L’obbligatorietà dell’uso dell’inglese nella compilazione dei progetti PRIN 2018 era una decisione prevedibile e attesa. Come puntigliosamente precisa la ministra Fedeli: “nel 2012 (obbligatoriamente) e nel 2015 (opzionalmente) la domanda PRIN poteva essere compilata in italiano e in inglese. Ma si dimentica che nel 2014 con il bando SIR (era l’acronimo del PRIN di quell’anno) le domande dovevano essere redatte esclusivamente in inglese” 1.
Imprevista è stata invece la reazione di parte della stampa e, in capo a tutti, dell’Accademia della Crusca che, per voce del suo Presidente prof. Marazzini, ha espresso un duro giudizio sulla decisione del Ministero 2.
L'obbligo dell'inglese nei PRIN. Ministra Fedeli: "Una questione non rilevantissima"
La risposta della ministra a questa “levata di scudi” è assai interessante perché esprime in pochi paragrafi tutti i colpevoli malintesi che stanno permettendo agli italiani di sabotare la propria lingua. “Mi colpisce infatti - dice la Ministra - che rispetto a quello che è l’intervento in assoluto più rilevante sulla ricerca di base da vent’anni a questa parte ci si concentri ora su una questione, obiettivamente non rilevantissima, che è relativa alla sola redazione delle domande”. E più avanti precisa: “E non è nella redazione delle domande a un progetto che si giocano certo i destini simbolici di una lingua” 1.
Queste affermazioni sono in consonanza con il “comune sentire” e trovano conferma in alcuni dei commenti sull’argomento, apparsi nei maggiori quotidiani italiani. Purtroppo esse sono tanto condivise quanto profondamente errate.
Il "destino simbolico" dell'italiano
Non è il destino simbolico della lingua ad essere in gioco, ma la sua possibilità di evolvere insieme all’evoluzione delle conoscenze, che è drammaticamente rapida proprio nella scienza. Contrariamente a quanto si tende a pensare, dobbiamo testardamente continuare ad usare l’italiano non tanto per “scrivere un componimento su Dante” 1 quanto per mantenere aggiornata la nostra lingua nei settori dove maggiori sono gli «sconfinamenti» internazionali e dove la lingua predominante è l’inglese.
Nel mondo globale è inglese non solo il cuore tecnico del linguaggio scientifico, ma è inglese anche la lingua usata per parlare e argomentare di scienza. I ricercatori finiscono per sentirsi a casa nella lingua inglese perché la lettura quotidiana è in inglese, i metodi e i reagenti hanno nomi inglesi, e spesso il lavoro di ricerca è condiviso con lontani laboratori, dove tutti parlano in qualche modo l’inglese.
Questo non elimina il radicamento nella lingua locale e in tutti i paesi non anglofoni gli scienziati sono abituati a un pendolarismo incessante, spesso silente, tra la loro lingua madre e l’inglese. È opportuno che il pendolarismo si trasformi in palese traduzione che impegni gli scienziati a trovare le giuste parole e le frasi del mestiere per trasferire con chiarezza concetti e frasi da una lingua all’altra 3.
Anche in italiano "le parole per dire" il linguaggio scientifico
Come mi è capitato di scrivere più volte negli ultimi anni, gli scienziati non sono solo utenti della lingua, ma la modificano e la ricreano ogni volta che la usano: “La lingua è una realtà viva e, se non viene utilizzata, il suo potere di significare si perde tanto più in fretta quanto maggiore è la creatività del settore in cui non viene coltivata. Non solo mancheranno «le parole per dirlo» ma si farà fatica a trovare i giusti modelli discorsivi e gli stili argomentativi appropriati. Conviene dedicare attenzione a questi problemi, perché certe scelte, che appaiono all’inizio fortemente premianti, possono cambiare rapidamente di segno sotto la spinta della storia e del progresso tecnologico” 4.
La lingua italiana è una sola e i linguaggi settoriali vi confluiscono come gli affluenti in un grande fiume navigabile; se gli affluenti convogliano la loro acqua altrove il fiume diventa pian piano un ruscello dove ci si può immergere ma non più navigare.
Perché l'italiano non diventi solo il dialetto degli affetti
Fuor di metafora, il nostro paese non può permettersi che l’italiano diventi un dialetto, bello per comunicare gli affetti quotidiani, ma incapace di ospitare il raffinato pensiero astratto del linguaggio scientifico. Se la lingua, come afferma la ministra Fedeli è “Un valore che va difeso, va consolidato, va promosso” non basta “istitui[re] , con enorme successo, le «Olimpiadi dell’italiano» alle quali partecipano annualmente più di centocinquantamila ragazze e ragazzi” né serve “inseri[re] anche al V anno della scuola secondaria un test Invalsi sulle cognizioni dell’italiano” 1. E’ necessario che a monte di queste belle iniziative si abbia cura di conservare la vitalità della lingua là dove essa rinasce rinnovandosi.