Quello delle valutazioni dei dipartimenti di filosofia è un tema delicato e molto controverso. Abbondano i ranking a livello mondiale, il più recente dei quali sembra premiare al primo posto nel mondo l'Università di Pittsburgh, che certo non spicca fra le università più note al mondo per la filosofia. Si tratta di classifiche basate nella maggior parte dei casi su pochi indicatori, quali per esempio le citazioni dei ricercatori o la “reputazione” del dipartimento, che lasciano per ovvie ragioni il tempo che trovano, oltre a produrre un risultato di scarsa importanza, come un paragone fra dipartimenti diversi per paese, dimensione, composizione e via dicendo.
Altra cosa invece è cercare di valutare il livello della produzione dei dipartimenti umanistici di uno specifico paese, dipartimento per dipartimento e settore per settore, con l'obiettivo di capire con quali risultati vengono spesi i soldi pubblici. È questo l'obiettivo per esempio dell'ultimo rapporto di ANVUR sulla qualità della ricerca, già ampiamente discusso in particolare riguardo alla ricerca scientifica anche da Scienza in Rete, ma su cui è interessante soffermarsi nuovamente per osservare un altro panorama: quello della ricerca prodotta dai dipartimenti di filosofia, che all'interno delle classificazioni di ANVUR è contenuta nell’area 11 a.
Un bilancio positivo
“Il risultato complessivo di questo rapporto è positivo: avevamo fissato una soglia del 10% di prodotti valutati come eccellenti, e ci siamo ritrovati una percentuale di prodotti eccellenti ben oltre questo valore”. A parlare è Carlo Natali, professore Ordinario di Filosofia Antica presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, nonché sub-ccordinatore per filosofia dell’area 11a. Inoltre – e questo è un altro risultato positivo emerso – il rapporto ha evidenziato come vi siano sempre meno docenti universitari “inattivi”, cioè che lavorano nei dipartimenti di filosofia senza pubblicare nulla, cosa che - precisa Natali – era abbastanza comune fino a qualche anno fa e che ora è tenuta meglio sotto controllo.
“Si è trattato di un lavoro lungo e articolato, il cui valore non è tanto di pubblicare classifiche delle università – prosegue Natali – ma di permetterci di avere il polso del livello dei risultati che sta producendo l'università pubblica italiana nell'ambito della filosofia, a seconda del settore disciplinare: filosofia morale oppure estetica e via dicendo.
I risultati pubblicati da ANVUR (consultabili qui) sono davvero moltissimi e per raccontarli è necessario evitare di mescolare dati non comparabili. Per questa ragione la prima mossa è quella di considerare le valutazioni settore per settore, in modo che per ogni dipartimento si valutino i risultati in ogni settore disciplinare, che per l'ambito di filosofia sono otto: Filosofia teoretica, Logica e filosofia della scienza, Filosofia morale, Estetica, Filosofia del linguaggio, Storia della filosofia, Filosofia antica e filosofia medievale. Quello che emerge dalla valutazione ANVUR è riassumibile nel grafico qui sotto, che mostra molto bene come il numero di prodotti valutati come eccellenti e di qualità elevata (colorati in azzurro e verde nel grafico) siano una buona parte del totale nella maggior parte dei settori.
Meno monografie, più articoli
“Abbiamo notato inoltre una tendenza sempre maggiore a pubblicare articoli e meno monografie, al contrario di quanto avveniva qualche tempo fa” prosegue Natali. Un fatto che senza dubbio testimonia il progressivo avvicinamento a quelli che sono i crismi della produzione scientifica nell'ambito delle scienze dure o biomediche, dove paga di più pubblicare articoli su riviste indicizzate. “Le monografie sono sempre di meno e sono sempre meno corpose, cosa che in realtà io personalmente trovo positiva" continua Natali "anche per rendere più fruibili i propri contenuti ai colleghi”. Non possiamo non pensare a questa tendenza come a una conseguenza dell'irrobustirsi dello specialismo anche in ambito filosofico, che molti filosofi stessi ultimamente hanno iniziato a studiare come fenomeno sociale, come illustra un interessante libro scritto dal filosofo Diego Marconi per Einaudi intitolato “Il mestiere di pensare”.
Valutazione senza bibliometria
La scelta di campo iniziale è stata quella di non considerare la valutazione bibliometrica – utilizzata invece per le discipline scientifiche, ma di utilizzare la peer review. Questo perché - spiega Natali - i normali strumenti come Scopus non si occupano delle riviste di area umanistica se non in piccola parte, rendendo i risultati del tutto inaffidabili. A ogni ricercatore è stato chiesto di sottoporre a valutazione due pubblicazioni, quelle che ritenevano migliori, che venivano poi inviate a quattro valutatori (cioè a due coordinatori di area che a loro volta nominavano ognuno un altro valutatore) chiamati a esprimere un giudizio, da “eccellente” a “non valutabile”. Il metodo utilizzato da ANVUR prevede 5 classi di merito rappresentate ognuna da un valore compreso fra 0 e 1: “eccellente” è rappresentato dal valore 1, “elevato” da 0,7, "discreto" da 0,4, “accettabile” da 0,1 e “limitato/non valutabile” riporta punteggio 0. Nei casi in cui le valutazioni da parte dei referees fossero molto in contrasto, veniva introdotto un terzo valutatore. I criteri per la valutazione dei prodotti erano 3: originalità dei risultati, rigore metodologico e impatto attestato o potenziale della ricerca.
I problemi
Oltre ai più comuni bias del caso, come la differenza nel numero di pubblicazioni considerate per dipartimento e il fatto che ogni pubblicazione venisse giudicata da quattro referees, che nel 30% dei casi hanno prodotto valutazioni molto discordanti per cui si è reso necessario un quinto valutatore, la maggiore criticità – spiega Natali – ha riguardato le tempistiche troppo strette per la valutazione. “Il processo di valutazione doveva iniziare a febbraio-marzo, ma in realtà a causa di lungaggini burocratiche e dell’ostilità di una parte del corpo docente i lavori sono iniziati realmente a luglio-agosto, quindi con notevole ritardo e in un momento dove in molti che si erano resi disponibili a valutare erano in vacanza” spiega Natali. “La deadline per la valutazione però non è slittata, è rimasta a ottobre, per ragioni molto pratiche e condivisibili e cioè per fare in modo che il Fondo ordinario per l'Università (FFO) da destinare in particolare alla ricerca venisse ripartito anche sulla base della nuova valutazione ANVUR e non su quella precedente. Il risultato è stato però aver perso molti valutatori, senza considerare quelli, magari più anziani, che si erano già arresi davanti alla difficoltà di iscriversi come valutatori, dal momento che la procedura era completamente computerizzata e alquanto complessa”.
Vi è infine il grosso problema (che recentmente viene fatto oggetto della ricerca filosofica stessa) di come classificare in maniera omogenea un prodotto sulla base della definizione di “eccellente, “elevato”, “discreto” e via dicendo, e tradurlo in un valore numerico per elaborare statistiche. “Quella delle classi di merito per esempio è una scelta arbitraria, evidentemente" prosegue Natali "che per esempio non rende conto in maniera molto precisa dei vari livelli che possono intercorrere fra un prodotto di qualità elevata e un prodotto eccellente. Ma nonostante queste criticità, il risultato complessivo è positivo, nonché molto importante per la distrubuzione dei fondi pubblici, che non può comunque esimersi dal basarsi su un sistema di valutazione che sia il più oggettivo possibile”.