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Paolo Budinich: l’uomo che ha restituito un’anima alla sua città

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Si è chiusa ieri, 25 settembre, presso la Sala Veruda, di Palazzo Costanzi in piazza Piccola a Trieste, la mostra L'arcipelago delle meraviglie. Omaggio a Paolo Budinich nel centenario dalla nascita, prodotta dall’Immaginario Scientifico e dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA), per la coordinazione di Simona Cerrato e in collaborazione con l’Università di Trieste, il Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam” (ICTP), The World Academy of Sciences (TWAS), la Fondazione Internazionale Trieste per il Progresso e la Libertà delle Scienze (FIT). Alla realizzazione della mostra, che era stata inaugurata lo scorso 27 agosto, ha dato il suo contributo anche il Comune di Trieste.

La storia di un secolo, di uno scienziato, di una città

Con foto, video e un coinvolgente allestimento la mostra ha attraversato un secolo di storia non solo di un uomo, ma anche di una città e di una scienza (la fisica).  L'arcipelago delle meraviglie è il titolo di una fortunata autobiografia che Paolo Budinich ha pubblicato con l’editore Di Renzo nel 2002 e che ora appare in una riedizione per la collana Percorsi della casa editrice Beit di Piero Budinich, che di Paolo è uno dei figli.

Ma chi era Paolo Budinich? Be’ è facile dirlo: è l’uomo che – con l’esperienza dello scienziato e la giocosità di un bambino (parole di Claudio Magris) – ha restituito un’anima alla sua città.

Stiamo parlando, ovviamente, di Trieste. Una città che, nell’ultimo secolo – il secolo di Paolo Budinich – ha subito innumerevoli “perturbazioni enormi”. Quando Paolo Budinich è nato – a Lussino, un’isola dell’attuale Croazia, il 28 agosto 1916 – Trieste aveva un’anima affatto diversa rispetto a quella odierna. Nel 1912 era ancora “il” porto di un grande impero della Mittleeuropa, l’impero Austro-ungarico. Poi, dopo la Prima guerra mondiale, il primo ritorno all’Italia, poi il fascismo, il secondo conflitto mondiale, l’occupazione tedesca, quella jugoslava, il governo alleato, la costituzione nel 1947 del Territorio libero sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Quando, nel 1954, dopo tanto travaglio, lo status di Trieste viene finalmente risolto, la città si ritrova finalmente con una bandiera, ma senza più un’anima. Non è più “il” porto di un grande stato, non solo perché l’Italia non è un impero ma perché di città portuali lo Stivale ne ha tante. Trieste si ritrova, inoltre, al confine tra due mondi che non si parlano, l’Est e l’Ovest. E senza una funzione. La città rischia di avvizzire.

È a questo punto che si affaccia sulla scena un «visionario», che inizia a immaginare un futuro desiderabile per Trieste e soffiare una nuova anima nel corpo della sua vecchia città. È un fisico teorico, che ha contribuito allo sviluppo della sua disciplina nell’università giuliana. Si chiama Paolo Budinich.

Trieste città ponte e città della scienza

Il suo pensiero è semplice. Facciamo della debolezza di Trieste, piccola città al confine tra Est e Ovest, ma anche tra Nord e Sud del mondo, una città ponte. Una città dove si sperimenta il dialogo. E non c’è linguaggio più universale della scienza per parlare in e di pace. Facciamo, dunque, di Trieste una città della scienza. E facciamo della scienza il motore di un nuovo sistema produttivo.

Per capire come ha fatto Paolo Budinich a restituire un’anima – l’anima di “città della scienza” – a Trieste, conviene descrivere il personaggio. 

Nato, come abbiamo detto, nel 1916 a Lussino, un’isola dell’attuale Croazia dove la famiglia aveva riparato per evitare i pericoli della Prima guerra mondiale, Paolo Budinich si era laureato in fisica alla Normale di Pisa nel 1939. Aveva poi attraversato avventurosamente la Seconda guerra mondiale. La sua storia di soldato, disertore e prigioniero meriterebbe un capitolo a parte. Ritornato a Trieste ed entrato come docente presso l’università giuliana, ha iniziato finalmente a lavorare da fisico e a comportarsi da visionario: ovvero da persona che ha uno sguardo lungo, capace di guardare lontano.

Dopo la breve ma tragica occupazione dell’esercito di Tito e il governo alleato, Trieste ritorna all’Italia con profonde ferite e nessun ruolo. Almeno, nessun ruolo degno del passato. Budinich pensa che sia suo compito di uomo di scienza contribuire alla rinascita della sua città. Siamo una città di confine tra universi-isola e, dunque, siamo una città ponte, va sostenendo. Solo che gli universi incomunicanti non sono due, ma quattro. E noi siamo città ponte non solo tra Est e Ovest. Ma anche tra Nord e Sud del mondo.

Quando Paolo Budinich ragionava così erano negli anni ’50 del secolo scorso. La comunicazione tra l’Occidente e l’Oriente era pressoché impedita dalla cortina di ferro che, per dirla con Churchill, era stata eretta tra Stettino e, appunto, Trieste. Nello stesso tempo, il canale tra nord e sud del mondo era tutto da esplorare. Le isole incomunicanti erano due coppie di due. E per ciascuna coppia la scienza poteva proporsi come un ponte solido e utile.

Il Centro Internazionale di fisica teorica, la SISSA, l'Area Science Park

Ma la cosa può funzionare in particolare tra il Nord e il Sud del pianeta. I giovani dei paesi del Terzo Mondo (così si chiamava allora) non hanno la possibilità di studiare la fisica ad alto livello a casa loro, pensa Budinich. O emigrano e non tornano più o rinunciano. Creiamo un centro di fisica teorica a Trieste dove offrire una terza opportunità: formarsi al massimo livello e poi tornare a casa per creare, con la scienza, le condizioni per lo sviluppo.

Nacque così, all’inizio degli anni Sessanta, il Centro internazionale di fisica teorica: il primo al mondo su cui ha sventolato la bandiera delle Nazioni Unite. Budinich ebbe anche l’intuizione di chiamare a dirigerlo, quel Centro, un fisico teorico pakistano, Abdus Salam, che di lì a poco avrebbe ottenuto il premio Nobel. Il primo scienziato islamico laureato a Stoccolma. È così che Trieste divenne nota in tutto il mondo. Almeno in tutto il mondo scientifico.

L’azione di Budinich non si è fermata lì. Un paio di decenni dopo ha creato e, in un primo tempo, diretto la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA), la scuola di eccellenza che è stata la prima in Italia a istituire corsi di post-laurea e a rilasciare un diploma di PhD.

Poi, in rapida successione, Budinich ha creato o contribuito a creare l’Area Science Park di Trieste, il parco scientifico e tecnologico più grande d’Italia, che ospita numerosi centri di ricerca e laboratori, tra cui il Sincrotrone e il Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia (ICGEB), il primo centro delle Nazioni Unite che si occupa di biologia e che ha due teste: a Trieste e a Nuova Delhi in India (cui si è aggiunta, in seguito, una terza testa, a Città del Capo, in Sud Africa). 

Il sistema Trieste

Con queste strutture e altro ancora quel “generatore di creatività”, come lo ha definito il collega Erio Tosatti, Budinich ha dato il massimo e decisivo contributo a creare il “sistema Trieste”: una rete di centri, laboratori e istituti che, partendo praticamente da zero, hanno fatto del capoluogo giuliano la città a maggiore intensità scientifica d’Italia e forse d’Europa.

Ultimo ma non ultimo, Budinich ha contribuito anche a far maturare, a Trieste e in Italia, una cultura della comunicazione della scienza. Pensava che quella scientifica, per essere vincente e contribuire allo sviluppo di un paese e delle persone che lo abitano, deve essere diffusa. Per questo ha creato il primo science centre italiano (L’Immaginario Scientifico) e il primo Master in comunicazione della scienza del paese (alla SISSA, in collaborazione con il giornalista Franco Prattico).

Il “sistema Trieste”, ovvero il settore “ricerca e sviluppo” frutto in larga parte del pensiero e dell’azione di Paolo Budinich, è oggi il principale polo produttivo della città e dà lavoro a 4.500 addetti, di cui 3.500 sono ricercatori e tecnici qualificati. Il rapporto tra ricercatori e popolazione attiva sfiora i 40 addetti per 1.000 abitanti: sei volte più della media dell’Unione Europea; cinque volte più della media degli Stati Uniti; quattro volte più della media del Giappone (che a livello di paese è la più alta al mondo); tredici volte più della media italiana. Ma soprattutto conferisce alla città la dimensione di crocevia internazionale come forse non aveva mai avuto in passato.

Sono questi numeri a dirci che Trieste, grazie a Paolo Budinich, ha riottenuto un’anima. Sono questi numeri a dirci che, probabilmente, nessuno scienziato italiano ha mai fatto tanto per la sua città.

Paolo Budinich è morto nella notte del 14 novembre 2013, un giovedì, all’età di quasi 97 anni. È stato attivo fino all’ultimo. Quando si è spento stava lavorando alla realizzazione di una rete di università in Africa, capace di formare i giovani del continente nero con standard elevatissimi. Convinto com’era che per sottrarre i popoli alla povertà e al sottosviluppo non occorra regalare loro il pesce, ma dargli una canna da pesca e insegnare loro a pescare. E convinto com’era che, nell’era della conoscenza, la migliore canna da pesca è, appunto, la conoscenza.


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