Linee ad alta tensione [Photo: energymixreport.com].
L'elaborazione della nuova Strategia Energetica Nazionale è stata avviata nei mesi iniziali dell'anno in corso con una comunicazione informativa in sede parlamentare e poi con una Nota con la quale il Ministro Calenda e poi anche Galletti, fornivano alcune indicazioni circa gli indirizzi che il Governo intendeva assumere in materia di politica industriale e di politica energetica.
La Nota dei Ministri indicava la presentazione a breve di una bozza relativa “Alla strategia energetica nazionale che disegnerà un percorso per abbassare stabilmente il costo dell'energia, assicurare gli approvvigionamenti e far crescere gli investimenti su efficienza energetica”. Bozza che - anche avendo tenuto conto di un ampio processo di consultazioni di soggetti privati e pubblici, condotto dai due Ministri nelle settimane precedenti - veniva pubblicata il 12 giugno come “Documento di consultazione pubblica ” con un Invito espresso congiuntamente dai due Ministri il 21 agosto rivolto a tutti i cittadini interessati per avviare un esame ed, entro un mese, elaborare i relativi “commenti, segnalazione e proposte che saranno valutate per la predisposizione del documento finale”. Il rilievo della strategia energetica ai fini della qualità economica, sociale e ambientale dello sviluppo del Paese e la complessità delle questioni micro e macro coinvolte, giustifica più che ampiamente il percorso partecipato indicato dal Governo, pareri che però sono rimasti riservati e, a questo punto, sembra necessario immaginare che tali resteranno.
Volendo riprendere alcuni aspetti critici della straegia governativa già segnalati su Scienza in rete in un precedente articolo, sarà opportuno ricordare che il nostro Paese soffre per motivi storici e naturali di un deficit nella disponibilità diretta di fonti energetiche tradizionali, tale da incidere per alcune decine di miliardi di euro all'anno sulla nostra bilancia commerciale. Questo dato si coniuga con due “circostanze” che concorrono a favorire una modificazione del sistema energetico generale.
La prima “circostanza” si ritrova nel fatto che la produzione di gas serra, che accompagna l'uso dei combustibili convenzionali a base di carbonio, ha raggiunto valori tali da incidere su un aspetto essenziale della vita dell'umanità e cioè sugli andamenti climatici. In definitiva occorre che tutti i paesi si assumano l'impegno di ridurre fortemente l'impiego di questi combustibili. Questo obiettivo, corrisponde a impegni internazionali non rinunciabili. L'attuale posizione anomala, rispetto a queste indicazioni, espressa dall'attuale presidente degli Usa fa parte di una condizione che non cambia la necessità di quegli impegni. Una riduzione dei consumi di combustibili tradizionali e, quindi, delle corrispondenti emissioni, se opportunamente gestita a livello di politica industriale, può corrispondere quindi anche a un vantaggio economico per il nostro Paese.
La seconda circostanza deriva dal fatto che per motivi originariamente del tutto diversi rispetto all'esigenza sopra ricordata, la scienza e la tecnologia hanno messo a punto la produzione di materiali in grado di convertire l'energia solare in energia elettrica. In questo modo, tra l'altro, il costo del kwh non dipende più dal costo del combustibile ma solo dal costo dell'impianto. Da un punto di vista macroeconomico questo vantaggio si realizza solo se l'effetto ambientale si coniuga con una capacita tecnologico-industriale di produrre i corrispondenti impianti. Appare evidente, infatti, che a parità di costo di produzione del kwh, l'effetto sull'economia del Paese è del tutto differente se si produce la “Macchina” o la si compra da un produttore estero. Nel primo caso non solo si elimina l'esborso che grava sulla bilancia dei pagamenti ma si accresce la quantità di lavoro qualificato interno. Nel secondo caso si aumenta l'esborso estero dovendo far gravare su questa voce di bilancio l'intero costo del kwh e, inoltre, si eliminano i vantaggi derivanti dallo sviluppo tecnologico.
Negli anni passati si è commesso il gravissimo errore di incentivare la produzione del kwh fotovoltaico, indipendentemente dall'origine dell'impianto, con il che si è persa una grande occasione, oltre a gravare la nostra bilancia commerciale di un onere di alcune decine di miliardi di dollari per l'acquisto all'estero di tali impianti. Un’operazione talmente “idiota” da rimanere inspiegata se non ricorrendo ai Poteri Ignoranti descritti nel suo omonimo libro da Paolo Leon. Poiché tuttavia la tecnologia del fotovoltaico non è una tecnologia arrivata alla fine del proprio potenziale innovativo, ma è fortemente connessa a possibili e articolati miglioramenti, la partita non può essere considerata conclusa allo stato attuale.
Su queste questioni la Bozza della SEN presentata dal Governo è fortemente carente e sostanzialmente elusiva.
Peraltro le trasformazioni tecnologiche connesse allo sviluppo delle fonti rinnovabili non si esauriscono nelle tecnologie di produzione dell'energia elettrica, ma trascinano la necessità di altre e numerose nuove tecnologie, da quelle relative all'accumulo e alla conservazione dell'energia, a quelle di trasferimento e delle relative reti, nonché a quelle inerenti lo sviluppo di altre innovazioni energetiche quali l'eolico, le biotecnologie, ecc., ecc. Più che di una nuova tecnologia dovrebbe essere evidente come ci si trovi di fronte ad una vera e propria rivoluzione industriale. Affrontare in termini marginali questa rivoluzione significa correre il rischio di portare a casa, nel migliore dei casi, degli effetti altrettanto marginali.
Occorre a questo fine chiarire che nel sistema della ricerca pubblica di questo Paese esistono le conoscenze scientifiche e tecnologiche necessarie per evitare conclusioni del genere e che solo in questa direzione si potranno ottenere i conseguenti vantaggi in termini di costi dell'energia calcolati anche per le dimensioni micro-economiche del mercato. In questa logica è opportuno inoltre ricordare, seppur solo con un breve cenno, come le tecnologie che stanno alla base dei materiali fotovoltaici hanno potenzialità di sviluppo e di applicazione che vanno ben al di là dei sistemi di produzione dell'energia elettrica. In conclusione sembra evidente come occorra mettere in campo una politica che dovrà tradurre una concezione macroeconomica e di stampo post-keynesiano attraverso una selezionata capacità di investimenti pubblici e privati anche per la realizzazione del sistema delle infrastrutture connesse.
Occorre, a questo punto, indicare che il secondo obiettivo indicato dai Ministri - assicurare gli approvvigionamenti - è raggiunto, ancorché parzialmente, anche con le politiche prospettate per ridurre il costo dell'energia. Se s'intende andare oltre e cioè ridurre ulteriormente l'entità degli approvvigionamenti, la questione assume dimensioni politiche di grande complessità dal momento che si evidenzia una carenza politica e strutturale, non certo solo del nostro Paese, ma da parte di tutti, compresi i grandi paesi. La questione rimasta per ora in qualche misura nell'ombra, potrebbe essere sintetizzata così: dal momento che si riconosce la necessità di una forte riduzione dei consumi di fonti energetiche convenzionali e dal momento che ci sono interi paesi e aree geopolitiche che ne dovrebbero sopportare gran parte delle conseguenze, è immaginabile una operazione del genere senza affrontare i problemi conseguenti? Non meno complessa sarebbe la situazione se ci si ponesse quell'obiettivo avendo in mente solo alcuni selezionati paesi. Anche questo caso troverebbe in un dibattito limitato del nostro interno, forse la sede formale, ma non certo quella sostanziale di elaborazione e di gestione.
Resta, tra i fini della politica energetica indicati dai Ministri, il tema dell'efficienza energetica. In questo caso si potrebbe trattare di un vero filone d'innovazione tecnologica, in qualche misura orizzontale rispetto alle classificazioni merceologiche correnti. Uno scenario di queste dimensioni richiederebbe un altrettanto ampio Sistema dell'Innovazione Nazionale. Una questione che esula dalle questioni sollevate dal Documento sulle politiche energetiche, ma certamente connessa con la definizione di una politica industriale moderna. E' evidente, infatti, che con l'accentuarsi in termini orizzontali e verticali di tali obiettivi di uso razionale dell'energia, entra in gioco la competitività d'impresa, quella di interi settori produttivi e, in definitiva, dell'intero paese. Al momento è solo necessario ricordare che questa complessità non può essere abbandonata alle scelte del mercato, come sembra suggerire la bozza attuale della SEN.
Insomma, come emerge anche da altri contributi pubblicati qui negli scorsi mesi - come la lettera aperta "Piano energetico: si può fare di più" - il Paese non dispone di una politica tecnologica e questa debolezza sta alla base della specializzazione produttiva e della struttura dimensionale del nostro sistema industriale. In questo quadro l'intervento pubblico in un settore complesso e strategico come quello dell'energia deve provvedere a correggere non solo i propri limiti in materia di ricerca e sviluppo, ma a correggere gli errori previsionali basate esclusivamente sulla domanda e, come tali, irrealizzabili. In questa direzione la priorità è ovviamente quella di modificare la cultura del libero mercato che nello specifico del settore energetico nazionale è del tutto irrealistica.
Peraltro il Paese è ormai entrato in una fase politica preelettorale molto complessa ed è molto difficile che in queste condizioni si presenti l'occasione, a meno di sollecitazioni di interessi particolari, per una approvazione in Parlamento di un provvedimento - tuttora da considerare una Bozza - quale quello proposto dai due Ministri. Sarebbe molto più intelligente, in definitiva, proseguire nel lavoro di analisi e di elaborazione mettendo in opera nel frattempo quegli interventi in materia di Sistema Nazionale dell'Innovazione ai quali sarà comunque necessario ricorrere.