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La medicina di precisione si chiama All of Us

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All of Us Research Program. Credit: National Institutes of Health. Licenza: Public Domain.

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Il percorso di avvio sotto l’egida dei National Institutes of Health (NIH) ha richiesto qualche anno, ma finalmente il 6 maggio il programma All of Us Initiative è stato lanciato. Il direttore Eric Dishman in un’intervista contestuale al lancio resa a STATnews, ha definito All of Us come “scienza che si sbarazza della medicina taglia-unica”. In effetti il programma si prospetta molto incisivo oltre che imponente: mira a compilare il profilo sanitario dettagliato, comprensivo di dati non solo di salute e malattia ma anche sui comportamenti abituali, e con il sequenziamento genico completo, di almeno un milione di americani, arruolati su base volontaria ma accuratamente scelti in modo da essere rappresentativi dell’intera popolazione. Scopo del programma - il più ambizioso mai generato dagli NIH - è fornire ai ricercatori un’ampia base di dati ‘di tutti’, per arrivare a quei trattamenti personalizzati che, agli occhi di molti, rappresentano il futuro della biomedicina.

Si è iniziato a parlarne da tempo, di medicina personalizzata: un termine spuntato ex-novo e divenuto di uso corrente con i primi anni 2000, quando gli scienziati hanno iniziato a realizzare più da vicino le implicazioni e possibili ricadute del Progetto Genoma Umano e delle tecnologie messe in opera per realizzarlo. La prima applicazione di successo di questa medicina su misura è arrivata nel 2010, quando i medici dell’ospedale di Milwaukee (Wisconsin) hanno decifrato la mutazione alla base della grave malattia di un bimbo di 4 anni, Nicholas Volker, e identificato un trattamento, a rischio ma efficace, che gli ha salvato la vita.

Il nuovo nome chiarisce le aspettative

Quasi subito, però, il termine ‘medicina personalizzata’ ha suscitato perplessità nella comunità medico-scientifica, per motivi di senso comune e di trasparenza più che tecnici. Da un lato, si è detto, personalizzare la medicina è ciò che da sempre va fatto da parte del medico nella pratica quotidiana; dall’altro, si è rilevato il rischio di indurre con questo termine un fraintendimento e di far giungere al pubblico un’informazione fuorviante, secondo cui cure preventive e trattamenti verrebbero sviluppati univocamente per ciascun paziente, in modo diverso da quanto vien fatto per ogni altro.

È iniziato così il dirottamento graduale delle preferenze d’uso sul nuovo termine - medicina di precisione -, poi avallato fin nel titolo, Verso la medicina di precisione, dal piano dettagliato steso dal National Research Council (NRC) americano nel 2011. Il piano proponeva l’assemblaggio di una rete d’informazione condivisa, da arricchire d’ogni tipo di conoscenze di biologia molecolare, biomediche e cliniche su stati di malattia e di salute, con l’obiettivo di sviluppare una nuova tassonomia delle malattie basata sulla loro biologia intrinseca, oltre che sui tradizionali “segni e sintomi” fisici. 

Con Obama il tema è diventato di dominio pubblico

Il piano dell’NRC, con la sua visione strategica, ha fornito la base al progetto di amplissimo respiro lanciato da Barack Obama quando era ormai oltre la metà del suo secondo mandato presidenziale e intitolato, appunto, Precision Medicine Initiative. Un progetto davvero visionario, che già contemplava il programma All of Us come fase del futuro prossimo, indispensabile a farne un vero piano di politica sanitaria, capace di andare oltre la ricerca. Nel suo indirizzo alla nazione, Obama ha definito il progetto “un nuovo, ardito sforzo della ricerca teso a rivoluzionare le modalità con cui miglioriamo la salute e trattiamo la malattia”. L’iniziativa, accolta allora nel mondo medico-scientifico statunitense con entusiasmo da alcuni e da altri con perplessità, ha portato con forza alla ribalta il tema e gli interrogativi della medicina di precisione anche per un pubblico allargato.

Ma cos’è allora la medicina di precisione? Francis Collins, direttore degli NIH, l’ha definita “quell’insieme di strategie di prevenzione e trattamento che tengono conto della variabilità individuale”. Una definizione sintetica che non è immediatamente d’aiuto nell’afferrare quali possano essere la portata di questo progetto.

In passato si chiamava farmacogenetica

Variabilità individuale e necessità che il medico la tenga attentamente in considerazione sono emerse sempre più evidenti soprattutto a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, con l’impiego crescente di farmaci, e la conseguente osservazione di risposte e effetti avversi spesso differenziati e non di popolazione. In quegli anni si è scoperto ad esempio che era una carenza genetica individuale dell’enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi a livello dei globuli rossi, relativamente diffusa in pazienti neri e rara nei soggetti caucasici, a indurre l’anemia emolitica in seguito a trattamento con la primachina, un farmaco antimalarico. E bassi livelli o varianti di un altro enzima, la pseudocolinesterasi, sono risultati responsabili di risposte anomale alla succinilcolina, un agente impiegato nell’induzione dell’anestesia. In questo campo, dunque, la medicina di precisione si pratica da decenni, e si chiama farmacogenetica.

La rivoluzione è nelle tecnologie e nella quantità di dati

Se la disciplina non è nuova, quello che è profondamente cambiato è lo scenario globale della ricerca biomedica e della medicina senza aggettivi, grazie agli enormi passi avanti della biologia molecolare. Due le novità fondamentali: la prima è la riduzione dei costi e l’aumento di efficienza della genetica: completare il primo sequenziamento del genoma umano ha richiesto oltre 10 anni di lavoro e circa 3 miliardi di dollari, attualmente basta una sola giornata per sequenziarne parecchi, a meno di 1.000 dollari l’uno; la seconda, la continua crescita di dati molecolari di ogni tipo che catturano immagini sempre più globali e integrate di condizioni di salute e di malattia, di risposte a farmaci, di abitudini alimentari e stili di vita. Abbandonata infatti da molto tempo la visione deterministica del genoma, la ricerca indaga con strumenti sempre più veloci i quadri d’insieme - gli “omi” - di molte altre componenti molecolari e persino esistenziali: proteoma, trascrittoma, epigenoma, lipidoma, metaboloma, glicoma, fino all’esposoma, ovvero il ritratto dell’esposizione a eventi interni ed esterni nell’arco della vita individuale. Senza dimenticare, peraltro, l’enorme flusso di dati medici derivabili dalla raccolta di informazioni relative a assistenza, terapie e decorsi dei pazienti ospedalieri e ambulatoriali, resa possibile dalla progressiva introduzione delle cartelle cliniche elettroniche e potenzialmente integrabile ai dati scientifici.

La direzione in cui si muove attualmente la medicina di precisione è dunque quella del realizzare il più possibile la sinergia tra tecnologie e dati, con l’informatica come compagna di strada sempre più pervasiva - per offrire l’opportunità di rendere la cura del paziente precisa, e in senso lato personalizzata.

Sui tumori l’applicazione più avanzata

Tra le malattie, quelle oncologiche sono state il primo campo di applicazione intensiva degli sforzi per una medicina di precisione, e tuttora ne sono il più avanzato. Le ragioni stanno nella relazione tra genoma e neoplasie, riconosciuta da lungo tempo, che ha portato nell’arco di decenni di ricerca oncologica a identificare molte alterazioni genomiche, responsabili dell’insorgenza del tumore oppure predisponenti a un maggiore rischio di svilupparlo. È di aprile di quest’anno la pubblicazione del Pan-Cancer Atlas, culmine di circa 13 anni di lavoro di The Cancer Genome Atlas (TCGA), un amplissimo consorzio di ricercatori che hanno analizzato a tutto campo oltre 10.000 tumori di 33 tra le forme di cancro a maggiore prevalenza, ricavandone una comprensione globale di come, dove e perché questi tumori insorgono e una riclassificazione sulla base del profilo molecolare, che dà nuovi spunti per farmaci mirati. D’altronde la targeted therapy, ossia il trattamento con molecole attive in modo specifico su alterazioni molecolari causa del tumore, è in parte già una realtà della medicina di precisione: dopo i pionieri trastuzumab, anticorpo attivo sui tumori del seno che sovraesprimono la proteina Her2, e imatinib, inibitore della proteina alterata BCR-ABL all’origine della leucemia mieloide cronica, sono arrivati al letto del paziente altri farmaci mirati, come crizotinib, inibitore di forme alterate della proteina ALK che inducono tumori del polmone, o olaparib, inibitore di un enzima riparatore del DNA attivo su tumori del seno e dell’ovaio portatori di mutazioni che li rendono super-dipendenti da quell’enzima. Purtroppo i successi sono solo parziali, perché alla prova dei fatti ci si scontra con la grande plasticità e eterogeneità del tumore che, trattato in modo mirato, spesso seleziona o sviluppa ulteriori mutazioni dei bersagli farmacologici resistenti alla terapia di partenza.

Si allargano gli ambiti e premono le questioni aperte

Intanto però l’approccio della medicina di precisione si va estendendo ad altri ambiti, quali la neurologia, con il lancio dell’iniziativa EpiPM mirata a raccogliere conoscenze sulle epilessie da poter poi trasferire a diagnosi e terapia. Poi il campo delle malattie rare, che vedono nella caratterizzazione delle cause di insorgenza l’unica potenziale via d’accesso allo studio di farmaci specifici; è il caso della fibrosi cistica, dove l’identificazione di alcune mutazioni che inattivano la proteina CFTR, cruciale per la funzionalità polmonare, ha aperto la strada allo sviluppo di due farmaci mirati, ivacaftor e lumacaftor, che permettono di contrastare almeno in parte la malattia.

Guardando a un futuro molto prossimo, e al di là di successi o incertezze riguardo all’una o all’altra patologia, l’evoluzione concreta della medicina di precisione richiederà comunque agli scienziati, ai medici, alle istituzioni, al pubblico, anche l’impegno di dare risposte alle tante questioni aperte connesse con la sua applicazione: dall’affidabilità e margine di errore delle tecnologie diagnostiche, alla privacy dei dati individuali dei pazienti coinvolti e alla proprietà degli esiti che ne possono derivare, nonché alla necessità di nuovi modelli di sperimentazione clinica. A questo proposito, due analisi appena pubblicate su Health Affairs mettono in luce come i “farmaci di precisione” vengano oggi approvati con maggiore rapidità di quelli tradizionali spesso perché dimostrano efficacia in studi clinici mirati. Cosa positiva per i malati in attesa di nuovi farmaci adatti a loro, ma non necessariamente peer verificarne la sicurezza su scala più ampia, o per garantirne l’efficacia in etnie poco o nulla rappresentate in studi così ristretti. E non va trascurato nemmeno il tema cruciale della sostenibilità, sia economica sia organizzativa, di questo approccio a tutto campo, tanto affascinante quanto carico di sfide, in parte ancora da riconoscere.

 


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