Sono ormai due anni che la sonda Dawn, dopo aver egregiamente compiuta la sua esplorazione di Vesta, orbita intorno a Cerere e ne studia le caratteristiche. Non è certo ancora giunto il momento di stilare bilanci definitivi – Dawn rimarrà operativa almeno fino a tutto il 2017 – ma i traguardi raggiunti finora suggeriscono di fare il punto su quanto la sonda della NASA ci ha rivelato, fino alla recentissima scoperta firmata da ricercatori italiani di composti organici su Cerere.
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Da quando gli astronomi ne hanno scoperto l’esistenza, Cerere ha cambiato casacca tre volte. Scoperto da Giuseppe Piazzi dall’Osservatorio di Palermo il 1° gennaio 1801, venne subito salutato come il pianeta che, stando a quanto suggeriva la cosiddetta legge di Titius e Bode, doveva orbitare tra le orbite di Marte e Giove. Poco più di un anno più tardi, però, Heinrich Olbers individuò un secondo candidato a quel ruolo (Pallade) e altri due ne spuntarono negli anni seguenti per opera di Karl Ludwig Harding (Giunone) e dello stesso Olbers (Vesta). I pretendenti per quel ruolo di pianeta cominciavano a essere un po’ troppi, tanto che Olbers propose l’idea che ci si trovasse dinanzi ai cocci del pianeta, distrutto da qualche immane catastrofe cosmica. L’ulteriore continua scoperta di nuovi pianetini non solo finì col rendere improponibile l’idea di Olbers, ma anche col rendere necessaria una differente loro classificazione. Venne dunque deciso di indicare quella nuova classe di corpi celesti con il termine di Asteroidi (letteralmente: oggetti simili a stelle), preferendo in questo il suggerimento di William Herschel a quello di Pianetini suggerito da Piazzi. Cerere venne così declassato dal ruolo iniziale di pianeta a quello di oggetto più grande tra gli asteroidi. Si tratta infatti di un corpo celeste di tutto rispetto: i suoi 950 km di diametro – più o meno la distanza in linea d’aria che separa Milano da Catanzaro – gli assicurano una massa che è circa un terzo dell’intera massa della Fascia principale.
Il terzo cambiamento nella classificazione di Cerere venne sancito a Praga nel 2006, nel corso dell’Assemblea generale dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU) che affrontò lo spinoso problema di darsi finalmente una definizione di pianeta. In conseguenza di tale definizione si decise l’introduzione di una nuova classe di corpi celesti, chiamati Pianeti nani, nella quale inizialmente confluirono Cerere, Plutone ed Eris e che attualmente comprende anche Haumea e Makemake (si ritiene comunque che molti altri corpi celesti possano avere le carte in regola per entrare in questa classe). Per definizione, si tratta di oggetti celesti che, come i pianeti, orbitano attorno al Sole e che hanno massa sufficiente a far loro assumere una forma pressoché sferica; a differenza dei pianeti, però, non hanno completamente “ripulito” la loro orbita dalla presenza di altri corpi celesti. È vero che il cancan mediatico innescato dalla decisione dell’IAU, specialmente al di là dell’Atlantico, rimarcò soprattutto il declassamento di Plutone, ma è opportuno ricordare che, sempre per la stessa decisione, Cerere finì col riprendersi un po’ della sua antica dignità planetaria.
Tra le decisioni dell’Assemblea generale dell’Unione Astronomica Internazionale tenutasi nell’agosto 2006 a Praga vi fu anche quella relativa alla definizione di pianeta. La risoluzione 5A “Definition of Planet” venne accettata a larghissima maggioranza. In seguito a questa decisione, Plutone perse il suo status di pianeta e, come Cerere, venne catalogato come Pianeta nano. (Photo: IAU/Robert Hurt)
Nel mirino di Dawn
Indipendentemente dalla sua classificazione, Cerere occupa comunque un posto particolare nella considerazione dei planetologi e non è certo un caso che alla NASA si sia pensato a una missione specifica. Lo stesso nome scelto per la sonda – Dawn, cioè Alba – parla chiaro: la missione, infatti, doveva aiutare gli astronomi a indagare su ciò che avvenne all’alba della formazione del Sistema solare. Per fare questo, la sonda doveva visitare due asteroidi e rivelarcene struttura e caratteristiche. La scelta degli obiettivi (Vesta e Cerere) non è stata certo casuale. Secondo i planetologi, infatti, questi due corpi celesti sono i rappresentanti più significativi di due diverse storie evolutive, dato che la loro formazione sarebbe avvenuta in due differenti regioni del Sistema solare primitivo. Vesta avrebbe sperimentata una formazione calda e secca, mentre Cerere si sarebbe formato in un ambiente freddo e umido. La speranza dei planetologi era che Dawn confermasse un simile scenario, oppure fornisse indicazioni chiare per formularne uno alternativo.
Lanciata il 27 settembre 2007 da Cape Canaveral, la sonda raggiunse Vesta, il suo primo obiettivo, il 16 luglio 2011; un lungo cammino, per il quale Dawn poté contare sull’innovativo motore a ioni di cui era equipaggiata. Dopo poco più di un anno trascorso orbitando attorno a Vesta, fornendoci immagini mozzafiato e rivelando importanti caratteristiche dell’asteroide, Dawn si rimise nuovamente in cammino puntando verso il suo secondo obiettivo. Altri tre anni di viaggio, culminati il 6 marzo 2015 con l’inserimento nell’orbita di Cerere.
Prima di Dawn, la nostra conoscenza del possibile aspetto di Cerere ci veniva unicamente dalle immagini raccolte dal telescopio Hubble. Anche se siamo in presenza del più grande tra gli asteroidi, i dettagli superficiali individuati da Hubble erano davvero scarni: avevamo sì la conferma della forma pressoché sferica di Cerere e della presenza sia di regioni più brillanti che di regioni più scure, ma nulla di più. Grande meraviglia e stupore, dunque, quando Dawn, ancora in marcia di avvicinamento verso il pianeta nano, ha iniziato a inviare immagini già in grado di surclassare quelle del telescopio spaziale.
A richiamare l’attenzione – e a solleticare le fantasie – era soprattutto la presenza di strane macchie brillanti che punteggiavano la superficie di Cerere. La più brillante, successivamente rivelatasi distinta in due componenti, era situata all’interno del cratere Occator, una struttura da impatto di una novantina di chilometri di diametro.
I sali di Occator
Non era affatto chiaro di cosa si potesse trattare. Per coinvolgere l’opinione pubblica, il JPL propose nelle sue pagine web una sorta di sondaggio sulla possibile natura di quelle macchie. Il 28% delle risposte pervenute indicavano che si trattava di formazioni di ghiaccio, mentre il 38% suggeriva una generica “altra” origine. La possibilità che vi potessero essere formazioni di ghiaccio sulla superficie di Cerere era molto gettonata anche tra i planetologi. Solamente qualche anno prima, infatti, l’Osservatorio spaziale Herschel dell’ESA aveva rilevato la presenza di vapore d'acqua attorno a Cerere. Non solo era la prima individuazione di questo tipo per un corpo della Fascia asteroidale, ma poteva essere considerata una prova decisiva che il pianeta nano potesse avere una superficie ghiacciata e una tenue atmosfera.
Man mano che Dawn abbassava la sua orbita, acquisiva immagini sempre più nitide e accurati dati spettrali, però, cominciarono ad accumularsi prove decisive che quelle chiazze dovevano avere una differente natura. A dispetto dei risultati del sondaggio, infatti, diventava sempre più chiaro che le chiazze luminose che campeggiavano sulla superficie di Cerere erano depositi salini.
Una prima interpretazione in tal senso veniva presentata nel dicembre 2015 su Nature da Andreas Nathues (Max Planck Institute for Solar System Research) e collaboratori che indicavano il solfato di magnesio come componente principale di quei sali e sottolineavano come il cratere Occator potesse essere caratterizzato dalla presenza di fenomeni di sublimazione del ghiaccio d’acqua. In uno studio successivo, pubblicato su Nature nel giugno 2016, Maria Cristina De Sanctis (INAF-IAPS) e collaboratori suggerivano per quei depositi salini una differente natura. I dati spettrali infrarossi, infatti, indicavano che si trattava principalmente di carbonato di sodio arricchito da cloruri e carbonati di ammonio. Per i ricercatori si tratterebbe di composti endogeni, il residuo lasciato dalla cristallizzazione di materiali provenienti dal sottosuolo e risaliti in superficie.
Veduta a colori falsati della zona centrale del cratere Occator. L’immagine è stata prodotta combinando immagini ad altissima risoluzione ottenute nel febbraio 2016 (35 metri per pixel) con immagini a colori ottenute nel settembre 2015 (135 metri per pixel). Il particolare trattamento delle immagini rende più evidenti le sottili differenze che caratterizzano la superficie di Cerere. (Photo: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI/LPI)
Un ulteriore contributo alla natura di quei sali e alla storia di Occator è quello pubblicato sempre da Andreas Nathues e collaboratori su The Astronomical Journal lo scorso febbraio. Nello studio i ricercatori non solo confermano che si tratta di sali carbonati, ma provano anche a ricostruire la loro origine. Anzitutto suggeriscono che il brillante ammasso salino di Occator sarebbe più giovane del cratere in cui risiede e la sua età ammonterebbe a soli 4 milioni di anni. Inoltre, tutto lascerebbe supporre che non si sia formato in un unico evento, ma sia il risultato di un processo graduale. La presenza all’interno di un cratere non sarebbe comunque casuale. L’innesco, infatti, sarebbe da ricondurre proprio all’impatto che ha scavato il cratere, un evento che ha fatto risalire acqua salmastra in prossimità della superficie. I gas disciolti nell’acqua (anidride carbonica e metano) si sarebbero poi lentamente aperto uno sfogo verso l’esterno trascinando con sé materiali ricchi di carbonato che, eruttando attraverso le fratture, si sarebbero accumulati nella struttura che oggi osserviamo.
Vulcani di ghiaccio
Le meraviglie di Cerere svelate dalla sonda Dawn non si limitano comunque alle chiazze saline di Occator. Lo scorso settembre la rivista Science ha riservato ampio spazio ai risultati ottenuti dalla sonda. Ben sei gli studi pubblicati in quel numero, alcuni dei quali hanno gettato nuova luce e suscitato grande interesse sulle caratteristiche del pianeta nano.
Fin dalle prime immagini della superficie di Cerere raccolte dalla sonda sono emersi chiari indizi della presenza di strutture riconducibili a processi di criovulcanismo. La più significativa di queste strutture, assolutamente unica sulla superficie di Cerere, è indubbiamente la formazione chiamata Ahuna Mons, una strana montagna alta 4 chilometri la cui base ha diametro di una ventina di chilometri. Proprio analizzando le immagini di Dawn, Ottaviano Ruesch (NASA Goddard Space Flight Center) e collaboratori sono giunti alla conclusione che Ahuna Mons si sia formato dopo le strutture circostanti e debba quindi avere un’origine recente (la sua età viene stimata in circa 200 milioni di anni). Alla sua origine vi potrebbe essere il meccanismo di estrusione di materiali imputabile a un criovulcano. In attesa di ulteriori dati, l’idea corrente è che i materiali portati in superficie dal criovulcano possano essere sali di cloro, sostanze individuate in altre regioni di Cerere.
Il misterioso rilievo Ahuna Mons campeggia in questo mosaico di immagini raccolte dalla sonda Dawn nel dicembre 2015. Le immagini sono state acquisite mentre la sonda orbitava a 385 km di altezza. La risoluzione delle singole immagini è di 35 metri per pixel. (Photo: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI)
Ahuna Mons non è comunque l’unica struttura che testimonia la presenza di fenomeni di criovulcanismo sul pianeta nano. Debra Buczkowski (Johns Hopkins University) e collaboratori, infatti, esaminando le differenti tipologie di formazioni osservate sulla superficie di Cerere, oltre a sottolineare come anche su questo corpo celeste le strutture crateriche da impatto siano l’elemento superficiale più importante, riconoscono anche che per alcuni elementi geomorfologici è necessario invocare l’azione di processi di criomagmatismo o criovulcanesimo. Proprio in questi giorni, Michael Sori (Lunar and Planetary Laboratory) e collaboratori hanno pubblicato uno studio su Geophysical Research Letters in cui ipotizzano che, in un remoto passato, le formazioni geologiche analoghe ad Ahuna Mons sarebbero state ben più numerose, ma oggi non sarebbero più individuabili. Nel corso del tempo, infatti, importanti processi di deformazione e cedimento (viscous relaxation) avrebbero finito col livellarli, rendendo di fatto impossibile una loro attuale identificazione.
Secondo l'analisi di Harald Hiesinger (Westfälische Wilhelms-Universität) e collaboratori, il cedimento non riguarderebbe solamente i criovulcani, ma anche le strutture da impatto e la presenza dello strato ghiacciato sottostante determinerebbe i tempi di rilassamento delle strutture. L’analisi dell’estensione, della profondità e la stima della possibile età dei crateri del pianeta nano indicherebbe che lo strato ghiacciato non può essere costituito da puro ghiaccio d’acqua, ma deve essere formato da un miscuglio di ghiaccio e roccia.
Non mancano le sorprese
Tra le scoperte davvero inaspettate possiamo anzitutto segnalare quella annunciata da Christopher Russell (University of California) e collaboratori nello studio in cui provano a fare il punto sulle caratteristiche del pianeta nano svelate da Dawn al suo arrivo a Cerere. Grazie alle rilevazioni dello strumento GRaND (Gamma Ray and Neutron Detector), i ricercatori hanno potuto registrare le tracce dell’interazione del vento solare con Cerere, una situazione che si può spiegare o chiamando in causa una debole atmosfera intorno al corpo celeste oppure la presenza di un debole campo magnetico. Responsabili di quest’ultimo scenario, considerato comunque il meno probabile, potrebbero essere le correnti elettriche che scorrono nell’interno salino di Cerere.
Non meno sorprendente la scoperta presentata da Eleonora Ammannito (University of California - Los Angeles) e collaboratori della distribuzione di fillosilicati contenenti magnesio e ammonio. I dati raccolti dallo strumento VIR (Visual and Infrared Spectrometer) hanno permesso di determinare che la distribuzione di questi silicati è piuttosto uniforme sulla superficie di Cerere. Poiché si tratta di silicati idratati, i ricercatori propongono che, a un certo momento della sua storia evolutiva, la superficie di Cerere sia stata interessata da diffusi e intensi processi di alterazione dovuti alla massiccia presenza d’acqua.
Ha destato ancora più scalpore, però, l’annuncio pubblicato a metà febbraio su Science da Maria Cristina De Sanctis (IAPS – INAF) e collaboratori riguardante l’individuazione di composti organici in una ampia regione di Cerere in prossimità del cratere Ernutet. Le molecole organiche, rilevate anch’esse dallo strumento VIR, appartengono alla categoria dei composti alifatici, composti che possono essere considerate i mattoni per costituire molecole più complesse legate a processi biologici. Componenti che sono necessari per i processi che caratterizzano le forme di vita che popolano il nostro pianeta, ma che non sono certo sufficienti alla sua comparsa e sviluppo. È comunque la prima volta che i dati raccolti da una missione spaziale mostrano un’evidenza così marcata della presenza di molecole organiche alifatiche su un corpo celeste differente dalla Terra.
Ad ogni buon conto, alla luce di quanto si è appena segnalato sulla possibile esistenza nel passato di Cerere di una fase in cui sulla sua superficie scorreva acqua liquida, emerge immediatamente come la scoperta abbia una notevole importanza. Abbiamo, infatti, tutti gli ingredienti che avrebbero potuto creare un ambiente favorevole a sostenere il possibile sviluppo di una chimica prebiotica su Cerere.
Regione intorno al cratere Ernutet. Le zone indicate sono quelle in cui sono state scoperte elevate concentrazioni di materiali organici. I colori codificano l’intensità della rilevazione spettrale, con i colori più caldi associati alle concentrazioni più elevate. (Photo: NASA /JPL-Caltech/UCLA/ASI/INAF/MPS/DLR/IDA)
Il mistero dei composti organici su Cerere: qualche domanda a Maria Cristina De Sanctis
Per saperne di più su questa scoperta dei composti organici su Cerere, abbiamo contattato Maria Cristina De Sanctis, prima autrice dello studio e membro del Team Dawn, il gruppo di ricercatori dell’INAF presso l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) di Roma che si occupa dello strumento VIR.
Quali sono i materiali organici individuati su Cerere nella regione intorno al cratere Ernutet e perché è così importante questa scoperta?
Parliamo di composti CH, dunque molecole di carbonio e idrogeno. Le molecole alifatiche scoperte su Cerere sono costituite da catene di legami CH. Nei composti alifatici, infatti, gli atomi di carbonio possono legarsi dando vita a catene lineari o ramificate [NdR: sono composti alifatici, per esempio, il metano, il butano e l’etilene]. La scoperta è interessante perché l'identificazione è molto chiara e anche la quantità da noi derivata è piuttosto elevata se confrontata con gli organici contenuti mediamente nelle condriti carbonacee (tipi di meteoriti, ndr.).
Inevitabile chiedersi quale potrebbe essere l'origine di tali composti chimici: si tratta di sostanze in qualche modo prodotte in loco, oppure sono stati, per così dire, raccolti da Cerere nel corso del tempo? La loro collocazione nei dintorni di un cratere è casuale oppure vi è un qualche possibile legame con Ernutet e gli altri crateri della regione?
Il motivo per cui il materiale è principalmente concentrato in quella zona non è ancora chiaro. Apparentemente è una zona "comune": non ha, cioè, caratteristiche geologiche particolari rispetto ad altre zone della superficie, come sono ad esempio le zone chiare che punteggiano la superficie di Cerere. Le ipotesi sull'origine di questi composti organici sono diverse: la formazione in loco, l'esposizione di materiale preesistente (originario), oppure la contaminazione da impatto. Quest'ultima ipotesi, però, pare la meno probabile per diversi motivi. La concentrazione riscontrata, per esempio, implicherebbe l’arrivo di un proiettile molto ricco di composti organici. Con l'impatto, infatti, il materiale del proiettile si disperde sulla superficie e quindi non dovrebbe essere molto abbondante, a meno di ipotizzare un proiettile estremamente ricco di organici.
L’importante scoperta è dovuta alle rilevazioni dello strumento VIR. Di che strumento si tratta? Qual è il ruolo giocato dai ricercatori e dall'industria italiana nella sua progettazione e realizzazione?
Lo strumento che ha individuato tali composti è il Visual and Infrared Spectrometer – in breve, VIR – e si tratta di uno strumento italiano. È uno spettrometro a immagine che lavora nell'intervallo di lunghezze d'onda in cui si possono individuare tali composti. È stato progettato e realizzato in Italia e i ricercatori Italiani hanno tuttora la responsabilità scientifica dello strumento.
Una volta conclusa la sua missione primaria e scartata l'ipotesi di abbandonare Cerere per altra destinazione, Dawn continuerà ancora per qualche tempo a studiare il Pianeta nano. Cosa potrebbe riservarci ancora?
Di certo ci sono ancora da analizzare molti dati. Al momento la sonda è su un’orbita piuttosto lontana dalla superficie di Cerere e sta facendo specifiche osservazioni e misure sostanziali per la migliore comprensione dei dati già acquisiti. Insomma, abbiamo ancora molto lavoro da fare.
Per approfondire:
G. Foderà Serio - A. Manara - P. Sicoli, Giuseppe Piazzi and the Discovery of Ceres
Cover: Uno stupendo scorcio dell’emisfero settentrionale di Cerere in cui campeggia il cratere Occator, sede della più appariscente e intrigante area luminosa mostrata dalla sonda Dawn fin dal suo arrivo in prossimità del pianeta nano. Gli studi più recenti indicano che si tratta di depositi salini trasportati dal sottosuolo fin sulla superficie. L’immagine è stata acquisita da Dawn il 17 ottobre 2016 da una quota di 1480 chilometri e la risoluzione è di circa 140 metri per pixel. (Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA)