L’ultima supernova esplosa nella nostra galassia di cui abbiamo ragionevole certezza risale agli anni intorno al 1870. La data non è sicura in quanto non vi sono registrazioni dell’evento: non è stata vista. Ma la cosa non ci deve stupire, è esplosa nella regione del Sagittario, vicino al centro della Galassia, dove gas e polveri hanno assorbito la sua luce impedendo le osservazioni nel visibile (le uniche possibili all’epoca). L’evento è stato scoperto solo recentemente, dunque molti anni dopo essere accaduto – circa 140 – grazie a osservazioni dei suoi resti, nella banda radio e nella banda X. Nel 1985, usando il Very Large Array, David Green dell’Università di Cambridge (UK) e collaboratori trovarono, osservando la regione del centro della Via Lattea, una sorgente radio estesa – ma relativamente piccola – che interpretarono come il resto di una supernova.
David Green e colleghi stimarono fosse esplosa tra i 400 e i 1000 anni prima. Ventidue anni dopo, osservazioni nella banda X ottenute con il telescopio Chandra, mostrarono, paragonando le dimensioni della sorgente radio ottenute nel 1985 con quelle della sorgente X, che l’oggetto si era espanso in maniera considerevole: circa del 16%. Il resto di supernova doveva quindi essere molto più giovane di quanto inizialmente si era pensato. Non essendoci corrispondenza perfetta tra emissione radio ed emissione X, l’osservazione radio è stata ripetuta nel 2008, così da permettere un miglior confronto delle dimensioni e dunque della determinazione della velocità di espansione dei resti dell’esplosione. Facendo i calcoli a ritroso si è quindi ricavato l’anno dell’esplosione, con qualche incertezza dovuta al fatto che l’espansione non è uniforme e ha subito un rallentamento.
Immagine composita del SNR G1.9+0.3 prodotto dall’ultima Supernova Galattica nota. I dati X del 2007 (in arancione, Chandra) sono sovrapposti ai dati radio del 1985 (in blu, VLA) e mostrano l’espansione del resto di supernova in 22 anni. Successive osservazioni VLA hanno confermato l’espansione e permesso di misurarne la velocità. Utilizzandola a ritroso si ricava l’epoca dell’esplosione: ~1870 (per l’immagine X: NASA/CXC/NCSU/Reynolds et al.; per l’immagine radio: NSF/NRAO/VLA/Cambridge/Green et al.).
Le magnifiche 7
Anche della supernova galattica precedente non vi sono registrazioni sicure: forse fu annotata nel 1680 da John Flamsteed, primo astronomo reale d’Inghilterra, ma non vi sono evidenze conclusive. Anche in questo caso l’assorbimento di gas e polveri avrebbe attenuato la luminosità dell’esplosione. Sono ancora una volta le osservazioni radio dei suoi resti (Cassiopea A) a permetterci di esserne a conoscenza, mentre la migliore stima della data dell’evento, compresa tra il 1635 e il 1690, è stata calcolata da misure della velocità di espansione di alcuni filamenti, confrontando due immagini ottenute con l’Hubble Space Telescope in epoche diverse.
L’ultima esplosione di supernova osservata in cielo in diretta precede di pochi anni la nascita dell’astronomia moderna. È infatti quella del 1604, nota anche come “Supernova di Keplero”. A quel tempo gli astri e i fenomeni celesti si potevano guardare e studiare solamente a occhio nudo (il cannocchiale fu inventato qualche anno dopo e fu Galileo nel 1609 ad alzarne per primo uno al cielo, iniziando l’epoca delle osservazioni astronomiche potenziate dai telescopi).
Continuando a ritroso nel tempo, sappiamo della supernova del 1572 (detta “Supernova di Tycho”) e di quella del 1181, e poi ancora di quella del 1054 che ha dato origine alla famosa Nebulosa del Granchio. Infine quella del 1006, nella costellazione del Lupo, che raggiunse la magnitudine apparente di circa -7,5 (oltre dieci volte più brillante di Venere!) e rimase visibile a occhio nudo nel cielo per quasi due anni.
Una lista delle supernove esplose nella Galassia negli ultimi 1000 anni è riportata qui sotto. Sono sette, numero da cui si deriva – in prima approssimazione – una frequenza di quasi una per secolo. In realtà la lista è sicuramente incompleta (la vista di una buona parte della nostra galassia ci è preclusa dalla presenza di polveri e gas ed eventi accaduti in quelle regioni possono essere passati inosservati) e il tasso di supernove galattiche è conseguentemente più alto. Di quanto? Come si calcola?
26Al, l'isotopo rivelatore
Vi sono sia metodi indiretti sia metodi diretti: i primi sono basati sull’osservazione di eventi in altre galassie, vicine e simili alla nostra, altri si basano su osservazioni particolari della nostra galassia. Utilizzando il satellite per astronomia gamma dell’Agenzia Spaziale Europea Integral, ad esempio, è stata mappata, attraverso la sua emissione di radiazione gamma di 1,8 MeV, la distribuzione del 26Al, un isotopo radioattivo dell’alluminio. Questo isotopo viene prodotto nelle core-collapse supernovae (ccSN) nella misura di circa un decimillesimo di massa solare ogni evento. La sua vita media (cioè il tempo di dimezzamento) è di 720.000 anni; quindi scompare abbastanza rapidamente (astronomicamente parlando) e quello che vediamo è stato prodotto nel passato recente. Mappare la sua distribuzione e la quantità attualmente presente nella nostra galassia (è stimata tra le 2 e le 3,5 masse solari) ci permette dunque di ricavare la distribuzione e il numero di ccSN che lo hanno prodotto. Il risultato (in accordo con stime ottenute con altri metodi) è di da 1 a 3 eventi per secolo.
Ecco quindi che i tempi sono maturi per la prossima supernova galattica. Potrebbe deflagrare a giorni così come potrebbe farci attendere ancora decenni. Se scoppiasse, chi se ne accorgerebbe per primo? Probabilmente i ricercatori dell’esperimento Super-Kamiokande, che potrebbero registrare l’energia e il tempo di arrivo di alcune centinaia o addirittura migliaia di neutrini prodotti nel collasso del nocciolo della stella che precede la sua distruzione e l’emissione elettromagnetica che ne consegue (al Kamiokande di neutrini ne registrarono undici in tredici secondi quando esplose la SN1987A nella Grande Nube di Magellano). Se ne accorgerebbero anche i ricercatori che lavorano a IceCube dove però il rumore di fondo è molto più alto.
Arrivano i neutrini
Seguendo procedure convenute, la registrazione di un burst di neutrini corredata da informazioni sul suo tempo d’arrivo, durata e direzione di provenienza (pur con l’incertezza di alcuni gradi) verrebbe rapidamente distribuita alla comunità astronomica attraverso il SNEWS (Super Nova Early Warning System). Quanto prontamente? C’è chi spera che sia possibile organizzare osservazioni elettromagnetiche della stella progenitrice prima della sua disintegrazione! Sarebbe fantastico ma è purtroppo improbabile; richiederebbe un coordinamento formidabile e una serie di condizioni, tutte favorevoli. Le migliori possibilità di vederla inizialmente l’avrebbero comunque i telescopi infrarossi, in grado di sondare anche le zone della Galassia oscurate da gas e polveri. Se volete, anche voi potete essere avvisati della registrazione di un burst di neutrini proveniente da una ccSN registrandovi su http://snews.bnl.gov/alert.html.
Oltre a permettere l’early warning, i neutrini fornirebbero informazioni cruciali sul meccanismo dell’esplosione, nascosto agli studi elettromagnetici obbligatoriamente successivi all’esplosione stessa. Anche le onde gravitazionali, prodotte da un collasso asimmetrico e perturbato del nocciolo della stella, darebbero informazioni importanti per capire i meccanismi intimi dell’esplosione.
Sarà l'osservazione del secolo
Appena ricevuta notizia dell’esplosione di una supernova galattica, ogni osservatorio terrestre o spaziale in grado di osservare l’evento esautorerebbe gli utenti del momento attraverso la politica di target of opportunity e punterebbe la sua strumentazione verso la stella che fu, per quella che diventerebbe rapidamente la campagna osservativa del secolo. Probabilmente il precursore della prossima supernova galattica sarà una anonima nana bianca (in questo caso si tratterebbe di una supernova di tipo Ia) o una generica supergigante rossa o stella di Wolf-Rayet (ccSN); esiste tuttavia una lista di stelle candidate a terminare la loro vita con il botto di una ccSN e sarebbe notevole se il precursore fosse un oggetto noto e ben studiato. Come ad esempio Betelgeuse, una supergigante rossa a 430 anni luce da noi o Eta Carinae, un sistema di due stelle in rotazione una intorno all’altra con masse stimate intorno alle 120-200 e 30-80 masse solari rispettivamente, distante circa 7500 anni luce dal Sole.
La spettacolarità dell’evento dipenderebbe dalla posizione e dalla distanza della supernova, che ovviamente non vorremmo così vicina da danneggiare la nostra biosfera. La radiazione gamma, se troppo copiosa per la vicinanza dell’esplosione (meno di 50 anni luce), provocherebbe la riduzione o addirittura la scomparsa dello strato di ozono che ci protegge dalla radiazione ultravioletta solare, particolarmente nociva. È rassicurante pensare che vicino a noi vi sono ben poche stelle che minacciano di terminare nel prossimo miliardo di anni la loro vita in maniera catastrofica. I potenziali progenitori noti sono ben più lontani della distanza critica di 50 anni luce. La più vicina candidata a diventare una supernova di tipo Ia è IK Pegasi B, una nana bianca attorno alla quale orbita IK Pegasi A, una stella di sequenza principale che in (un lontano) futuro diventerà una gigante rossa. A quel punto IK Pegasi B risucchierà materia da A, la sua massa supererà il limite di Chandrasekhar e collasserà esplodendo come supernova di tipo Ia. Ma a una distanza di sicurezza.
Diversa sarebbe la situazione se venissimo investiti da un lampo gamma (GRB) prodotto da una ipernova. In questo caso saremmo a rischio entro distanze ben maggiori (circa 10.000 anni luce). Ma dovremmo proprio essere allineati con il cono di emissione del GRB. La probabilità, per fortuna, è bassa. E comunque non potremmo farci proprio nulla...
Pubblicato sul n. 151 di Le Stelle, pp. 6-7