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Un’astronomia tutta nuova

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Due stelle di neutroni spiraleggiano l’una intorno all’altra: un evento incredibilmente energetico che ne farà un corpo solo è già scritto nel loro futuro. Se l’evento è vicino a noi, le increspature dello spazio-tempo generate dall’evento sono già alla portata degli attuali rilevatori di onde gravitazionali. Crediti: R. Hurt/Caltech-JPL.

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Quella del 16 ottobre 2017 è una data destinata a finire nei libri di storia dell’astronomia. Nel corso di un evento internazionale con contributi di ricercatori da Washington (collaborazione LIGO-Virgo), Monaco (ESO) e Venezia (ESA) è stato dato l’annuncio che, per la prima volta, è stata osservata la controparte visibile di una sorgente di onde gravitazionali. Gli astronomi non solo hanno potuto raccogliere i dati relativi alla fusione di due stelle di neutroni con gli strumenti osservativi tradizionali, ma anche attraverso i sofisticati rilevatori di onde gravitazionali attivi negli Stati Uniti (LIGO) e presso Pisa (Virgo). Inizia ufficialmente, dunque, l’era dell’astronomia multimessaggero. Ne parliamo con l’astrofisico Stefano Covino, direttamente coinvolto nella ricerca.

La quinta onda

Tutto comincia il 17 agosto, quando i due rilevatori di LIGO operativi a Livingston (Louisiana) e Hanford (Washington) e quello di Virgo in funzione presso Cascina (Pisa) raccolgono il segnale di un’onda gravitazionale. Il segnale è codificato come GW170817 e la sua individuazione avviene solo tre giorni dopo la prima importante rilevazione ottenuta contemporaneamente dai due sistemi (la quarta per il sistema LIGO), passo fondamentale per rendere ancora più precisa e affidabile la neonata astronomia delle onde gravitazionali. Questa volta, però, la rilevazione prende immediatamente una piega molto diversa.

Un paio di secondi dopo l’arrivo del segnale gravitazionale, infatti, sia il Fermi Gamma-ray Space Telescope della NASA che il satellite INTEGRAL (INTERnational Gamma Ray Astrophysics Laboratory) dell’ESA raccolgono l’emissione di un lampo gamma breve (short GRB) nella stessa area celeste. L’allarme alle strutture osservative è immediato e molti telescopi vengono puntati in quella direzione. Le rilevazioni gravitazionali, seppure incredibilmente potenziate dall’entrata in servizio della struttura italiana, non consentono ancora una precisa collocazione in cielo della sorgente (l’area interessata è di circa 35 gradi quadrati) e i telescopi terrestri devono dunque battere una zona piuttosto ampia della costellazione dell’Idra cercando la presenza di nuove sorgenti luminose. Il primo a rilevare un nuovo punto di luce è lo Swope telescope, strumento in forza all’Osservatorio cileno di Las Campanas, che scopre la presenza di una nuova sorgente luminosa nelle immediate vicinanze della galassia lenticolare NGC 4993. Tra i primi a rilevare la nuova sorgente luminosa, neppure mezz’ora dopo Swope, vi è anche il telescopio italiano REM (Rapid Eye Mount), in servizio all’Osservatorio di La Silla.

Immagine della galassia NGC 4993 raccolta dallo strumento VIMOS del VLT (Paranal Observatory – Cile). Appena più in alto a sinistra del luminoso centro della galassia si può scorgere il puntino luminoso che il 17 agosto ci ha segnalato l’avvenuta fusione di due stelle di neutroni. Oltre che attraverso i canali tradizionalmente utilizzati in astronomia, il messaggio che in quella galassia, a circa 130 milioni di anni luce dalla Terra, si sia consumato un evento così energetico ci è stato recapitato anche attraverso un treno di onde gravitazionali puntualmente raccolte dai sensori di LIGO e Virgo. Crediti: ESO/A.J. Levan, N.R. Tanvir.

Immediatamente l’ESO (European Southern Observatory) si fa promotore di una delle più massicce campagne osservative mai organizzate e un gran numero di altri telescopi si buttano a capofitto su quella sorgente. Nel volgere di poche ore la galassia e quel nuovo punto di luce diventano il bersaglio privilegiato di una settantina di osservatori in ogni parte del mondo, compreso il telescopio spaziale Hubble. I dati raccolti permettono di ottenere una stima attendibile della distanza di quel lampo di luce, distanza che non solo coincide con quella della galassia nell’Idra, ma concorda anche con quella derivata dalle prime analisi delle onde gravitazionali. L’evento che ha originato il treno di onde GW170817 è dunque lo stesso che ha acceso il lampo gamma breve e sta alimentando quel punto di luce nei pressi di NGC 4993, a solamente 130 milioni di anni luce da noi.

Siamo dunque in presenza non solo dell’evento gravitazionale di gran lunga più vicino rilevato finora, ma anche di una tra le sorgenti di lampi gamma brevi più prossime a noi mai osservata.

Kilonova colta sul fatto

Tra gli scenari possibili, quello più gettonato per giustificare sia l’emissione del segnale gravitazionale sia il lampo gamma è la fusione di due stelle di neutroni, gli astri estremamente densi lasciati dietro di sé dal collasso delle regioni centrali di una stella massiccia dilaniata dall’esplosione di supernova. In questo scenario, due stelle di neutroni in orbita reciproca finiscono, per l’azione dell’intensa gravità, con lo spiraleggiare l’una verso l’altra finché si fondono in unico oggetto. L’evento è incredibilmente energetico, in grado di liberare una quantità di energia mille volte più grande di quella che accompagna l’accensione di una nova. È per questo motivo che gli astronomi, almeno da una trentina d’anni, hanno introdotto il termine di kilonova.

Due stelle di neutroni in orbita reciproca finiscono con lo stringere sempre di più le loro orbite finché i due oggetti coalescono in un unico corpo celeste. Il meccanismo è molto simile a quello che avviene con la fusione di due buchi neri, ma la minore massa delle stelle di neutroni comporta che le onde gravitazionali emesse siano meno intense e il processo di emissione dell’onda gravitazionale si protragga per un tempo più elevato. Il segnale delle onde gravitazionali generate in occasione della fusione di due buchi neri, infatti, ha tipicamente la durata di un secondo o anche meno; per due stelle di neutroni, come nel caso di GW170817, il segnale può durare fino a un minuto. Crediti: NASA.

Da tempo, inoltre, si ipotizza che siano proprio gli eventi di questo tipo i diretti responsabili dell’emissione dei GRB brevi, un’ipotesi che l’evento rilevato il 17 agosto ha per la prima volta confermato attraverso l’osservazione diretta. Lo conferma anzitutto la presenza delle onde gravitazionali, generate dalle rapide variazioni di velocità dei due oggetti massicci in orbita su spirali sempre più strette e destinati a fondersi. Onde che, se l’evento è abbastanza vicino, siamo in grado di raccogliere con gli attuali rilevatori di LIGO e Virgo: proprio quanto è avvenuto con GW170817.

Una seconda decisiva conferma osservativa è venuta dall’analisi spettroscopica della luce emessa dall’evento. L’analisi dei dati raccolti da X-shooter, lo spettrografo che equipaggia il VLT, effettuata sia dagli astronomi della collaborazione ePESSTO (extended Public ESO Spectroscopic Survey of Transient Objects) che da quelli della collaborazione italiana GRAWITA (GRAvitational Wave Inaf TeAm), infatti, ha messo in luce la presenza di tellurio e cesio tra i materiali espulsi nel corso del merging tra le due stelle di neutroni. La produzione di elementi più pesanti del ferro attraverso processi di nucleosintesi che prevedono la rapida cattura di neutroni (r-process) è proprio uno dei fenomeni che i teorici associano alla fusione tra stelle di neutroni e aver individuato la presenza di questi elementi nel caso del lampo gamma accesosi nei pressi di NGC 4993 è di cruciale importanza. Le osservazioni, dunque, rispondono appieno alle previsioni teoriche, contribuendo a rendere ancor di più cruciale nella storia dell’astronomia l’evento del 17 agosto.

Un’astronomia tutta nuova

Nel febbraio dello scorso anno salutavamo con grande euforia la prima individuazione di un’onda gravitazionale, una scoperta sospirata e a lungo inseguita, avvenuta poco più di un secolo dopo che Albert Einstein ne aveva previsto l’esistenza. Erano i primi timidi passi di una nuova branca della ricerca astronomica, un nuovo fantastico strumento a disposizione dei ricercatori per sondare il Cosmo.

Con l’annuncio odierno ci troviamo proiettati in una nuova dimensione. Non solo abbiamo la conferma che le increspature del tessuto dello spazio-tempo sono alla nostra portata, ma siamo anche riusciti a collegare tra loro osservazioni astronomiche completamente differenti tra loro. Si è per la prima volta concretizzata la cosiddetta astronomia multimessaggero. Ora gli astronomi sanno che possono contare sia sulle informazioni che porta con sé la radiazione elettromagnetica, sia quelle che ci giungono attraverso le onde gravitazionali. Informazioni veicolate da fenomenologie completamente differenti che ci posso raccontare con linguaggio diverso le caratteristiche di un medesimo fenomeno del nostro Universo.

Prendendo a prestito le parole di Elena Pian, astronoma dell’INAF e autrice di uno degli studi pubblicati su Nature, "sono davvero rare le occasioni in cui un ricercatore ha l’opportunità di essere testimone degli inizi di una nuova era. E questa è proprio una di tali occasioni!".

L’intervista

Per approfondire le tematiche dell’importante scoperta abbiamo contattato Stefano Covino, primo autore di uno degli studi relativi all’evento GW170817 pubblicati su Nature Astronomy. Astrofisico INAF in forza all’Osservatorio astronomico di Brera, Covino si occupa principalmente di astronomia dei lampi gamma (Gamma Ray Burst) e di ricerca di controparte ottica di eventi gravitazionali.

Dott. Covino, risulta molto difficile individuare, tra i tanti, quale possa essere il motivo più significativo che rende storico l’annuncio odierno. Qual è la sua opinione?
Ci sono due aspetti da sottolineare. Il primo è che si tratta effettivamente di una grande scoperta scientifica. Lo studio di una nuova classe di sorgenti astrofisiche, per altro estremamente importanti per la comprensione della storia della formazione degli elementi chimici nell’Universo, è senz’altro un evento di prim’ordine. Paragonabile, per esempio, alla scoperta del primo afterglow di un lampo di luce gamma nei tardi anni ‘90 da parte del satellite Italo-olandese BeppoSAX. In questo caso, però, direi che c’è di più. Si tratta a tutti gli effetti della nascita di un nuovo modo di fare astronomia nel quale informazioni gravitazionali ed elettromagnetiche possono entrambe contribuire alla nostra comprensione dei fenomeni in studio. Un momento davvero da segnare nei libri di storia.

Ormai la cosiddetta astronomia multimessaggero è una realtà concreta. Cosa ci dobbiamo aspettare per il prossimo futuro? Quale, secondo lei, potrebbe essere il prossimo mistero che questo nuova astronomia potrà aiutarci a svelare?
Questa è una domanda difficile! Mi aspetto senza dubbio un enorme incremento nella nostra conoscenza dei fenomeni gravitazionali che portano alla formazione di buchi neri. E magari, ma questa sarebbe anch’essa una scoperta davvero epocale, il mettere in evidenza dei limiti alla descrizione della teoria della Relatività generale che ancora invece non abbiamo evidenziato. Questo avrebbe ricadute enormi in ogni settore. Poi mi aspetto anche - anzi, sta già accadendo - che similmente alla possibilità di sintetizzare informazioni dall’astronomia gravitazionale e da quella elettromagnetica avremo anche informazioni dai telescopi a neutrini. Altra tecnica osservativa che sta giungendo a maturità con grande velocità. Insomma, siamo di fronte a un futuro, per l’astrofisica, estremamente eccitante.

Da sempre si occupa della ricerca sui GRB. Qual è stato il suo pensiero quando ha realizzato che le osservazioni sull’evento del 17 agosto costituivano un momento cruciale di tale ricerca? Quali sono gli aspetti di questo fenomeno che ancora ci sfuggono?
Comincio dalla fine. La grande quantità di osservazioni che abbiamo potuto compiere per questo evento ha chiarito che gli astrofisici teorici hanno compiuto in questi anni un lavoro eccellente. Nel senso che quello che abbiamo ottenuto con le osservazioni è in buon accordo con le aspettative teoriche formulate magari qualche decennio fa. E questo è di suo un grande successo. Però, come è facile immaginare, accanto a molte conferme si aprono una miriade di domande che richiederanno, nel corso dei prossimi mesi ed anni, ulteriori osservazioni di altri eventi del genere e anche un’elaborazione di ciò che abbiamo già ottenuto.

Tornando invece al 17 agosto, quando il mio cellulare - come quello di molti altri colleghi - ha cominciato a squillare all’impazzata e non appena abbiamo avuto delle informazioni più precise su cosa era stato appena rivelato dai telescopi per onde gravitazionali, quello che ho sentito era un misto di panico e di eccitazione. Eccitazione perché eravamo davanti a un evento per il quale ci eravamo preparati a lungo e che finalmente diventava realtà. Panico perché il periodo vacanziero e i concomitanti impegni famigliari preannunciavano un periodo di complessi equilibri fra i diritti della famiglia e gli impegni della ricerca. Ne sono seguite un gran numero di notti in bianco che, grazie alla collaborazione quanto mai preziosa di mia moglie, impegnatissima a sua volta per il suo lavoro di medico ospedaliero, quantomeno non sono pesate sulle nostre bimbe che hanno potuto godere del papà e della mamma anche se assonnati come non mai!

Claudio Elidoro intervista Stefano Covino

Per approfondire
[1] “Spectroscopic identification of r-process nucleosynthesis in a double neutron star merger”, by E. Pian et al. in Nature.
[2] “The emergence of a lanthanide-rich kilonova following the merger of two neutron stars”, by N. R. Tanvir et al. in Astrophysical Journal Letters.
[3] “The electromagnetic counterpart to a gravitational wave source unveils a kilonova”, by S. J. Smartt et al. in Nature.
[4] “The unpolarized macronova associated with the gravitational wave event GW170817”, by S. Covino et al. in Nature Astronomy.
[5] “The Distance to NGC 4993 — The host galaxy of the gravitational wave event GW17017”, by J. Hjorth et al. in Astrophysical Journal Letters.
[6] “The environment of the binary neutron star merger GW170817”, by A. J. Levan et al. in Astrophysical Journal Letters


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