fbpx Clima, e adesso mister Trump? | Scienza in rete

Clima, e adesso mister Trump?

Primary tabs

Il presidente americano Donald Trump sorride durante la visita del presidente turco Recep Erdogan alla Casa Bianca il 16 maggio 2017. Credit: Michael Reynolds/Getty Images.

Tempo di lettura: 7 mins

"Evidence for a changing climate abounds, from the top of the atmosphere to the depths of the oceans". Più chiara di così la National Academy of Sciences statunitense non poteva essere, nel rapporto appena anticipato dal New York Times prima di ricevere la formale approvazione dell'Amministrazione americana.

Cosa dice in sintesi il rapporto? Che la temperatura media negli Stati Uniti è cresciuta rapidamente e drasticamente dal 1980 e che gli ultimi decenni sono stati i più caldi degli ultimi 1.500 anni. Gli autori notano che migliaia di studi, condotti da decine di migliaia di scienziati, hanno documentato i cambiamenti climatici sulla terra e nell'aria. "Molte linee di prove dimostrano che le attività umane, in particolare le emissioni di gas serra, sono i principali responsabili dei recenti cambiamenti climatici osservati", hanno scritto. Il nuovo rapporto contraddice dunque le affermazioni del Presidente Trump e dei suoi consiglieri, i quali affermano che il contributo umano al cambiamento climatico è incerto e che la capacità di prevederne gli effetti è limitata. La relazione appena completata contiene una sezione speciale riferita alla valutazione del clima nazionale, che viene sottoposta al Congresso ogni quattro anni. Una scienziata del governo che ha lavorato alla relazione, Katharine Hayhoe, professoressa di scienze politiche presso la Texas Technology University, ha definito le conclusioni tra le "relazioni più complete del settore climatico" finora pubblicate. Un altro scienziato coinvolto ha detto che c'è una forte preoccupazione tra gli autori che il rapporto possa essere censurato.

Serviranno le prove presentate dalle 13 Agenzie federali per convincere il presidente Trump? Certo la retromarcia a questo punto sarebbe imbarazzante, ora che una forte opposizione all’Amministrazione USA arriva anche dal mondo della ricerca sul clima. Ricordiamo infatti che il 1° giugno il Presidente Donald Trump, dando seguito a quanto aveva promesso in campagna elettorale, annunciò che gli Stati Uniti avrebbero abbandonato il Paris Agreement, l’accordo sul clima approvato a fine 2015 nella capitale francese, al termine della XXI sessione della conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP21). Il Paris Agreement, tra le altre cose, impegna i Paesi firmatari a contenere l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali” e “di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C” e di giungere progressivamente a un’economia globale a zero emissioni di carbonio, possibilmente nella seconda metà del secolo in corso.

Nel famoso discorso dal Giardino delle Rose, due mesi fa, Trump annunciò anche che avrebbe fatto annullare tutte le politiche e misure decise dall’Amministrazione Obama per dare seguito alla ratifica del trattato di Parigi e ritirare la partecipazione degli USA al Green Climate Fund. Concretamente, Trump ha ordinato la revoca di tutte le politiche su cui il presidente Barack Obama aveva basato il suo ambizioso impegno di ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell'America del 26 per cento al 28 per cento al di sotto dei livelli del 2005 entro il 2025, attraverso misure che avrebbero portato a una rivoluzione energetica e industriale. Appena qualche giorno fa, con una lettera inviata alle Nazioni Unite, l'amministrazione USA ha comunicato ufficialmente di abbandonare l’accordo.

In realtà l'articolo 28 dell'Accordo di Parigi consente a una nazione di ritirarsi mediante notifica scritta al segretario generale delle Nazioni Unite, la quale può essere trasmessa soltanto "dopo tre anni dalla data di entrata in vigore [dell'Accordo di Parigi]". La revoca prende effetto solo dopo un anno dalla data di ricezione della notifica. L'accordo di Parigi è entrato in vigore, per gli Stati Uniti e per i quasi 200 Paesi che lo hanno ratificato, il 4 novembre 2016. Di conseguenza, al più presto gli Stati Uniti potrebbero dare notizia scritta il 4 novembre 2019 e al più presto gli Stati Uniti potrebbero lasciare l'accordo di Parigi il 4 novembre 2020. Fino a quella data gli Stati Uniti continueranno a essere parte dell'accordo e sono obbligati per il diritto internazionale a non frenare o ostacolare la sua attuazione.

Gli USA hanno chiarito che continueranno a prendere parte ai negoziati internazionali sul clima, quelli che avvengono nell’ambito della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, cosa che fanno dal 1994. Non potrà invece partecipare ai negoziati dei Paesi che hanno già ratificato l’Accordo di Parigi, così come non partecipò ai negoziati dei Paesi che avevano ratificato il Protocollo di Kyoto. Nella lettera all’ONU gli USA hanno dichiarato di essere aperti a "riagganciare" la questione, se — come ha detto varie volte Trump — ci saranno le condizioni per farlo e se si presenteranno vantaggi per gli Stati Uniti, le sue attività, i suoi lavoratori, i suoi cittadini e i suoi contribuenti “. "Sono stato eletto per rappresentare i cittadini di Pittsburgh, non di Parigi", ebbe a dire lo scorso giugno, parlando nel Giardino delle Rose della Casa Bianca. Che sia questo rapporto della principale accademia scientifica USA a fornire l'appiglio per un ripensamento?   Questa decisione dell’Amministrazione Trump ha deluso sia la maggioranza dei cittadini USA, sempre più preoccupati degli effetti dei cambiamenti climatici e soprattutto degli eventi estremi e di quello che potrà accadere nei prossimo futuro. Un sondaggio della Gallup ha evidenziato che quasi due terzi degli americani sono preoccupati per il cambiamento climatico. Una ricerca della Università di Yale sulla comunicazione sui cambiamenti climatici ha scoperto che quasi il 70 per cento degli americani vorrebbe rimanere nell'accordo, inclusa la metà degli elettori di Trump. La decisone di Trump ha scioccato anche gran parte della comunità imprenditoriale americana, quella più dinamica e che crea nuova occupazione, che l’ex star televisiva e ora presidente viceversa pretende di difendere. Con questa decisione, Mister Trump mette a rischio la competitività americana e la crescita dell’occupazione nelle industrie cruciali. E a nulla è servita la pressione tentata dal settore privato americano che qualche mese fa, con una lettera aperta a Mister Trump e al Congresso, firmata da 630 imprese e investitori - con nomi come DuPont, Hewlett Packard, Pacific Gas e General Electric -, ha tentato di convincere Washington a continuare a sostenere politiche a basse emissioni di carbonio, investimenti in un'economia a basse emissioni di carbonio e a partecipare all'accordo di Parigi. È anche per questo che Elon Musk, direttore generale del produttore di veicoli elettrici Tesla, si è dimesso da due consigli consultivi presidenziali, dopo che il signor Trump ha annunciato il ritiro da Parigi. Il governatore della California Jerry Brown e Michael Bloomberg hanno lanciato l'America’s Pledge on climate change, la "Promessa dell'America per il cambiamento climatico", una nuova iniziativa per catalogare, quantificare e stimolare le azioni degli Stati, delle città e delle imprese negli Stati Uniti per ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra, coerentemente con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi sul cambiamento climatico.   "Oggi stiamo inviando un messaggio chiaro al mondo: gli stati, le città e le imprese americane stanno portando avanti gli impegni che il nostro Paese ha assunto con l'accordo di Parigi. Con o senza Washington", ha dichiarato il governatore Jerry Brown, recentemente nominato Consigliere Speciale per gli Stati e le Regioni in vista della 23a Conferenza delle Parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (COP23). Dal momento in cui la casa Bianca ha annunciato la sua intenzione di ritirarsi dall'accordo di Parigi, un numero senza precedenti di Stati, città, imprese e università statunitensi hanno ribadito il loro sostegno all'accordo di Parigi attraverso la sottoscrizione della dichiarazione "Siamo ancora dentro”, di cui si consiglia di visitare il sito per capire la forza e la novità del ruolo delle organizzazioni non-statali per il successo delle politiche climatiche, anche di fronte al disimpegno dei governi, compresi quelli europei, benché ratificanti l’Accordo di Parigi. In risposta al dietro-front della casa Bianca, sono nate numerose iniziative, tra cui la Coalizione dei Sindaci per il Clima, l'Alleanza USA per il Clima di un Gruppo di Stati. Intanto la società civile statunitense è in piena mobilitazione. Evidentemente la rabbia e la delusione per questa comunicazione della presidenza alle Nazioni Unite hanno probabilmente accelerato il release del rapporto che ora mette in imbarazzo scettici e negazionisti.   Basandosi su questo slancio positivo, l'iniziativa America's Pledge per la prima volta aggregherà gli impegni di questi e di altri soggetti non-statali in una relazione sull'intera gamma di attività legate al clima in tutta la società americana. Il processo di sviluppo dell'America's Pledge fornirà inoltre una tabella di marcia per una maggiore ambizione climatica da parte degli Stati Uniti, delle città, delle imprese e degli altri Stati, e dimostrerà in modo trasparente alla comunità internazionale come e in che modo queste entità possano aiutare gli USA a concedere il proprio impegno sotto l'Accordo di Parigi. Sul piano internazionale invece Trump annulla ciò che è rimasto della rivendicazione americana alla leadership su un tema di importanza globale e mette ora ancora di più a serio rischio la reputazione, la credibilità e la posizione diplomatica degli USA.   Vedremo se questo nuovo rapporto potrà mettere sulla difensiva i climate-denier, come Scott Pruitt dell'Environmental Protection Agency e il consulente presidenziale Stephen Bannon, legati ai combustibili fossili, che hanno trovato in Trump un altro presidente (George W. Bush è stato l’ultimo) per sbandierare l'argomento tendenzioso secondo cui un accordo per combattere il cambiamento climatico distruggerebbe o almeno frenerebbe l'economia.

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Una firma contro l’astrologia fuori luogo

Le mani di una donna sospese sopra una sfera di cristallo

Gli organizzatori di un incontro ufficiale della Lilt, la Lega italiana per la lotta contro i tumori, tenuto a Roma nella sede del ministero della Salute, hanno invitato come relatore l’astrologo Jupiter (al secolo Rino Liuzzi di Conversano), che ha parlato dell'influsso di astri e pianeti. Molti giornalisti hanno lasciato la sala. L’associazione Luca Coscioni si è rivolta al ministro Schillaci con una lettera aperta, per chiedere che al centro della salute pubblica ci sia la scienza, mentre l’astrologia sia esclusa dai contesti istituzionali.
(Immagine realizzata con ChatGPT)

Chissà perché. Chissà che cosa ha spinto gli organizzatori di un incontro ufficiale della Lilt, la Lega italiana per la lotta contro i tumori, tenuto a Roma nella sede del ministero della Salute a invitare a parlare l’astrologo Jupiter (al secolo Rino Liuzzi di Conversano).