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Piano Nazionale per la ricerca 2015-2020: priorità al capitale umano, disattenzione sulla ricerca di base

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Nel nuovo PNR coesistono novità interessanti e punti molto discutibili. Nuova è promettente è la decisione di focalizzare le risorse su alcuni ambiti prioritari, così come la messa in campo di nuovi strumenti per l’arruolamento di nuovi ricercatori e di meccanismi premiali per le eccellenze della ricerca. Del tutto deludente, invece, l’aver fortemente privilegiato la ricerca applicata, in linea con la nuova filosofia dei programmi di finanziamento europeo, a scapito della ricerca di base, a cui le 93 pagine del PNR dedicano solo un omaggio retorico ma privo di sostanza.

Luci e ombre della ricerca italiana

Ma andiamo con ordine. Il documento si apre con uno sforzo di analisi della situazione non certo ideale della ricerca nel nostro paese nel contesto globale di un’Europa che cambia. Va riconosciuto l’atteggiamento propositivo nel riconoscere le gravi pecche che ancora caratterizzano il sistema del finanziamento della ricerca in Italia, quali, ad esempio, il basso rapporto fra spesa per R&S (ricerca e sviluppo) e PIL, nel 2013 pari a 1,31% (ancora lontano dall’obiettivo italiano dell’1.53% e lontanissimo da quello dell’EU del 3% entro il 2020); oppure la limitata presenza dei ricercatori nel settore privato, e la bassa attrattività internazionale di studenti, scienziati e investimenti privati in R&S: solo il 2% degli studenti stranieri viene a studiare nelle nostre università e solo il 24,2% della spesa italiana in R&S proviene da multinazionali straniere (con un calo preoccupante del 3,8% dal 2007 al 2012).

Accanto a questi elementi negativi vengono ricordati anche i dati globali, apparentemente positivi, sull’accesso dell’Italia ai fondi europei, che posizionano il Paese, in termini di finanziamenti ricevuti, al quarto posto, dopo Regno Unito, Germania e Francia, e che riconoscono ai nostri scienziati un alto tasso di successo e di competitività, nonostante le difficoltà e l’immobilismo che la nostra ricerca vive da anni. 

Preoccupano però gli aspetti negativi che emergono all’analisi più approfondita riportata nel PNR dei dati relativi alla partecipazione Italiana ai Programmi Quadro della Commissione europea (in particolare, il V, il VI e il VII concluso nel 2013), dove il differenziale tra il contributo italiano al budget europeo e i finanziamenti ottenuti mette in luce un saldo nettamente negativo, rispetto a una situazione vicina al pareggio per la Germania e un ritorno nettamente positivo per il Regno Unito. I ricercatori italiani applicano molto per i progetti europei, affamati da risorse sempre più scarse nel nostro paese, ma con risultati non sempre ottimali.

L’analisi dello stato della ricerca italiana nel paese e nel quadro europeo porta il PNR a privilegiare alcune linee di intervento, prima fra tutte il sostegno da dare ai ricercatori dei settori pubblico e privato per affrontare al meglio la competizione dei bandi europei del Programma Horizon 2020. 

Priorità chiare

Tra le novità positive del Piano nazionale della ricerca c’è sicuramente la chiara focalizzazione su sei macro-obiettivi prioritari, individuati sulla base delle vocazioni più promettenti della ricerca italiana e sui suoi punti di forza, a cui corrispondono altrettanti programmi, come riportato in dettaglio nella Tabella:

Una seconda novità sta nelle modalità con cui il PNR si propone di raggiungere questi obiettivi. Oltre a strumenti già ben noti agli operatori del settore, quali FIRST, l’FFO, il FOE e il FISR (per dettagli si veda: http://www.istruzione.it/allegati/2016/PNR_2015-2020.pdf),  Il PNR ne userà alcuni completamente nuovi, fra i quali le Cattedre Natta e i Bandi Montalcini per il reclutamento degli scienziati italiani più eccellenti, o il programma Top Talents per il potenziamento e la semplificazione delle “chiamate dirette” di ricercatori e professori all’estero, favorendone l’ingresso (o il rientro) nei ruoli delle Università e degli Enti di ricerca. 

Al centro il capitale umano

Di questo nuovo PNR, infatti, ciò che convince maggiormente è senz’altro il notevole investimento nel Capitale Umano (più di un miliardo di euro), in linea con quanto già in atto in tutti i paesi anglosassoni e in altri paesi europei, che riconosce allo scienziato il ruolo di asse portante dell’innovazione e lo status sociale di operatore ed interlocutore esperto e autorevole nelle strategie di sviluppo del Paese. Oltre ai Top Talents già menzionati, il Capitale Umano sarà sostenuto con l’introduzione di corsi di Dottorati innovativi, dei nuovi programmi di Doctor Startupper e Contamination Lab e di PhD placement, tutti finalizzati a migliorare la qualità della formazione dei nuovi ricercatori e un adeguato ricambio generazionale. Agli strumenti previsti dal nuovo PNR per il potenziamento del Capitale Umano, si aggiungeranno i nuovi posti da ricercatore (fra gli 8.000 e i 20.000), menzionati dalla ministra Beatrice Lorenzin nei giorni scorsi a Roma durante gli Stati generali della ricerca sanitaria, e ricordati anche ieri dalla ministra Stefania Giannini.

Da accogliere con attenzione anche i finanziamenti assegnati al programma FARE (Framework per l’Attrazione e il Rafforzamento delle Eccellenze per la Ricerca in Italia, 293 milioni) e al programma RIDE (Ricerca italiana di eccellenza, 150 milioni). Il primo per l’accompagnamento dei ricercatori ai più prestigiosi bandi europei per la ricerca (i bandi ERC); il secondo per docenti e ricercatori di università ed Enti Pubblici di Ricerca, con documentata e solida esperienza nella conduzione di programmi di ricerca nazionale, europea ed internazionale classificati nei profili di eccellenza del framework europeo delle carriere della ricerca.

Distratti sulla ricerca di base

Ma, a nostro avviso, il vero punto di debolezza del PNR 2015-2020 riguarda la mancanza di chiarezza sul finanziamento alla ricerca di base, quella che nel nuovo PNR viene definita “ricerca fondamentale” (diretta cioè a sostenere l’avanzamento della conoscenza). Nominata più volte nel documento, in realtà essa viene poi ricondotta sempre ad aree di priorità per la ricerca applicata, generando non poca confusione nel lettore.  

Se individuiamo nei programmi MIUR noti come “PRIN” (Programmi di Interesse Nazionale) e “FIRB” (Fondi per gli investimenti della ricerca di base) gli strumenti usati nel passato per finanziare la ricerca di base, constatiamo che questi fondi sono diminuiti da 292 milioni nel 2004 (137 per PRIN e 155 per FIRB) ai soli 92 milioni banditi per i PRIN nel 2015. Non c’è traccia di questi tipi di bandi nel nuovo PNR. Questo sorprende molto, dato che questi fondi sono essenziali per permettere agli scienziati italiani di rimanere competitivi a livello internazionale e condurre le ricerche necessarie per poter applicare ai bandi europei. 

Forse vale la pena di ricordare che i trattati europei prevedono che la ricerca di base venga finanziata direttamente dagli Stati membri (come peraltro anche dimostrato dalla progressiva riduzione negli anni dei fondi che la Commissione Europea ha assegnato alla ricerca di base rispetto a quella applicata). Mentre negli altri Paesi (anche europei) in questi anni i governi hanno infatti aumentato costantemente gli stanziamenti per la ricerca di base, in Italia questi fondi si sono progressivamente ridotti e questa tendenza sembra confermata dal nuovo PNR.

A chi spetta allora assicurare un flusso costante e affidabile per il finanziamento della ricerca fondamentale, quella che nasce dalle nuove idee, quella che genera l’innovazione; chi assicurerà la sopravvivenza di quel tipo di ricerca che sposta un po’ più in là il confine dell’ignoto, e che nella filiera dovrebbe venire prima della ricerca applicata? 

Certamente nelle prossime settimane molti aspetti del nuovo PNR verranno chiariti. E speriamo che un’analisi più approfondita ci riveli con quali fondi di ricerca i ricercatori assunti con il nuovo PNR condurranno i loro studi. Speriamo di capire con quale strumento potranno rafforzare i loro risultati i gruppi italiani che fanno ricerca di altissimo livello, ma che comunque non riescono a rientrare nella piccolissima quota (2-5%) dei progetti finanziati dagli ERC o dai nuovi bandi europei. Riusciranno a farlo con i pochi fondi del nuovo PNR, che sembrano assegnabili solo alle eccellenze? Se non è il PNR a doversi occupare di sostenere la ricerca di base, allora gli scienziati italiani chiedono che il MIUR e il governo stabiliscano a chi spetta questo importantissimo compito.

Pubblicato sul Sole sanità, 10 maggio 2016

 

 

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