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Microbioma: un mondo dentro di noi

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Nuovi metodi di analisi stanno facendo emergere tutta l’importanza per la nostra vita del microbioma: centinaia di migliaia di miliardi di cellule “altre da noi” che convivono con noi nel nostro corpo, dando un contributo decisivo alle nostre funzioni vitali.

Uno dei centri più avanzati nello studio del microbioma in Italia è l’Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR di Pozzuoli. Il suo direttore, Vincenzo Di Marzo, uno degli scienziati italiani più citati nella letteratura internazionale, è stato chiamato dall’Università Laval di Quebec City, in Canada, per organizzare nuove ricerche innovative. Lo abbiamo intervistato.

Cos’è il microbioma? E, in particolare, cos’è il microbioma umano?

Il microbioma è l'insieme di microorganismi (il microbiota) che vivono stabilmente in alcuni dei nostri organi e tessuti - come il tratto gastrointestinale, la pelle, la bocca, gli occhi, il naso, i polmoni, e i genitali - e di tutto quanto essi producono. Si tratta di batteri, lieviti e anche virus, che hanno una distribuzione abbastanza precisa tra molteplici specie e famiglie, determinata in parte geneticamente (ed ereditata in parte dalla madre durante il parto e l'allattamento) e in parte dall'ambiente in cui viviamo. Svolge per noi una serie di funzioni fondamentali e trae giovamento dalla "varietà ambientale" (in termini di umidità, pH, temperatura e matrici biologiche) del nostro corpo, in una vera e propria simbiosi conservata evoluzionisticamente. La sua alterazione patologica (o "disbiosi"), dovuta all'alimentazione, a farmaci e ad altri fattori esterni, contribuisce ai sintomi o addirittura all'instaurararsi di alcune malattie.

C’è una differenza tra microbioma e microbiota?

La definizione non è scolpita nella pietra. Molti usano i due termini per indicare la stessa cosa (cioè il microbioma definito sopra). Altri intendono con microbioma il microbiota e tutto ciò che è presente in esso, ovvero i geni e gli acidi nucleici, le proteine, gli enzimi e le altre macromolecole, e i metaboliti, insomma un "oma" costituito da più "omi". Credo che la definizione di microbioma sia più recente, proprio ad indicare un sistema molto complesso (come il genoma, proteoma, trascrittoma, metaboloma, ecc.).

Lo studio del microbioma inizia già alla fine del ‘600, quando Antonie van Leewenhoek studia il microbiota presente nella sua saliva e quello nelle feci. Quindi la scienza del microbioma nasce con la microbiologia stessa. Qual è oggi, se c’è, la differenza sostanziale in questi studi? Perché del microbioma si è iniziato a parlare con maggiore frequenza e intensità negli ultimi tre o quattro lustri?

Nel '600, quando ancora non era chiaro che i "microbi" fossero portatori di malattie o benefici, non poteva esistere il concetto di microbioma come quello odierno. I primi studi importanti su questo sistema hanno rivelato il suo ruolo principalmente nel metabolismo (i microorganismi residenti nel nostro intestino ci aiutano a produrre energia da molecole dietariche che il nostro bagaglio di enzimi non riuscirebbe a metabolizzare) e nel contrasto della diffusione di microorganismi patogeni (tipico esempio è rappresentato dalla disbiosi causata da uso prolungato di antibiotici che può provocare candidosi, ovvero la proliferazione di Candida albicans, spesso residente nei genitali e tenuta a bada dal microbioma genitale). Era una funzione importante, ma forse un po’ settoriale e limitata. Solo recentemente si è potuto associare al microbioma altre funzioni importanti non solo a livello metabolico (obesità e diabete), ma anche a livello comportamentale. Che il comportamento degli animali potesse essere in parte influenzato da organismi unicellulari sembra impensabile, ma oggi esistono dati che suggeriscono proprio questa possibilità e anche questo ha stimolato una riscoperta del microbioma, che sembra avere quindi un ruolo più "pleiotropico".

Perché i vertebrati hanno un microbioma particolare? C’è stata co-evoluzione tra vertebrati e microbioma?

L'opinione corrente è che sia così, almeno in parte, e non solo per i vertebrati. Solo così possiamo spiegare perché specie e generi di animali diversi di solito posseggano microbiota di composizione diversa. E' anche vero però che avere un microbiota che sia parzialmente flessibile espande le possibilità degli organismi che li ospitano di adattarsi velocemente a variazioni ambientali. La "velocità di evoluzione" di un microorganismo che può replicarsi molte volte in 24h è estremamente più elevata di quella di un organismo multicellulare complesso. Questo conferisce al microbiota la possibilità di adattarsi velocemente alle variazioni evolutive del suo ospite, che impiegano migliaia o milioni di anni, e all'ospite, attraverso il microbiota, il vantaggio di adattarsi a variazioni ambientali, nel giro invece di giorni, settimane o mesi (anche se a volte l'adattamento non è migliorativo, ma può essere peggiorativo, come nel caso del ruolo delle variazioni del microbioma indotte da diete grasse, che contribuiscono all'obesità). Inoltre, bisogna ricordare che il microbiota ha dovuto "insegnare" alla risposta immunitaria dell'ospite di non riconoscerlo come "non-self" e quindi di non eliminarlo. Questo non può non implicare anche meccanismi di co-evoluzione.

L’uomo ha circa 22.000 geni nel suo DNA, ma 3,3 milioni di geni sono presenti negli organismi che compongono il suo microbioma. Quanto questi geni contribuiscono alla vita umana? E’ possibile quantificare la diversità umana in termini di microbioma? Il microbioma cambia nel corso della vita? E quanto dipende dall’ambiente in cui un uomo vive? In uno stesso ambiente, quanto può essere la diversità in termini di microbiota tra gli esseri umani? Ci sono microrganismi presenti (necessariamente?) in tutti gli esseri umani?

Moltissimo, anche perché, come ho spiegato sopra, sono geni che si evolvono in risposta all'ambiente molto più velocemente (basta paragonare quanti miliardi di anni impiegherebbe l'uomo, ove mai, a sviluppare una mutazione che lo renda resistente al cianuro, e quante decine di anni hanno impiegato i batteri a diventare resistenti agli antibiotici). La risposta alle altre domande è sempre sì, e le implicazioni di questi "sì" (in parte evidenziate nelle risposte sopra) stanno diventando sempre più intriganti.

Ci sono già ricadute applicative di questi studi? E quali sono le piste più promettenti per migliorare la salute umana?

Certo. A causa del fatto che alcune specie del nostro microbiota intestinale tengono a bada i batteri patogeni, che pure convivono in una certa misura con essi e con noi, si sta utilizzando il trapianto fecale (le feci di un individuo contengono un microbiota che in gran parte rispecchia quello intestinale) per salvare persone che hanno contratto un batterio resistente agli antibiotici, il Clostridium difficile. Si fanno ingerire preparati di feci (opportunamente trattati) di individui sani ad individui infettati con questo terribile batterio killer, e in questo modo si sono già salvate numerose vite. E' in via di sperimentazione anche il trapianto fecale come trattamento per l'obesità e il diabete di tipo 2, sempre partendo dal microbioma fecale di individui magri e metabolicamente sani. Il sogno, però, è di identificare i "principi attivi" (le molecole e le macromolecole) che vengono prodotti dal microbioma "sano" e che sono responsabili di queste azioni terapeutiche (ovvero di eliminare il Clostridium difficile, di ridurre l'obesità e il diabete, e presumibilmente di tante altre), in modo da sviluppare farmaci la cui somministrazione non presenti le problematicità (in parte anche ovvie e prevedibili) del trapianto fecale.

Di cosa si occupa l’Istituto di Chimica Biomolecolare che dirige al CNR di Pozzuoli?

La missione dell'Istituto (che ha sedi secondarie anche a Catania, Padova e Sassari) è di svolgere ricerche nel campo della chimica dei sistemi biologici con finalità sia di base che applicative. Ci proponiamo di comprendere, utilizzando prevalentemente competenze e metodologie di chimica bioorganica, biochimica e biologia chimica, il funzionamento a livello molecolare dei sistemi e dei processi biologici, ed esplorarne nuove applicazioni biotecnologiche in campo biomedico, agroalimentare, ambientale/ecologico ed energetico.

E lei, che è uno degli scienziati highly cited italiani, quali studi svolge in maniera particolare?

Il mio gruppo di ricerca svolge da due decenni studi di biochimica, chimica farmaceutica e farmacologia molecolare sul sistema degli endocannabinoidi, e sui cannabinoidi da cannabis. Abbiamo iniziato ad effettuare ricerche in questo campo sin dalla scoperta, nei primi anni '90, degli endocannabinoidi, ovvero molecole lipidiche, prodotte dagli organismi invertebrati e vertebrati, che in questi ultimi, e nei mammiferi in particolare, agiscono attivando i recettori del THC, il principio psicotropo della marijuana, ma anche mediante altri meccansimi.

Cos’è l’endocannabinoidoma e perché è importante? Quali risultati avete raggiunto con il vostro gruppo?

La scoperta degli endocannabinoidi e dei meccanismi molecolari che controllano la loro concentrazione nei tessuti (enzimi biosintetici e degradativi) e la loro azione (recettori), ha portato a scoprire una pletora di molecole lipidiche chimicamente correlate agli endocannabinoidi (e questo è un tipico esempio di approccio chimico per lo studio dei sistemi biologici), e quindi ad altri enzimi metabolici (in parte condivisi con gli endocannabinoidi) e altri recettori (in parte già noti, ed in parte ancora da caratterizzare). Un vero e proprio "oma" che abbiamo definito, per motivi storici ma anche di attinenza biochimica, "endocannabinoidoma". Mentre gli endocannabinoidi sono due e così anche i loro recettori più importanti, il CB1 e il CB2 (condivisi col THC), e i loro enzimi metabolici sono 5, si stima che l'endocannabinoidoma contenga più di 200 segnali chimici lipidici, più di 20 recettori e più di 20 enzimi metabolici.

Lei ha ottenuto una cattedra di eccellenza per la ricerca in Canada (Cerc) per svolgere studi sull’asse “endocannabinoidoma-microbioma nella salute metabolica” presso l’Università Laval di Quebec City. Lascerà l’Italia o pendolerà? E se lascia l’Italia, ci può dire perché? Continuerà a collaborare con il suo gruppo?

Sì, ed il motivo è che il sistema degli endocannabinoidi e molecole correlate, nell'intestino, è profondamente alterato dalla disbiosi che si verifica durante l'obesità (ed è in parte la causa di essa). Inoltre, sia il microbioma che l'endocannabinoidoma (che appartiene esclusivamente all'ospite) sono alterati dalle stesse condizioni ambientali, che spesso sono proprio quelle alla base delle malattie metaboliche.
Non lascerò né l'Italia né il CNR, e "pendolerò" (finché ce la farò...). Spero che il mio gruppo di ricerca non voglia approfittare del mio futuro "pendolarismo" per... liberarsi di me! In realtà, lo scambio tra le due istituzioni sarà reso possibile grazie alla creazione, avvenuta già lo scorso anno, di un'Unità mista internazionale tra l'Università Laval e il CNR, la "Joint International Unit on Chemical and biomolecular microbiome research: nutritional applications and impact on metabolic health" (www.umilaval.cnr.it), che favorirà la partecipazione a programmi di finanziamento Europei e Canadesi e, con i fondi così ottenuti, finanzierà laboratori congiunti, "short-term mobility" di ricercatori e borsisti, borse di dottorato in co-tutela. ed eventi di divulgazione scientifica, come la prossima conferenza "Deciphering the biomolecular mechanisms of microbiome action on metabolism", che si terrà a Napoli dal 3 al 5 Maggio p.v.

Dal suo punto di vista, per qualità e per quantità, come si colloca la scienza italiana e quella biomedica in particolare, nel mondo? Quali sono i nostri pregi e quali i nostri difetti? Le stesse domande in rapporto al Mezzogiorno: come giudica la capacità di ricerca, in generale e nelle sue discipline in particolare, a Napoli e nel resto del Sud? Cosa si può fare per valorizzare i pregi e minimizzare i difetti?

Vi si colloca benissimo, credo. Nonostante la cronica mancanza di finanziamenti e la preannunciata (da decenni) crisi dell'Università e degli Enti pubblici di ricerca, i nostri ricercatori sono tra i primi al mondo come produzione di pubblicazioni e nuova conoscenza (immaginate, quindi, cosa potremmo fare con finanziamenti appropriati), e molto stimati e "ricercati" all'estero. Non vedo grosse differenze tra Mezzogiorno e resto del Paese. Le differenze presenti in altri settori sono molto attenuate in campo scientifico, anche grazie all'opera di collegamento del CNR, che unisce l'Italia della ricerca con i suoi istituti multi-sede (come l'Istituto di Chimica Biomolecolare...). Quello che rende un po’ più difficile fare ricerca al Sud sono le condizioni di contorno e la vivibilità delle città, ma anche questa differenza si sta attenuando, credo. Nel mio istituto abbiamo moltissimi studenti europei che amano vivere a Napoli e a Pozzuoli, nonostante i tanti problemi ancora irrisolti.

 

 

 


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