fbpx Gorbaciov e quell'idea di un mondo senza armi nucleari | Scienza in rete

Gorbaciov e quell'idea di un mondo senza armi nucleari

Read time: 4 mins

25 anni fa, l’11 marzo 1985, Mikhail Gorbaciov divenne segretario generale del PCUS, dopo la morte, a distanza di un anno l’uno dall’altro, dei precedenti segretari generali Leonid Brezhnev, Yuri Andropov e Konstantin Cernenko, acquisendo l’effettivo controllo dell’Unione Sovietica e anche dei paesi nell’orbita socialista. Nei 6 anni in cui rimarrà al potere introdurrà cambiamenti epocali, che rivoluzioneranno la geografia politica del mondo, liberando la Russia e l’Europa orientale dai regimi comunisti, liquidando la guerra fredda e ponendo le basi del presente assetto mondiale.

Come dirà ricevendo il premio Nobel per la pace 1990, nel suo sforzo di rinnovamento (“perestroika”) della Russia, si rese subito conto della necessità di una profonda modifica dei rapporti internazionali del suo paese, passando da un atteggiamento di coesistenza, se non di contrapposizione, con i paesi occidentali a uno di collaborazione per un comune programma di pace e sviluppo. In questa prospettiva stupì il mondo, e il suo paese, il 15 gennaio 1986 lanciando l’audace proposta di un programma concreto per l’abolizione delle armi nucleari entro il 2000, articolato in tre fasi:

1. USA e URSS dimezzano il numero delle armi nucleari che possono raggiungere il territorio dell’altro paese e adottano un accordo per liberare l’Europa dai missili a medio raggio; Francia e UK si impegnano a non accrescere i loro arsenali;
2a. le altre potenze nucleari si uniscono al processo; USA e URSS eliminano tutte le forze nucleari a medio raggio e congelano i sistemi tattici;
2b dopo che USA e URSS hanno dimezzato i loro armamenti, tutte le potenze nucleari eliminano le loro armi tattiche; i test nucleari cessano ovunque;
3. eliminazione di tutte le armi nucleari entro la fine del 1999, con un accordo universale per il bando definitivo delle armi atomiche, con speciali procedure per la distruzione dei vettori; creazione di un sistema internazionale di stretta verifica del rispetto del disarmo e della non produzione di nuove armi nucleari.

La proposta venne accolta entusiasticamente da Ronald Reagan e considerata importante dal segretario di stato George Shultz, ma trovò immediata resistenza nel resto dell’amministrazione presidenziale, in particolare da parte di Richard Perle e dal segretario alla difesa Caspar Weinberg. Gli americani giunsero così all’incontro di Reykjavik (11-12 ottobre 1986) impreparati a seri negoziati sulle armi nucleari. Tuttavia Reagan e Gorbaciov concordarono che “una guerra nucleare non poteva essere vinta e pertanto non doveva mai essere combattuta” e, proseguendo nei colloqui, Reagan accettò la proposta di una totale eliminazione delle armi nucleari e di affidare “alla nostra gente a Ginevra di preparare una bozza di trattato con questo obiettivo”.

Tuttavia Reagan volle conservare lo sviluppo della sua Strategic Defense Initiative anche oltre alla fase di ricerca, unica ammessa dal trattato ABM del 1972, che invece Gorbaciov intendeva conservare.

L’importanza del “quasi accordo” non venne percepita al momento

e i tradizionali avvocati della stabilità attraverso la deterrenza -i capi di stato maggiore e i repubblicani conservatori americani, nonché Margaret Thatcher- si mobilitarono immediatamente per prevenire il rischio che una proposta così lungimirante potesse giungere neppure a livello declaratorio.

Reykjavik ruppe comunque la logica e il linguaggio del confronto nucleare fra USA e URSS e aprì la via a una serie di accordi senza precedenti, che realizzarono in parte il primo degli obiettivi proposti da Gorbaciov: il trattato INF dell’8 dicembre 1987 per la distruzione dei missili balistici e cruise con base a terra con raggio d’azione fra 500 e 5500 km; il trattato CFE del 19 novembre 1990 per la riduzione delle forze armate convenzionali in Europa; e, soprattutto, il trattato START I del 31 luglio 1991, per riduzioni significative delle armi nucleari strategiche americane e russe, con sistemi rigorosi di verifica della distruzione dei vettori e delle testate. Gorbaciov inoltre si impegnò per il raggiungimento del disarmo delle armi chimiche (convenzione di Parigi, 13 gennaio 1993) e per il bando dei test nucleari e convinse la Corea del Nord ad aderire al trattato di non proliferazione (dicembre 1985).

I leader politici succedutisi a Gorbaciov e Reagan non hanno saputo cogliere le opportunità aperte dalla fine della guerra fredda, e le armi nucleari e la loro proliferazione continuano a costituire gravi minacce per l’umanità. Il 2010 presenta tappe fondamentali nel campo delle armi nucleari: si attende in tempi brevi il nuovo trattato che rimpiazzerà lo START I, scaduto lo scorso dicembre, a maggio ci sarà una critica conferenza di revisione del trattato di non-proliferazione ed entra in una fase delicata il trattato di proibizione di ogni test nucleare, cui mancano ancora molte adesioni per entrare in vigore. Queste scadenze sono delle verifiche cruciali dell’impegno dei presidenti Obama e Medvedev per un “mondo senza armi nucleari”, che speriamo vorranno onorare.

M. Gorbachev, Nobel Lecture, June 5, 1991, in I. Abrams (ed.), Nobel Lectures, Peace 1981-1990, World Scientific Publishing Co., Singapore, 1997.
G. P. Shultz, W.J. Perry, H.A. Kissinger, S. Nunn, A World Free of Nuclear Weapons, the Wall Street Journal, January 4, 2007.
M. Gorbachev, The Nuclear Threat, the Wall Street Journal, January 31, 2007.
R. Rhodes, Arsenals of Folly: The Making of the Nuclear Arms Race, Knopf, New York, 2007.
B. Larkin, Designing Denuclearization: An Interpretive Encyclopedia, Transaction, New Brunswick, 2008.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP sei tu, economia

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo ed emergenti che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. Qualche decina di paesi, fra i quali le piccole isole, saranno inabitabili se non definitivamente sott’acqua se non si rimetteranno i limiti posti dall’Accordo di Parigi del 2015, cioè fermare il riscaldamento “ben sotto i 2°C, possibilmente. 1,5°C”, obiettivo possibile uscendo il più rapidamente possibile dalle fonti fossili.