fbpx Mesentere, organo fake? | Scienza in rete

Mesentere, organo fake?

Tempo di lettura: 6 mins

A novembre del 2016 uno studio, pubblicato su The Lancet Gastroenterology & Hepatology da parte di Calvin Coffey e Peter O’Leary dell’Università di Limerick, ha sollevato l’ipotesi che all’interno della cavità addominale esista un altro organo che non era mai stato classificato come tale: si tratta del mesentere, una piega del peritoneo che, partendo dalla parete addominale posteriore, si connette all’intestino. Sino ad oggi il mesentere era sempre stato considerato un tessuto discontinuo, con la sola funzione meccanica di sostegno delle anse intestinali: ora questo studio ha riclassificato il mesentere come un organo vero e proprio, con peculiari funzioni e caratteristiche.

Secondo Coffey, chirurgo dell’apparato gastrointestinale, la riclassificazione del mesentere apre un nuovo campo di studi, che si occuperà di indagare il ruolo dell’"organo" nell’insorgenza di malattie addominali al fine di individuare nuove cure.

Leonardo da Vinci fu uno dei primi a indicare la presenza di questa struttura ben 500 anni fa, ma la prima descrizione anatomica del mesentere risale al 1885 ed è attribuita al chirurgo inglese Sir Frederick Treves, medico alla corte della Regina Vittoria, primo uomo a eseguire con successo una rimozione dell’appendice in Gran Bretagna e protagonista, interpretato da Anthony Hopkins, delle vicende narrate nel lungometraggio The Elephant Man di David Lynch.

Dopo quasi un secolo e mezzo, pare imminente un aggiornamento delle conoscenze. Ma fino a oggi come veniva definito il mesentere? “Una struttura di sostegno per gli organi addominali, probabilmente coinvolta nello sviluppo di alcuni sintomi, come nel caso della sindrome dell’intestino irritabile”, spiega Edoardo Savarino, gastroenterologo dell’Università di Padova esperto in malattie infiammatorie croniche intestinali. “Inoltre, si sapeva che aveva un ruolo nel perpetuare l’infiammazione nelle malattie infiammatorie croniche dell’intestino a causa della presenza, nel suo contesto, di cellule del sistema immunitario. Il ruolo ipotizzato, comunque, era più strutturale e meno funzionale. Di fatto, noi sopravviviamo senza mesentere e questo depone un po’ meno a favore di una sua funzione essenziale”.

Il paper sembra porci dinanzi a nuove conoscenze: la contiguità del mesentere era dunque sconosciuta?

“Erano cose parzialmente note a cui è stata sempre data un’importanza relativa. Nell’articolo di Lancet Gastroenterology & Hepatology viene descritto come il mesentere sia una struttura continua e come probabilmente vada a interagire con l’intestino, di cui fa da barriera”.

Secondo Savarino “questo però è abbastanza intuibile. Linfociti B e T, cellule mesenchimali e citochine, presenti nel mesentere, possono avere un ruolo in varie malattie. Nell’articolo viene fatto l’esempio delle malattie croniche intestinali, come il Morbo di Crohn o la rettocolite ulcerosa: ma che queste possano nascere dall’involucro (il mesentere) e non a livello endoluminale (l’intestino) mi sembra un’ipotesi non basata su prove. Credo sia possibile invece che il mesentere intervenga in un secondo momento nel mantenere una condizione patologica che si sia già instaurata e quindi nel favorire lo sviluppo della malattia”.

L’importanza dell’articolo di Coffey, secondo Savarino, sta nell’aver valorizzato una parte del corpo poco studiata e poco valutata, enfatizzando ipotesi che meritano comunque un approfondimento. Tuttavia “la risonanza che è stata data alla pubblicazione non è giustificata dalle conoscenze attuali. Quanto detto nel paper non modifica in alcun modo ciò che viene fatto a qualsiasi livello, anche terapeutico” spiega Savarino. “La vera novità di questo studio è quella di richiamare l’attenzione su una struttura anatomica poco considerata; come l’appendice o le tonsille. Si pensava se ne potesse fare a meno, ma oggi sappiamo che possono avere un loro ruolo. Lo stesso dicasi per il grasso mesenteriale: è molto più interessante concentrarci proprio su questo tessuto, perché è lì che ci può essere una maggiore concentrazione di citochine proinfiammatorie implicate nello sviluppo di malattie intestinali o addominali. Il grasso viscerale è, inoltre, una fonte di cellule mesenchimali: ci sono studi che hanno valutato il ruolo di queste cellule nelle fistole presenti nel morbo di Crohn, sembra possano favorirne la riparazione (cosa che attualmente con i farmaci che abbiamo a disposizione non avviene). Può darsi che queste cellule possano essere impiegate a scopi terapeutici”.

A questo proposito va citato un recente articolo pubblicato su Inflammatory Bowel Diseases da autori cinesi, in cui s’ipotizza, appunto, l’esistenza di un asse bidirezionale di alterazione immunitaria, neurale, endocrina e vascolare tra epitelio intestinale e mesentere, nella patogenesi del morbo di Crohn: le anormalità morfologiche e funzionali del mesentere potrebbero contribuire alla progressione della malattia.

Anche Imerio Angriman, medico dell’Università di Padova specializzato in chirurgia dell’apparato digerente, condivide i dubbi di Savarino: “L’articolo a mio parere non dice nulla di rivoluzionario. Fornisce un’interpretazione mettendo insieme delle osservazioni per sostenere una teoria: che il mesentere abbia una sua funzione particolare”.

Coffey enfatizza il dato anatomico secondo cui il mesentere è un’unica entità e non un insieme di unità frammentate: si tratta di un riscontro nuovo?

“È un dato che era già abbastanza noto. Il mesentere si ritrova anche nel duodeno e nell'esofago e lo si vede quando si fanno le resezioni. Probabilmente non si era mai valorizzato questo aspetto”.

Cambierà qualcosa dal punto di vista del suo approccio professionale nella pratica quotidiana?

“No, per il chirurgo l’importanza data al mesentere è legata al tipo d’intervento, con la necessità di estendere la resezione in funzione del tipo di patologia o delle situazioni anatomiche caratteristiche”, chiarisce Angriman. “Non era mai stata ipotizzata una chirurgia mirata al mesentere, in quanto causa o concausa di alcune patologie. Dal mio punto di vista non si aggiunge, quindi, nulla a quanto già si sapeva. Alcuni in passato hanno sostenuto che all’origine della malattia di Crohn ci sia un’alterazione del deflusso linfatico che coinvolge il mesentere, ma non è stata riscontrata alcuna prova scientifica di questo processo. Allo stesso modo alcuni hanno ipotizzato che estendendo la resezione del mesentere si riducano i rischi di recidiva della malattia, ma anche questo dato non è suffragato da prove”.

Nonostante gli autori parlino di apertura verso nuove prospettive di studi, secondo Angriman “sembra quasi una storia romanzata. Diversi studi sono già in corso, come nel caso del drenaggio linfatico, della displasia linfatica e della diffusione neoplastica linfonodale. Tuttavia, l’ipotesi che il mesentere sia un organo è interessante ma, a mio parere, non è consistente”.

Accattivante, quindi, l’idea di elevare il mesentere al rango di organo, ma ben più interessante è continuare a studiare sempre più nel profondo le possibili funzioni di questa struttura anatomica. La storia ci dirà se potrà ambire al ruolo di nuovo organo, o se resterà - in linea coi tempi - un organo "fake".

 

Bibliografia:
Coffey JC et al., "The mesentery: structure, function, and role in disease". The Lancet Gastroenterology & Hepatology Volume 1, No. 3, pp. 238–247
Li Y et al., "The role of the mesentery in Crohn's disease: the contributions of nerves, vessels, lymphatics, and fat to the pathogenesis and disease course". Inflamm. Bowel Dis. 2016; 22: pp. 1483-95.

 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Il nemico nel piatto: cosa sapere dei cibi ultraprocessati

Il termine "cibi ultraprocessati" (UPF) nasce nella metà degli anni '90: noti per essere associati a obesità e malattie metaboliche, negli ultimi anni si sono anche posti al centro di un dibattito sulla loro possibile capacità di causare dipendenza, in modo simile a quanto avviene per le sostanze d'abuso.

Gli anni dal 2016 al 2025 sono stati designati dall'ONU come Decennio della Nutrizione, contro le minacce multiple a sistemi, forniture e sicurezza alimentari e, quindi, alla salute umana e alla biosfera; può rientrare nell'iniziativa cercare di capire quali alimenti contribuiscano alla salute e al benessere e quali siano malsani. Fin dalla preistoria, gli esseri umani hanno elaborato il cibo per renderlo sicuro, gradevole al palato e conservabile a lungo; questa propensione ha toccato il culmine, nel mezzo secolo trascorso, con l'avvento dei cibi ultraprocessati (UPF).