
quotidianità, l’epistola Al Conte Carlo
Pepoli e la Palinodia al Marchese
Gino Capponi, confermano un sarcasmo svuotato di illusioni per un mondo
dominato dalle macchine, la cui eco estrema risuona perentoria nella denuncia
delle «magnifiche sorti e progressive» consegnata a La Ginestra, al tramonto ormai prossimo della straordinaria
stagione lirica leopardiana.
Insomma, un Leopardi tutt’altro che estraneo ai dibattiti
scientifici dominanti, densi di questioni teoriche rilevanti nella Storia della
Scienza; un’immagine forse insolita per chi non ha mai scavato a fondo i suoi versi,
le prose, e fatica a pensarli intrisi di sfaccettature scientifiche.
Merito del volume è aprire una strada chiara a chiunque
voglia incamminarsi nella direzione tracciata, percorribile nonostante le
difficoltà, guidati e sorretti dalla consuetudine con i testi leopardiani che
di nuovo, dopo numerose pubblicazioni sul tema, Polizzi ci mette a disposizione
con la sua professionalità critica, penetrando quella sublimità poetica eccelsa
già librata «nell’alte vie dell’universo intero».