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Juno: dopo il viaggio, il duro lavoro

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Giunta felicemente a destinazione dopo quasi cinque anni di viaggio, la sonda della NASA si accinge a studiare Giove, il gigante del Sistema solare. Per farlo, Juno dovrà affrontare condizioni di lavoro proibitive e correre notevoli rischi. Prima che la sonda cominci il suo arduo compito, esaminiamo da vicino quali acrobazie sarà chiamata a compiere e quali strumenti metterà in campo per strappare al pianeta i suoi segreti.

Il lungo viaggio di Juno è iniziato il 5 agosto 2011 dalla base di lancio di Cape Canaveral, in Florida. Prima di dirigersi all’appuntamento con Giove, alla spinta iniziale dei motori potenziati dell’Atlas V la sonda ha aggiunto un ulteriore impulso sfruttando, il 10 ottobre 2013, il gravity assist della Terra. Juno non è una missione isolata, ma è parte del programma New Frontiers della NASA, una serie di missioni dedicate all’esplorazione del Sistema solare. Un programma ambizioso, del quale fa parte anche la fantastica esplorazione mordi-e-fuggi del sistema di Plutone completata giusto un anno fa dalla sonda New Horizons e la missione OSIRIS-Rex, che lascerà gli ormeggi il prossimo 8 settembre puntando la prua verso l’asteroide 101955 Bennu.

L’obiettivo scientifico primario della missione Juno è migliorare in modo significativo ciò che conosciamo della struttura di Giove e dei meccanismi che hanno portato alla sua formazione. Un obiettivo ambizioso e cruciale, il cui raggiungimento farà compiere passi da gigante anche alla nostra comprensione delle origini e dell'evoluzione iniziale del nostro sistema planetario.

Altre sonde per Giove

Non è la prima volta che una sonda spaziale ci svela le meraviglie di Giove e del suo sistema di satelliti. Tra le tappe fondamentali è doveroso ricordare il contributo della sonda Pioneer 10 (seguita a ruota dalla Pioneer 11): si era nei primi anni Settanta e per la prima volta una sonda spaziale, superata la Fascia degli asteroidi, riusciva a mostrarci dettagli sconosciuti del pianeta gigante e delle sue lune. Non meno significativo, alla fine degli anni Settanta, l’apporto delle due sonde Voyager, i cui sorvoli di Giove propiziarono scoperte cruciali per la planetologia.

Un capitolo a parte - e molto più di una semplice citazione - meriterebbe la missione Galileo, la prima ad avere lo studio di Giove e del suo sistema satellitare come obiettivo principale. Fu la prima sonda che, per portare a termine il suo ambizioso compito, venne inserita su un’orbita intorno a Giove diventando essa stessa un satellite del pianeta. Una missione epica, durata 14 anni e conclusasi drammaticamente nel settembre 2003, quando la sonda venne di proposito condotta a tuffarsi nell’atmosfera del pianeta. L’unica scelta disponibile per evitare ogni possibile contaminazione di Europa, il più piccolo dei satelliti galileiani, nel mirino degli esobiologi per la sua composizione particolarmente ricca di acqua.

Da allora altre sonde sono transitate nei pressi di Giove per sfruttarne la potente spinta gravitazionale (ricordiamo la Cassini, in cammino verso Saturno, e la stessa New Horizons nel suo viaggio verso Plutone e oltre), ma nessuna prima di Juno ha mai più orbitato stabilmente intorno al pianeta gigante.

Proprio la corretta cattura orbitale è stato il primo problema che Juno ha dovuto affrontare una volta giunta in prossimità della sua meta. La sonda, infatti, stava filando a circa 250 mila chilometri orari e, per lasciarsi catturare dalla gravità di Giove, ha dovuto azionare il suo motore per 35 minuti: una lunga frenata al termine di un volo interplanetario di 2,7 miliardi di chilometri. La manovra ha ridotto la velocità della sonda di 1950 km/h, quanto serviva perché Giove potesse eleggere Juno al ruolo di nuovo satellite.

Oltre alla riduzione di velocità, la manovra prevedeva un aumento della rotazione della sonda - portata da 2 a 5 giri al minuto - per stabilizzare il veicolo spaziale e il suo corretto orientamento affinché i lunghi pannelli fossero investiti dalla luce del Sole. Una manovra estremamente delicata, dunque, e terribilmente decisiva per il proseguimento della missione: solo il corretto inserimento orbitale della sonda, infatti, avrebbe permesso a Juno di svolgere i compiti pianificati. La complessità della manovra è stata sottolineata a chiare lettere da Scott Bolton, responsabile scientifico di Juno: «E’ stata la cosa più difficile che la NASA abbia mai fatto», ha detto una volta che il veicolo spaziale, spento il motore, si è correttamente immesso nell’orbita prevista intorno a Giove. Più che giustificate, insomma, le scene di esultanza dei responsabili di missione quando, lo scorso 4 luglio, è giunta la conferma che tutto era andato come da programma.

Una sonda corazzata

Juno è una macchina spaziale imponente: il solo corpo centrale della sonda, infatti, ha il diametro di 3 metri e mezzo ed è alto altrettanto. Tenendo però conto dei tre enormi pannelli solari - ciascuno dei quali misura 2,7 per 8,9 metri - e di altre appendici, Juno raggiunge le dimensioni di 20 metri per 4 e mezzo. Proprio la presenza dei pannelli solari è una caratteristica peculiare di questa missione. Infatti, anziché alimentare le apparecchiature con i cosiddetti RTG, i generatori termoelettrici basati sul decadimento di isotopi radioattivi solitamente impiegati per le missioni nello spazio profondo, la sonda sfrutta l’energia solare. Una scelta coraggiosa, dato che, alla distanza alla quale dovrà operare, il flusso luminoso è 25 volte inferiore a quello che abbiamo sul nostro pianeta. L’impiego di tecnologie e materiali con efficienza superiore del 50% rispetto a quella disponibile per le missioni spaziali di 20 anni fa, però, permette a Juno di spremere dai suoi i tre pannelli circa mezzo kilowatt di potenza. Il perfetto orientamento dei pannelli solari è ovviamente un elemento irrinunciabile e questo spiega la scelta della NASA di far ruotare la sonda su se stessa, una soluzione che risale alle prime sonde Pioneer e assicura un puntamento più stabile e un facile controllo.

L’ambiente nel quale Juno è chiamata a operare è tra i più estremi del Sistema solare: oltre alla massiccia presenza del pianeta, ciò che desta maggiori preoccupazioni è il campo di radiazioni che caratterizza Giove. I piani di volo prevedono che la sonda eviti le regioni più energetiche effettuando i suoi sorvoli più ravvicinati al di sopra delle regioni polari del pianeta, ma questo non è affatto sufficiente. Per assicurare la maggiore protezione possibile, gli apparati elettrici cruciali per Juno - cioè il computer di bordo, le unità di alimentazione e di collegamento e una ventina di altri sistemi elettronici - sono racchiusi in una sorta di sarcofago in titanio dello spessore di un centimetro, un involucro a forma di cubo in cui ciascuna delle facce, di un metro quadrato di superficie, pesa 18 chili.

Un semplice confronto può rendere l’idea delle condizioni che Juno dovrà fronteggiare. Mentre qui sulla Terra, immaginando di trovarci a livello del mare e considerando il contributo delle sorgenti di radiazione naturali, la dose mediamente assorbita in un anno da un essere umano ammonta a un terzo di rad, durante i suoi 18 mesi di operazioni Juno verrà esposta a 20 milioni di rad, una dose di gran lunga letale per gli standard umani.

Impressionanti, in tal senso, le registrazioni degli strumenti di Juno effettuate quando, il 24 giugno, la sonda ha incontrato l’onda d’urto di prua del pianeta (il punto in cui il vento solare interagisce con il campo magnetico di Giove) e quando, il giorno successivo, ha attraversato la magnetopausa, il confine che segna il passaggio dal campo magnetico solare a quello gioviano. Effetti sonori davvero suggestivi, curiosamente molto vicini alle tipiche colonne sonore dei primi film di fantascienza.

Acrobazie orbitali

Si è già sottolineato come l’obiettivo primario di Juno sia quello di rivelarci la struttura e la composizione interna di Giove. Risolvere questo enigma, che neppure la missione Galileo è riuscita a sbrogliare del tutto, potrebbe aprirci la strada alla comprensione dei complessi meccanismi che, dal momento della sua formazione, hanno governato l’evoluzione del più grande dei pianeti. Accanto a questo obiettivo, però, vi sono quelli non meno impegnativi dello studio del campo magnetico soprattutto nella regione polare del pianeta e della composizione della sua atmosfera.

Per raggiungere i suoi scopi, Juno è ben accessoriata. La sonda, infatti, è equipaggiata con 29 differenti sensori ai quali spetta il compito di fornire le preziose informazioni agli otto strumenti che costituiscono il suo carico scientifico (MAG, MWR, Gravity Science, Waves, JEDI, JADE, UVS e JIRAM) e alla JunoCam, l’apparecchio di ripresa incaricato di catturare entusiasmanti panorami delle nubi gioviane. Mostrando la grande attenzione alla divulgazione della scienza che caratterizza la NASA, JunoCam è stata pensata anche come un intrigante strumento di interazione tra i responsabili di missione e quanti vogliano entrare nel vivo di questa avventura spaziale partecipandovi di persona.

Per raccogliere i dati necessari, Juno sarà chiamata a compiere ripetuti sorvoli delle regioni polari di Giove. L’orbita che percorre attualmente, infatti, caratterizzata da un periodo di 53 giorni, non è ancora quella pianificata per le osservazioni e costituisce una sorta di orbita di parcheggio, fase indispensabile per la corretta calibrazione degli strumenti. Solo a metà ottobre Juno verrà inserita nell’orbita definitiva polare di 14 giorni che percorrerà per 33 volte nel corso del prossimo anno e mezzo prima del suo tuffo finale tra le nubi di Giove. Un destino che accomunerà Juno alla sonda Galileo e che è - oggi come allora - la logica conseguenza della scelta di non correre il rischio inquinare con batteri terrestri i satelliti galileiani.

Sarà proprio nel corso dei ripetuti sorvoli polari che Juno attraverserà le nubi più esterne del pianeta spingendosi fino a mille chilometri di profondità. Da questi sorvoli si attendono precise risposte alle domande finora inevase su Giove. Riuscire a determinare a quanto ammonta la componente d’acqua in quella turbolenta atmosfera e quali sono le abbondanze relative di ossigeno e azoto permetterà di delineare lo scenario più corretto per la formazione di questo gigante gassoso. I leggeri tentennamenti che Juno subirà per l’azione del campo gravitazionale di Giove saranno preziose indicazioni per chiarire finalmente il mistero della sua struttura interna. Conoscere le caratteristiche dei venti e i fenomeni anche violenti che si manifestano nell’atmosfera di Giove potrà dare preziose indicazioni sulle complesse interazioni tra l’involucro più esterno e le regioni più profonde delle quali si conosce ben poco. A questa lista dei desideri aggiungiamo anche quello di riuscire a raccogliere preziosi suggerimenti non solo sulla struttura, ma anche sull’origine dell’intenso campo magnetico che avvolge il pianeta.

Strumenti italiani

Di grande rilievo il contributo italiano alla missione, con la progettazione e la costruzione di due strumenti cruciali per gli obiettivi scientifici di Juno: lo strumento JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper) per lo studio delle aurore di Giove e KaT, il transponder in banda Ka di cui si servirà il Gravity Science experiment.

Allo strumento JIRAM spetterà il compito di chiarire la dinamica e la chimica delle imponenti aurore gioviane osservandole nel vicino infrarosso. Realizzato da Finmeccanica e guidato scientificamente dall’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) dell’INAF di Roma, JIRAM è composto da uno spettrografo e da una telecamera a infrarossi che raccoglieranno i dati degli strati più esterni dell’atmosfera di Giove spingendosi fino a 50-70 km al di sotto del culmine delle nubi che avvolgono il pianeta. Alberto Adriani (INAF-IAPS Roma), principal investigator dello strumento, non ha nascosto la sua impazienza al momento della cattura di Juno nella prevista orbita gioviana: «Dopo undici anni di lavoro, di cui 5 di viaggio attraverso lo spazio, siamo finalmente a Giove, la meta tanto attesa. E adesso arriva il bello: non vediamo l'ora di accendere i nostri strumenti e raccogliere i primi dati scientifici, che ci permetteranno di svelare molti aspetti ancora ignoti del più grande e ostile di tutti i pianeti del nostro Sistema solare».

Non è certo meno importante il secondo strumento fornito a Juno dall’Agenzia Spaziale Italiana: il transponder in banda Ka realizzato da Thales Alenia e destinato all’esperimento che si prefigge di studiare la struttura interna del pianeta. La strategia è quella di mappare il più accuratamente possibile il campo gravitazionale di Giove grazie al costante controllo della posizione e della velocità di Juno. Inevitabilmente, infatti, il moto della sonda risentirà delle variazioni nel campo gravitazionale del pianeta dovute alla sua struttura interna. Per ottenere questo controllo sono cruciali i due transponder (uno è quello italiano) che saranno in costante collegamento con le stazioni riceventi di Terra. La speranza, ovviamente, è che i dati raccolti dal Gravity Science experiment possano finalmente far luce su come sia strutturato l’interno di Giove e cosa si nasconda al di sotto della densa coltre di nubi che lo avvolge.

La partecipazione Italiana alla missione, comunque, non si esaurisce con i due strumenti scientifici appena citati. A essi dobbiamo affiancare un terzo sensore, altrettanto importante perché ha contribuito a guidare Juno nel corso della sua marcia di avvicinamento a Giove. Si tratta del cosiddetto Autonomous Star-Tracker, il sensore di assetto realizzato da Leonardo-Finmeccanica. Ora che il veicolo spaziale è giunto a destinazione, il sensore continuerà comunque il suo compito di solerte ufficiale di rotta, garantendo che Juno mantenga sempre quella stabilita.

Un ulteriore tocco di italianità, infine, è dato dalla presenza a bordo della sonda di una placca dedicata a Galileo Galilei. Donata dall’Agenzia Spaziale Italiana, si tratta della copia in alluminio del manoscritto nel quale Galileo descrisse la scoperta dei 4 satelliti di Giove oggi noti come satelliti galileiani. Il grande pisano li osservò per la prima volta nel gennaio 1610 e diede loro il nome di Astri Medicei, dedicando la loro scoperta a Cosimo II de' Medici.

Insomma, visto il profondo coinvolgimento della ricerca italiana in questa missione, risulta quasi doveroso fare il tifo per Juno e la riuscita della sua fantastica cavalcata intorno al re dei pianeti.

Per approfondire:
Panoramica della missione
Rassegna degli strumenti di Juno

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