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L'occhio con cui l'universo osserva se stesso

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L’uomo – diceva il fisico Victor Weisskopf – è l’occhio con cui l’universo ha imparato a osservare se stesso. E, a ben vedere, Il cosmo della mente. Breve storia di come l’uomo ha creato l’Universo, il nuovo libro che Edoardo Boncinelli e Antonio Ereditato hanno appena pubblicato presso l’editore Il Saggiatore (pag. 216, euro 12,00, agosto 2018), è il racconto di questo lungo apprendimento cosmico. Con una precisazione: il cristallino di quell’occhio è la scienza.

Edoardo Boncinelli si è sì laureato in fisica, ma poi ha fatto ricerca – di gran classe – da genetista. Studiando in particolare i geni homeobox, determinanti nello sviluppo degli esseri viventi, uomo compreso. Da tempo è tra i maggiori comunicatori di scienza d’Italia.

Antonio Ereditato è, invece, un fisico sperimentale che insegna all’Università di Berna, in Svizzera. Ha diretto a lungo il gruppo Opera, tra i maggiori al mondo nello studio dei neutrini. È alla sua seconda prova importante da scrittore di scienza.

L’incontro tra i due ha sortito un libro che sarebbe consigliabile leggessero tutti gli studenti, delle scuole medie superiori così come dell’università, e tutti i non esperti curiosi, perché in maniera agile, fluida, rigorosa e insieme profonda ricostruisce la storia dell’universo e di quella particolare forma di aggregazione della materia che chiamiamo vita.

Dall'universo in culla alla vita intelligente

Nel libro è possibile verificare come l’occhio di cui sopra riesca ormai a osservare l’universo quando era ancora nella culla, 13,8 miliardi di anni fa; pochi istanti dopo il Big Bang; mentre assume una forma e nascono le stelle, le galassie, gli ammassi di galassie e, infine, quando un pianeta sperduto (la Terra) di una stella qualsiasi (il Sole) di una galassia tra miliardi (la Via Lattea) l’evoluzione cosmica genera la vita e poi la vita intelligente (più ingegnosa che intelligente, dicono i due autori).

Questa ricostruzione copernicana ci aiuta tutti a contestualizzare il nostro ruolo e la nostra funzione. Non eravamo certo attesi nella hall del Grande Hotel Universo. Ma non siamo neppure estranei. Siamo un po’ come i turisti “fai da te”: nessuno aveva prenotato per noi, ma non siamo affatto estranei in quella enorme casa che chiamiamo universo. E siamo stati abbastanza fortunati e ingegnosi da trasformarci nell’organo – l’unico finora (da noi) conosciuto – con cui l’universo osserva se stesso e ricostruisce la sua storia.

Questa ricostruzione scientifica e storica è solo uno dei motivi per cui conviene leggere il libro. Un motivo di per sé sufficiente.

I trascendimenti dell'evoluzione

Ma ci sono alcuni passaggi importanti in cui il libro diventa una palestra di approfondimento filosofico. Il primo e il più importante riguarda il concetto di evoluzione – l’universo cambia in maniera incessante – e quelli che il biologo evoluzionista Theodosius Dobzhansky definirebbe “i trascendimenti” dell’evoluzione. Le sue svolte principali. Che nel racconto di Boncinelli ed Ereditato sono tre: la transizione (il trascendimento) dal vuoto (sia pure quel vuoto particolre, brulicante di particelle virtuali che è il vuoto quantistico) al tutto, l’universo, appunto (anzi, il cosmo, il tutto armoniosamente ordinato di cui parlavano gli antichi filosofi Greci); la transizione (il trascendimento) dalla materia inanimata alla materia vivente; la transizione (il trascendimento) dal biologico al culturale, resa possibile dall’oggetto forse più complesso dell’universo conosciuto: il cervello umano. Ebbene i due autori sono espliciti: chiunque, come il vostro cronista sta facendo, parla di “trascendimenti”, deve avere ben chiaro che si tratta non di eventi mistici (di miracoli) ma di eventi inscritti nella materia e nelle leggi naturali. Che possono essere studiati su base scientifica.

Per questo i due autori si dicono fautori del “principio antropico debole” – viviamo in un universo che è adatto alla vita e alla vita intelligente, non potrebbe essere diversamente – e scartano senza titubanze il “principio antropico forte”, perché non viviamo affatto in un universo nato sulla scorta di un Grande Disegno per generare la vita e la vita intelligente e (dunque) l’uomo.

Boncinelli ed Ereditato ci mostrano un universo “profondo” nello spazio, nel tempo e nelle scale: conosciamo oggetti che vanno dai nanometri e anche meno ai miliardi di anni luce. A ogni scala la materia e l’energia appaiono (almeno all’occhio di cui parla Weisskopf) in maniera diversa. E l’organizzazione della materia assume forme diverse. Ebbene, sostengono i due autori, noi viviamo – la vita esiste – a una dimensione particolare, con un piede (o una parte piccola del piede) nel mondo dei quanti o giù di lì (dagli atomi alle grosse molecole) e la parte preponderante dei piedi nel “mondo (che consideriamo) normale”, quello che va dalla scala dei centimetri alla scala dei chilometri. Anche in questo non è un caso. La materia può organizzarsi in forma vivente solo a questa scala.

Un quarto trascendimento

Boncinelli ed Ereditato non lo dicono in maniera esplicita, ma in realtà parlano di un quarto “trascendimento”: l’evoluzione culturale e la curiosità del mondo a essa associata che si trasformano in ricerca scientifica. È con la scienza – sia essa nata in epoca ellenistica o nel Seicento in Europa, non importa – che l’occhio schiude la sua palpebra. E l’universo da osservatore di se stesso potenziale diventa osservatore di se stesso attuale. È con la scienza che l’universo inizia a esplorare se stesso a grande come a piccola scala. Sì, è con la scienza che si consuma quel nuovo trascendimento che ci consente di utilizzare la straordinaria metafora di Weisskopf.

Ma quale scienza? Boncinelli ed Ereditato non hanno dubbi: a sollevare la palpebra, a spalancare l’occhio cosmico è stata (è) quella scienza che molti una volta chiamavano “di base” e che oggi viene definiti curiosity-driven: diretta dalla curiosità. Lo diceva anche Vannevar Bush, il lungimirante consigliere scientifico di Franklin Delano Roosevelt: la scienza di base, fondata sulla curiosità, è il motore della generazione di nuova conoscenza e di tutte le sue applicazioni. Ma non c’è solo l’aspetto utilitaristico. La conoscenza – la produzione di nuova conoscenza – ha un valore in sé. Per questo, come sostengono Edoardo Boncinelli e Antonio Ereditato, ricercare è meglio che sapere. E che quello dello scienziato è il più bel lavoro del mondo.


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