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Curiosity, il metano e altre sorprese

Selfie del rover Curiosity nel sito di campionamento chiamato Okoruso, sul Naukluft Plateau del Monte Sharp. L’autoritratto combina più immagini scattate l’11 maggio 2016. Davanti al rover, circondato da detriti grigiastri, è visibile il foro creato dalla trivella di Curiosity per raccogliere un campione di roccia da analizzare; nei pressi è visibile anche parte del materiale avanzato e scaricato al suolo dopo averne affidato la giusta quantità a CheMin, il laboratorio di analisi chimiche e mineralogiche di cui è dotato il rover. Crediti: NASA / JPL-Caltech / MSSS

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Ufficialmente si chiama Mars Science Laboratory (MSL), ma per tutti quanti è Curiosity, il rover più complesso e tecnologico tra quelli che hanno gironzolato finora sulla superficie di Marte. Da quando è arrivato sul Pianeta rosso, il 6 agosto 2012, questo laboratorio mobile lungo 3 metri e pesante circa 900 kg ha percorso oltre 19 chilometri, collezionando dati accurati sulla composizione dell’atmosfera, trivellando rocce, raccogliendo campioni di suolo marziano e analizzandoli con la batteria di strumenti che compongono il SAM (Sample Analysis at Mars).

Lo scorso 8 giugno, messi in gran risalto dalla NASA e annunciati nel corso di una conferenza stampa, sono stati pubblicati su Science due importanti studi basati sui dati raccolti da Curiosity: il primo dedicato alla scoperta di un ciclo stagionale nella quantità di metano presente nell’atmosfera di Marte e il secondo dedicato alla individuazione di differenti composti organici nei depositi di un antico lago marziano. Studi accolti con notevole interesse soprattutto da chi si occupa di astrobiologia.

Metano stagionale

La scoperta della presenza di metano nell’atmosfera di Marte non è una novità. La sua marginale presenza venne individuata già nei primi anni Duemila, sia attraverso osservazioni terrestri che dalle rilevazioni dello spettrometro a bordo della sonda Mars Express. Gli stessi strumenti di Curiosity, qualche anno fa, avevano confermato l’esigua presenza di metano, indicando come valore di fondo 0,7 parti per miliardo in volume (ppbv) e segnalando anche la presenza in quattro occasioni di picchi fino a 7,2 ppbv interpretabili come segnali di possibili ulteriori fonti occasionali.

Le valutazioni teoriche indicano che non ci si può attendere grandi quantità di metano nell’atmosfera marziana; nel volgere di poche centinaia di anni, infatti, le molecole di metano vengono efficacemente intaccate e distrutte o dalla radiazione ultravioletta del Sole o dalla potente azione ossidante del suolo marziano. Rilevare tracce di metano, dunque, indica che alla sua rapida distruzione deve necessariamente corrispondere un altrettanto efficace e rapido rimpiazzo. Proprio tale necessità di un ricambio impone di indagare a fondo sulla provenienza di queste seppur deboli tracce del metano marziano.

Anche l’atmosfera della Terra contiene metano; tale presenza è imputabile sia al rilascio dai depositi di gas naturale (riconducibile per esempio alle attività estrattive o al rilascio naturale dal permafrost nelle regioni artiche), sia come conseguenza di interazioni chimiche tra acqua e rocce ignee (serpentinizzazione), sia al metabolismo microbico; su quest’ultimo versante, per esempio, il 17% è imputabile ai processi digestivi degli animali da allevamento e il 35% alle emissioni delle regioni paludose e delle coltivazioni di riso. Poiché sul nostro pianeta il metano atmosferico è un chiaro segnale della presenza diffusa di forme viventi, verrebbe spontaneo leggere nella stessa maniera anche la presenza su Marte; ma non è così automatico.

Anche sul Pianeta rosso, infatti, alla possibile fonte biologica possono affiancarsi altri efficienti meccanismi, per esempio alcune reazioni idrotermali o l’azione della radiazione ultravioletta sui composti organici, cioè a base di carbonio, disseminati sulla superficie del pianeta dalla caduta di meteoriti e polvere cosmica.

Come avviene sulla Terra, oltre che da attività microbica, il metano può essere prodotto anche da processi che non richiedono la presenza di vita, per esempio le reazioni tra acqua e rocce di olivina. Inoltre, la radiazione ultravioletta (UV) può indurre reazioni che generano metano da sostanze chimiche contenenti carbonio prodotte da processi biologici o non biologici, quali per esempio le polveri cometarie che cadono su Marte. Infine, il metano generato nel sottosuolo e immagazzinato all'interno di idrati di metano a struttura reticolare (clatrati) verrebbe rilasciato in un secondo momento, sfuggendo verso la superficie attraverso fratture nel terreno. La rimozione del metano dall'atmosfera può avvenire mediante reazioni fotochimiche (indotte dalla luce solare); tali reazioni, attraverso agenti chimici intermedi come la formaldeide e il metanolo, possono ossidare il metano in anidride carbonica, l'ingrediente predominante nell'atmosfera di Marte. Crediti: NASA / JPL-Caltech / SAM-GSFC / Univ. del Michigan

Fin dal suo arrivo su Marte, Curiosity ha continuamente misurato la quantità di metano presente nell’atmosfera di Marte impiegando il TLS (Tunable Laser Spectrometer), uno degli strumenti scientifici che compongono il SAM, il complesso laboratorio a bordo del rover della NASA. I dati raccolti, oltre a confermare in modo definitivo l’esigua presenza del gas, hanno permesso a Christopher Webster (NASA JPL) e collaboratori di scoprire un aspetto mai rilevato finora: il livello di fondo di metano è soggetto a variazioni stagionali. Lo studio, pubblicato su Science, si riferisce a un periodo di 3 anni marziani (55 mesi terrestri) e mostra la presenza di un marcato andamento stagionale, con un massimo in corrispondenza della fine dell’estate nell’emisfero settentrionale.

Poiché le misurazioni vengono effettuate con due differenti metodi e con accessi e condotti differenziati per il gas raccolto, è da escludere ogni possibile contaminazione dei campioni. Inoltre, i ricercatori non sono riusciti a determinare nessuna possibile fonte interna al rover che possa essere responsabile di quell’eccesso. L’andamento stagionale, insomma, sarebbe una caratteristica reale del metano atmosferico marziano e non imputabile a errori strumentali o contaminazioni.

Andamento stagionale di metano atmosferico rilevata da Curiosity al cratere Gale con lo strumento SAM (Sample Analysis at Mars). La quantità di metano è stata tracciata per quasi tre anni marziani (circa sei anni terrestri), mostrando un picco ogni estate. Crediti: NASA / JPL-Caltech

Webster e collaboratori sottolineano come sia impossibile, per il momento, individuare l’origine del metano e il motore che alimenti questa variabilità stagionale. Alcuni meccanismi ipotizzati quali sorgente del gas, infatti, potrebbero mostrare un andamento stagionale. Basti pensare al metano intrappolato nel sottosuolo e liberato quando la temperatura superficiale di Marte è sufficientemente elevata, situazione che caratterizza appunto le estati marziane. Oppure all’origine suggerita da Marc Fries, esperto di polvere cosmica al Johnson Space Center di Houston, che punta il dito sulla polvere cometaria raccolta da Marte nel corso della sua orbita, vaporizzata e decomposta in metano dalla radiazione solare.

Un autorevole chiarimento sulla natura geologicamente attiva del sottosuolo di Marte ci potrà giungere dai dati raccolti dall’ExoMars Trace Gas Orbiter dell’ESA. Dopo lo sfortunato schianto del lander Schiaparelli, infatti, la missione di ExoMars è proseguita regolarmente e l’orbiter, dopo aver compiuto nei mesi scorsi le manovre di avvicinamento, si è immesso su un’orbita quasi circolare a 400 km dalla superficie del pianeta e a breve dovrebbe iniziare la sua attività di raccolta di dati.

 

Altre sorprese

Il secondo studio relativo alle scoperte di Curiosity pubblicato lo scorso 8 giugno è quello di Jennifer Eigenbrode (NASA Goddard Flight Center) e collaboratori; in esso si fornisce la prova definitiva della presenza di composti organici nei campioni di suolo trivellati dal rover al cratere Gale. Dopo aver perforato le rocce sedimentarie in diverse zone del cratere e raccolto le polveri, Curiosity le ha riscaldate ad alte temperature (tra 500 e 820 °C) analizzando poi la composizione delle molecole rilasciate. La scelta di impiegare temperature così elevate era dettata dalla necessità di sciogliere i dubbi che avevano accompagnato analoghi risultati ottenuti nel dicembre 2014 riscaldando le polveri a temperature inferiori: il sospetto era che i composti organici rilevati fossero stati prodotti da reazioni dei sali perclorati presenti sulla superficie del pianeta. La lunga e accurata analisi dei nuovi dati di Curiosity (le perforazioni risalgono a fine 2014 – inizio 2015) compiuta dal team di Eigenbrode ha mostrato la presenza di numerose molecole riscontrabili anche in rocce sedimentarie terrestri ricche di sostanze organiche, tra cui composti tiofenici, solfuro dimetile e metantiolo.

Oltre a provare la presenza di composti del carbonio nelle rocce di Marte, lo studio dimostra che tali composti possono sopravvivere per miliardi di anni in un ambiente così estremo qual è quello del Pianeta rosso. A conclusione dello studio, Eigenbrode e collaboratori suggeriscono che l’aver trovato composti organici sulla superficie, dove le condizioni di ossidazione e ionizzazione sono più intense e devastanti, potrebbe indicare che il sottosuolo potrebbe nascondere composti organici ancor meglio preservati.

È possibile suggerire una lettura ancora più intrigante di questa scoperta. Ormai da qualche anno sappiamo, sempre grazie al lavoro di Curiosity, che in epoche lontane il cratere Gale ospitò un vasto e profondo lago. Le osservazioni del rover a fine 2014, infatti, hanno permesso di scoprire che il Monte Sharp, il picco roccioso che si erge all’interno del cratere Gale, è formato dai sedimenti depositati nel letto di un grande lago nel corso di decine di milioni di anni. L’analisi dei sedimenti dimostrerebbe che qualche miliardo di anni fa, quando l’acqua era di casa sulla superficie di Marte, in questa regione si siano succeduti più laghi transitori, ciascuno della durata anche di migliaia di anni. Per giungere all’attuale sedimentazione, l’area esplorata da Curiosity nei pressi del cratere Gale avrebbe impiegato dai 10 mila ai 10 milioni di anni, suggerendo che quei laghi transitori abbiano probabilmente avuto origine da una falda acquifera comune.

Non possiamo dunque escludere che, con questa disponibilità d’acqua liquida e con le condizioni più benigne che caratterizzavano Marte miliardi di anni fa, qualche forma primitiva di vita non possa aver trovato condizioni ideali per proliferare. Oltre alla polvere cosmica e a reazioni nel sottosuolo, dunque, rimane sempre valida la possibilità che la presenza delle molecole organiche rilevate da Curiosity possa essere di origine biologica. Kate Freeman, astrobiologa alla PennState University, è molto chiara in proposito: «Non credo che al momento ci sia vita su Marte: troppo secco, troppo freddo e praticamente privo di atmosfera. Che ci fosse o meno in passato, invece, è certamente una domanda aperta.»

Scavare più in profondità – forse – potrebbe darci qualche risposta. Lavoro prenotato per qualcuno dei prossimi rover che andranno a zonzo sulla superficie di Marte.

 


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