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Vuoi decidere? Prima studia e supera l’esame

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Una delle rappresentazioni pittoriche della Città ideale (fine XV), dipinto di anonimo fiorentino (attribuito a Fra Carnevale), conservato al Walters Art Museum di Baltimora. Credits: Wikimedia Commons - Pubblico dominio

Tempo di lettura: 6 mins

C’è una diffusa percezione che la democrazia (“la peggior forma di governo, eccetto tutte le altre”) sia sempre meno soddisfacente per chi la esercita e per chi ne subisce i risultati. Da una parte il crescere delle conoscenze e dei dati disponibili sembra rendere più difficile accettare che scelte rilevanti siano fatte da una maggioranza per lo più incompetente o decisamente ignorante (eccesso di democrazia?); dall’altra la maggiore interconnessione globale fa sì che molte decisioni cruciali ricadano anche su chi non ha voce in capitolo (difetto di democrazia?).

Il libro del filosofo Giovanni Boniolo (Conoscere per vivere – istruzioni per sopravvivere all’ignoranza. Meltemi editore, Milano 2018, pp. 166, 10 €) è forte, perché affronta di petto almeno la questione dell’eccesso, ha il coraggio di proporre una soluzione e la sostiene con argomenti razionali, dopo aver smontato e rigettato le possibilità alternative. E’ coerente, perché applica nel suo svolgimento il metodo stesso su cui vuole “istruire” il lettore, e che intende proporre come rimedio.

Come difendersi dall’eccesso di democrazia?

Il tema, come è esposto nel titolo e nelle prime pagine dell’introduzione, è svolto con una vena ironica alla Swift, che attraversa tutto il libretto e contribuisce ad aumentarne la godibilità, insieme al gusto per la divagazione colta e per il racconto di storielle e storie attuali e antiche.

La prospettiva dell’autore è prevalentemente pratica, non fa riferimento a vantaggi teorici e generali del decidere meglio, ma si riferisce a ricadute dirette e immediate sul modo di vivere e morire per ciascuno di noi. Il punto di vista è inevitabilmente di parte, giacché si devono difendere dall’ignoranza degli altri coloro che amano la conoscenza e la usano per aumentare la loro qualità della vita e quella della comunità in cui vivono. In altre parole, Boniolo scrive per gli “intelligenti epistemici”, in questo modo distinti da “sprovveduti”, “banditi” e “stupidi”, secondo la sua personale declinazione della celebre classificazione proposta da Carlo Maria Cipolla.

Un esame di ammissione al voto

La soluzione che piace a Boniolo, quando infine (nel capitolo 7: “Uno non vale uno, o dell’epistocrazia”) affronta la questione sul piano collettivo e delle istituzioni, è una sorta di esame di ammissione al voto, per verificare la competenza di chi vuole partecipare a una decisione. Non tanto quando si tratti di selezionare chi governa, ma almeno quando siano in gioco scelte che richiedono competenza tecnico scientifica ed etica, come per esempio “l’aborto, la fecondazione artificiale, l’uso di staminali embrionali umane, le centrali nucleari, lo stoccaggio dei rifiuti nucleari eccetera”. Vuoi decidere? Prima fai la fatica di studiare un po’.

L’idea non è sua, ma del filosofo americano Jason Brennan, autore del saggio The right to a competent electorate, che appunto introduce un nuovo diritto, o Principio di competenza, e lo mette in competizione col Principio di universalità. Se uno dei due principi deve essere sacrificato, dicono i due filosofi, è preferibile che sia il secondo (comunque già sempre limitato, per esempio da soglie di età), perché è presumibile, anche se non è dimostrato, che le politiche proposte da decisori preparati e competenti siano migliori per la qualità della vita dei cittadini su cui ricadono.

Il dovere di informarsi prima di decidere

E’ una forma di epistocrazia, di governo di chi sa nel solco della Repubblica di Platone, anche se non vuole escludere nessuno dal diritto al voto, ma introdurre il dovere di informarsi, studiare e capire prima di esprimersi.

Ho letto due volte gli undici capitoli del libro di Boniolo, prima di concludere che non mi sento all’altezza di giudicare la proposta in linea di principio o in punta di diritto. Mentre mi interessa discuterne la fattibilità e i possibili vantaggi e svantaggi.

Sono nato in democrazia e da cinquant’anni esercito il diritto al voto in un Paese dove quasi ogni anno c’è un’occasione, tra elezioni locali, nazionali, europee e referendum. Mi sono reso conto che la differenza sostanziale tra sondaggi di opinione e voto formale sta nella componente deliberativa, nell’esercizio di soppesare i pro e i contro delle opzioni in gioco, che si svolge nell’arena pubblica attraverso i diversi strumenti, dai comizi ai mezzi di comunicazione di massa (stampa, radio, televisione e internet) sino ai più recenti social media. Il guaio dei sondaggi è che sollecitano risposte, in gran parte implicite nelle domande e senza alcuna fase deliberativa, ma sono poi in grado di influenzare i reali comportamenti elettorali. E il guaio dei social media è la frammentazione della cosiddetta “sfera dell’opinione pubblica” in un arcipelago di bolle che non comunicano più tra di loro.

Come realizzare l’epistocrazia?

La fase deliberativa, comunque presente bene o male in ogni occasione di voto democratico, dovrebbe svolgere in qualche misura il ruolo di garantire all’elettorato il minimo di competenza reclamato dai sostenitori della epistocrazia. Sarebbe davvero possibile organizzare anche un momento di verifica, sotto forma di esame, e con quale modalità? Giovanni Boniolo dichiara di non volersi addentrare in questa questione, che invece mi interessa professionalmente, soprattutto per quanto riguarda le decisioni nel campo della salute e della sanità pubblica.

Le politiche oggi possibili in questo settore (dai vaccini agli screening, dalle definizioni di malattia alle priorità della ricerca con danaro pubblico) soffrono indubbiamente di entrambi i limiti esposti all’inizio: da una parte implicano la valutazione di conoscenze scientifiche e tecnologiche complesse e in evoluzione, anche se sempre per definizione incerte e controverse; dall’altra le ricadute sulla qualità della vita sono universali e profonde, per cui tutti dovrebbero avere la possibilità di esprimersi.

Le “giurie di cittadini” del progetto Partecipasalute

Ovviamente non ho una soluzione, ma ho avuto la fortuna di poterne sperimentare una che merita di essere conosciuta e meditata. Mi riferisco alle giurie dei cittadini, che nel quadro del progetto Partecipasalute (www.partecipasalute.it) sono state messe alla prova su temi controversi come i test genetici per i portatori sani di fibrosi cistica o l’uso del PSA per la diagnosi precoce del cancro alla prostata.

Rimando al sito di Partecipasalute (e alla bibliografia lì citata) per tutti gli approfondimenti specifici sui presupposti e i risultati degli esperimenti sinora condotti, mentre mi limito qui ad alcune considerazioni.

Gruppi di cittadini qualsiasi, scelti casualmente come una giuria popolare ed esposti a un’informazione completa, onesta e veritiera, sono capaci di deliberare efficacemente nell’interesse della collettività, cioè in maniera unanime o quasi, coerente e consistente, anche quando la stessa deliberazione viene svolta in contesti diversi, come le diverse zone d’Italia o anche continenti agli antipodi. Ognuna delle parole nella frase precedente merita ovviamente una specificazione (per esempio il termine “veritiera”), ma mi limito qua all’avverbio “efficacemente”: l’efficacia in questione si misura in base alla capacità di arrivare a una conclusione condivisa dal gruppo attraverso un metodo di ragionamento che è precisamente quello illustrato da Boniolo nel suo libro, teorizzato dai pensatori greci e canonizzato nel medioevo: focalizzazione chiara del problema, individuazione di una soluzione adeguata, giustificazione razionale della soluzione.

Non possiamo pensare che decine di milioni di cittadini possano e vogliano fare tutta la fatica oggi necessaria per capire i termini delle scelte complesse che scienza e tecnologia aprono alla società; ma non possiamo neppure escludere nessuno, visto che le ricadute di quelle scelte peseranno sulla sua vita. Possiamo però decidere tutti insieme di delegare di volta in volta gruppi di cittadini, disposti a fare quella fatica in nome e per conto di tutti. Le loro deliberazioni per il bene della collettività saranno poi la base per i decisori, scelti con i metodi della democrazia rappresentativa tradizionale.

 

 


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