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Quanto sono diversi maschi e femmine?

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Maschi e femmine, uguali o diversi? Una domanda che ha sollecitato infiniti tentativi di risposte. Cosa possono dire biologia e cultura delle differenze che ci separano? Quali sono le differenze che contano veramente e quali le comunanze? E alla fine, se un po’ siamo uguali e un po’ diversi, non potremmo semplicemente tessere un elogio della diversità e una nuova consapevolezza della co-appartenenza?

Il luogo di partenza della differenza è il corpo, la materia vivente che si è lasciata forgiare dall’evoluzione, lentamente, attraverso innumerevoli tentativi ed errori. Nella nostra specie, il dimorfismo sessuale non è molto accentuato, i maschi sono mediamente dotati di una stazza maggiore e con una massa di tessuto adiposo che in proporzione è inferiore a quella femminile. Nelle femmine una riserva di grasso maggiore è fondamentale perché durante i millenni in cui l’incertezza del pasto poteva minare la salute e dunque la possibilità riproduttiva, una piccola scorta di adipe è sempre stata fondamentale all’ingente dispendio energetico della gravidanza e per l’allattamento, insomma, per portare avanti la storia della specie. Meno ovvie sono altre differenze nel resto del corpo, tanto che anche la scienza ha omesso di dare il giusto peso alla questione. Vediamo perché.

Quando la scienza omette la differenza

La rivista Nature si è occupata più volte di questo argomento. Nel 2017, Anna Nowogrodzki in “Inequality in medicine”1 scriveva che se i medicinali pongono sempre qualche rischio per chi li assume, questo rischio è molto più alto per le donne; infatti, molti dei farmaci ritirati dal mercato avevano causato problemi principalmente a pazienti donne. Anche nel 2010 Nature dedicava alcuni articoli al fatto che gli studi nella ricerca medica usano ancora popolazioni sperimentali per lo più maschili, soprattutto negli animali. Tra questi, uno intitolato “Males still dominate animal studies”2 stigmatizzava proprio il fatto che la sproporzione a favore dei maschi fosse pericolosa per la salute delle donne. Questo squilibrio sembra essere maggiore in alcuni settori della scienza, addirittura nelle neuroscienze si ha il rapporto peggiore: 5,5 maschi per ogni femmina. E qui, chiaramente, arriviamo alla domanda più problematica. Il cervello umano femminile è diverso da quello maschile? E se sì, quanto importanti sono le differenze?

È forse utile partire da alcuni riscontri forniti dalla patologia, e poi esplorare anche l’ambito fisiologico comportamentale, nel quale, tuttavia, vedremo come ancora troppi dati attendono conferma per poter consentire serie conclusioni.

Il caso dell’autismo: esempio clamoroso della diversità di genere

In campo neuropsichiatrico è assodato che gli uomini hanno più disturbi legati alla schizofrenia e all’abuso di sostanze, mentre le donne hanno maggiori tendenze alla depressione e alle nevrosi, nonché ai disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia). Questo vale in termini di differenze generali dalle quali non è facile trarre conclusioni indiscutibili. Un’importante malattia è invece indiscutibilmente e in modo eclatante legata al sesso di appartenenza: l’autismo. Tanto che persino la rivista The Economist, prendendo spunto dal famoso film “Rain man”, che ha per protagonista un ragazzo autistico, ha dedicato a questo argomento un articolo dal titolo significativo “Perché non abbiamo una Rain Woman?”

I dati sull’autismo variano molto perché dipendono anche dalle difficoltà di diagnosi, ma in media vengono diagnosticati come autistici quattro maschi per ogni femmina. L’autismo è la sindrome più eclatante, anche se l’asimmetria maschi/femmine vale anche per disturbi come il deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e dislessia, nonché per molti altri.

Se alcune condizioni come l’autismo colpiscono in modo diverso maschi e femmine, questo suggerisce diversità nel funzionamento tra cervello femminile e cervello maschile. Nel caso dell’autismo, quindi, il dibattito è intenso. Si è scoperto, sorprendentemente, che nelle poche femmine in cui viene riscontrato un disordine dello spettro autistico sono presenti molte più mutazioni genetiche rispetto ai maschi, il che ha portato all’idea del female protective model3. Nei maschi, cioè, sarebbero necessarie meno mutazioni per sviluppare la malattia. La questione genetica dell’autismo, tuttavia, è ben lontana dall’essere chiarita, nel senso che sono stati individuati centinaia di geni a esso correlati ma solo una minoranza degli autistici ha anomalie genetiche note.

Un'altra interessante ipotesi è che la differenza di manifestazione dell’autismo abbia più a che fare con il modo in cui cervello femminile e cervello maschile lavorano, piuttosto che con i geni coinvolti. Su questa diversità ha avuto molto successo, ma anche molte critiche, la teoria nota come extreme-male-brain4, secondo cui il cervello del soggetto autistico sarebbe eccessivamente mascolinizzato, il che conferirebbe al cervello femminile una sorta di capacità protettiva dai sintomi autistici.

Per quanto riguarda la neuroanatomia, la letteratura descrive significative differenze strutturali nell’autismo maschile e femminile; non solo, chiama anche in causa fattori ormonali. Infatti, fin dallo sviluppo fetale, il ruolo degli ormoni è fondamentale per indirizzare lo sviluppo maschile o femminile, pare ad esempio che squilibri degli ormoni steroidei aumentino il rischio di autismo5. Anche se molto resta da fare per comprendere le basi dell’autismo, è evidente che di fronte a questa patologia il sesso debole è quello maschile.

Ormoni e asimmetrie

Il ruolo appena accennato degli ormoni merita un approfondimento: molti studi hanno dimostrato che gli ormoni influenzano la sfera cognitiva e comportamentale, oltre che la coordinazione motoria, l’umore, il dolore e altro ancora. Essi, però, intervengono anche nel configurare le asimmetrie funzionali cerebrali, che determinano l’esplicazione di compiti con efficacia diversa tra maschi e femmine.

Un classico è il caso del linguaggio, nella cui attuazione le femmine mediamente superano i maschi, a differenza delle abilità spaziali come orientamento e attenzione spaziale, in cui i maschi mediamente prevalgono. In realtà, questi sono i dati più famosi, ma recenti studi smentiscono anche queste differenze: soprattutto per quanto riguarda le abilità spaziali, esse possono essere più spiccate in relazione, più che dal sesso in sé, dal tipo di esperienze fatte, ad esempio, attraverso i giochi. Quindi la variabile “sesso” più che essere condizionata dalla biologia, in questo caso sembra dipendere dal modello educativo.

In generale sembra che nelle femmine le asimmetrie funzionali cerebrali siano comunque ridotte6, suggerendo che in esse la lateralizzazione sia minore. Un emisfero cerebrale è dominante a seconda del compito che stiamo svolgendo, ad esempio il sinistro domina sul destro mentre si esplicano attività di linguaggio. Questa attività di lateralizzazione tende a essere inferiore nelle femmine nelle quali la cooperazione interemisferica tende ad essere maggiore, per lo meno, secondo quanto ci dicono le ricerche attuali.

Cervello, infiammazione e farmaci

Rimaniamo nel cervello ma cambiamo patologia. Gli attacchi ischemici sono una causa di morte e disabilità molto importante. Si è sempre ritenuto che gli uomini ne siano più a rischio, ma si è anche scoperto dagli 85 anni in poi soccombono per ictus più donne che uomini. L’asimmetria maschi/femmine non riguarda solo il rischio, ma anche le modalità in cui si produce il danno cerebrale, la tipologia di farmaci efficaci, la riabilitazione, la comorbidità7. Nonostante ciò, ancora nel 2009, solo il 38% degli studi animali sugli ictus utilizzavano modelli femminili.

La percezione del dolore è un altro punto in cui maschi e femmine differiscono in modo significativo. Ad esempio, l’effetto analgesico della morfina è minore nelle donne, le quali necessitano di dosi 2-3 volte superiori rispetto agli uomini8 per ottenere lo stesso effetto. Anche l’emicrania, patologia nella quale il dolore è un sintomo invalidante, colpisce molto di più le donne rispetto agli uomini.

In ambito farmacologico è noto che l’assorbimento, la metabolizzazione e l’eliminazione dei farmaci è diversa tra uomini e donne, ma nessun farmaco riporta posologie diverse a seconda del sesso. La sedazione, addirittura, agisce in modo differente, le donne si risvegliano dall’anestesia più velocemente e con maggiori effetti collaterali rispetto agli uomini9.

Cervello e comportamento

Chiarite alcune differenze importanti in termini di malattie, vale ora la pena di curiosare un po’ su quanto ci può dire la scienza sul comportamento. Esiste nel cervello qualcosa che giustifichi, a tale riguardo, differenze tra maschi e femmine? Il problema qui è la difficoltà nel riuscire a estrapolare comportamenti che non siano influenzati dalla cultura perché, come sappiamo, i bambini e le bambine vengono educati diversamente, in base alle aspettative della società che li accoglierà.

Un classico tipo di studio, confermato in più lavori, valuta le preferenze rispetto agli stereotipi di genere. È noto che mediamente i bambini preferiscono intrattenersi con oggetti come ad esempio le macchinine, mentre le bambine prediligono le bambole. Ma dato che è possibile anche il contrario (i bambini possono giocare con un po’ di tutto), come si possono distinguere eventuali predisposizioni biologiche da condizionamenti culturali? Utili informazioni si ottengono dagli studi sui primati, nei quali si riscontrano mediamente le stesse preferenze: bambole per le femmine e macchinine per i maschi. Utili sono anche gli studi con i neonati: si è visto che le femmine di 1-2 giorni preferiscono guardare immagini di volti (input sociale) mentre i maschietti coetanei prediligono l’immagine di oggetti (input meccanico)10.

Il problema di questi studi è che non sono stati quasi mai ripetuti, inserendo anche eventuali correzioni, quindi si tratta di casi che attenderebbero di essere confermati da ulteriori prove (animali e neonati sono soggetti molto più difficili per i ricercatori e il campo dei gender studies è un po’ un campo minato). È plausibile che l’evoluzione abbia favorito il formarsi di pattern di predisposizione comportamentale nei primati? Se confermata, la preferenza per le bambole avrebbe un chiaro nesso con il futuro investimento riproduttivo e protettivo della prole, ma qual è il ruolo della preferenza maschile per oggetti non sociali?

Donne, uomini e neuroestetica

Rimanendo in ambito comportamentale, può essere interessante un accenno alla neuroestetica, disciplina che studia i correlati neuronali della percezione della bellezza con le moderne tecniche di neuroimaging, dalla risonanza nucleare magnetica funzionale, alla magnetoencefalografia.

Nel 2009 uno studio di Cela-Conde11 e collaboratori ha usato la magnetoencefalografia per svelare eventuali differenze tra la percezione estetica degli uomini e quella delle donne, a cui veniva chiesto di indicare se un soggetto proposto fosse bello oppure no. Nello studio, la percezione di un oggetto come “bello” attivava le regioni parietali prefrontali, che sono la sede per l’elaborazione delle relazioni spaziali, sia nei maschi sia nelle femmine, ma l’attività era bilaterale nelle donne, mentre era limitata all’emisfero destro negli uomini (in linea con il fatto che nelle donne vi è minore asimmetria tra gli emisferi).

Gli autori dello studio hanno cercato di spiegare questo fenomeno riconducendolo alle due diverse forme di elaborazione delle relazioni spaziali tra gli oggetti12: una riguarda la relazione tra le loro posizioni (elaborazione spaziale categorica) e si svolge nell’emisfero di sinistra, l’altra implica l’elaborazione metrica delle distanze tra gli oggetti (elaborazione spaziale coordinata) e coinvolge maggiormente l’emisfero di destra. Gli uomini, quindi, preferirebbero basarsi sull’elaborazione coordinata delle relazioni spaziali con preferenza su aspetti locali, le donne privilegerebbero quella di tipo categorico,ma coniugando la preferenza su aspetti sia globali che locali.

Per interpretare questo risultato gli autori propongono un punto di vista evoluzionistico, rifacendosi alla nota teoria dei raccoglitori/cacciatori12 sulla divisione del lavoro nei nostri progenitori. Gli uomini sarebbero stati maggiormente occupati nella caccia e nella difesa, mentre le donne sarebbero state più dedite alla ricerca e raccolta dei frutti della terra. L’elaborazione delle relazioni spaziali in modo coordinato conferirebbe maggiori vantaggi per l’azione del cacciare, mentre il riconoscimento delle relazioni tra gli oggetti e i loro contenuti è una strategia vantaggiosa per l’azione di raccolta del cibo. Siccome le aree dell’apprezzamento della bellezza e dell’elaborazione delle relazioni spaziali sono le stesse, si può ragionevolmente ipotizzare che i due processi abbiano qualcosa in comune, cioè che l’apprezzamento degli stimoli estetici abbia in qualche modo a che fare con l’elaborazione delle relazioni spaziali. Se il riconoscimento e l’apprezzamento dell’oggetto sono legati, si può ipotizzare che siano state plasmati dallo stesso percorso evoluzionistico, determinato a sua volta dalla suddetta divisione dei compiti. Questo percorso sarebbe esclusivo dell’Homo sapiens, dato che la regione parietale prefrontale è evoluzionisticamente recente, infatti, non la condividiamo con i primati. Insomma, donne e uomini utilizzerebbero strategie cognitive diverse per valutare la bellezza, ma in ogni caso hanno fatto sì che l’arte diventasse un patrimonio dell’esperienza umana.

Attenzione all’evoluzione

L’approccio evoluzionistico mette in relazione molteplici discipline ma rimane molto ipotetico, molto spesso le ipotesi vengono fatte ad hoc, addirittura con una certa reticenza nel confutarle con nuove proposte. Anche la teoria dei cacciatori-raccoglitori potrebbe avere dei limiti, ad esempio quello di essere stata costruita in base a una visione puramente maschile della possibile divisione dei ruoli di genere.

L’idea di uomo cacciatore, avido e spietato, ad esempio, ha avuto un grande successo nel XX secolo, dopo che Raymond Dart scoprì, nel 1924, il cranio perforato del bambino Taung vissuto 2,3 milioni di anni fa, appartenente alla specie degli australopitechi e concluse che era stato selvaggiamente ucciso dai suoi simili. In realtà le cose non sembrano stare così (il cranio reca i segni di predatori diversi dall’uomo), perché per gran parte della nostra storia evolutiva noi siamo stati prede più che predatori e per diventare carnivori abbiamo dovuto imparare a usare il fuoco, affilare delle armi valide e anche adattare il nostro apparato digerente.

Ecco dunque come la nostra traballante storia da cacciatori si accorcia di molto nella linea del tempo (a tal proposito si veda “Man the Hunted”, Hart & Sussman14). L’attività della caccia inoltre, essendo molto pericolosa e dispendiosa, difficilmente è stata un’occupazione tanto assidua: è più probabile che l’attività di raccolta di piante e piccoli animali sia stata la base della quotidianità in modo cooperativo tra i due sessi e anche i dati provenienti dall’osservazione degli scimpanzé (i parenti più stretti che possediamo nel mondo animale) evidenziano un’importante partecipazione femminile al grosso del lavoro di rifornimento del cibo15. È utile notare anche che, nelle poche superstiti società moderne di cacciatori-raccoglitori, gran parte delle calorie quotidiane proviene dalla raccolta e dalla caccia di piccoli animali effettuata dalle donne.

Questi dati recenti dell’antropologia ci inducono a prendere con più cautela certe teorie date per assodate. In generale, forse occorre riflettere su come troppo spesso nella scienza accade che certi filoni di studio siano viziati da impostazioni monotematiche e parziali, sia nella formulazione di ipotesi, che nella scelta discriminante dei campioni da analizzare e, infine, nel trarre le conclusioni.

Molto uguali

In realtà, siamo molto più uguali che diversi. Pensiamo alle caratteristiche che si sono evolute parallelamente tra maschi e femmine. La postura bipede ci ha consentito di diventare abili a fare molte cose, tra cui alzare lo sguardo all’orizzonte, maneggiare e forgiare oggetti, camminare e correre su lunghe distanze anche sotto il sole cocente, grazie a un corpo attrezzato a espellere il calore in modo molto efficiente. Nel nostro passato evolutivo questo ci deve essere stato veramente utile a sopravvivere, a sfuggire ai predatori e a migrare in tutto il pianeta. Nel mentre, anche il nostro cervello si arricchiva di esperienze e possibilità, accrescendo le sue dimensioni e le sue connessioni. Grazie a questo balzo evolutivo abbiamo creato un enorme gap col resto del mondo animale.

Nella nostra evoluzione di primati deve essere stato molto importante anche il ruolo delle madri nel trasmettere ai figli la cultura di cui erano in possesso, visto il preponderante ruolo femminile nell’accudimento della prole. E subito dopo le madri una rete di relazioni unica in natura: padri, fratelli e sorelle, nonne e nonni, eccetera. Forse questi contributi non sono ancora stati sufficientemente presi in considerazione nel pesare la spinta evoluzionistica della divisione dei ruoli di genere e probabilmente, anche della specializzazione di genere dei nostri cervelli.

Un po’ diversi

Arrivati a questo punto, sarebbe utile guardare alle diversità nell’ottica di dare loro il giusto peso. Da un lato, esse devono essere veramente preziose in quanto risultato di una dispendiosa storia evolutiva di famiglia; dall’altro, sono fondamentali per la cura della salute, caso, quest’ultimo, in cui vanno veramente messe sotto la lente d’ingrandimento. Inoltre, va detto, che dal punto di vista delle neuroscienze è emerso come bisogna saper contestualizzare le diversità. Questo perché è stato anche messo in luce che, confrontando i cervelli di due soggetti a caso con le più moderne tecniche di neuroimaging, emergono sempre delle differenze!

In conclusione, dovremmo operare una revisione dei nostri modi di vedere e concettualizzare le differenze: ad esempio, quali altre categorie possiamo usare, oltre al sesso, per individuare discrepanze? Dopodiché, restringendo il focus sui sessi, che ruolo hanno avuto le dimensioni peraltro correlate di biologia e cultura nel creare le diversità maschio-femmina che possiamo riscontrare nei vari ambiti? Forse prima di rispondere dovremmo lavorare ancora un po’: oltre a nuove pianificazioni di ipotesi sperimentali dovremmo migliorare la comprensione dei dati che abbiamo, riconsiderandone molti alla luce del fatto che la scienza e la cultura a due voci, maschile e femminile, hanno il vantaggio di esprimere il potenziale di verità del 100 per cento dell’umanità, invece che del 50 per cento, come si è fatto per lo più finora.

Un grosso incoraggiamento va, allora, alla diversificazione di spiegazioni, teorie, modelli e riflessioni che scaturirà dal sapere costruito grazie alla ricchezza di possibilità insita nella collaborazione proprio tra quei soggetti portatori delle differenze che tanto ci incuriosiscono: donne e uomini, appunto.

Ringrazio Ernesto Carafoli per la preziosa collaborazione nella realizzazione di questo articolo.
Bibliografia
1. Nowogrodzki A, Clinical research: Inequality in medicine. Nature vol. 550, S18–S19, 05 October (2017)
2. Zucker et al., Males still dominates animal studies, Nature vol. 465, 10 Jun (2010)
3. Jacquemont et al. A Higher Mutational Burden in Females Supports a “Female Protective Model” in Neurodevelopmental Disorders. AJHG, Mar 6;94(3):415-25 (2014)
4. Baron-Cohen. The extreme male brain theory of autism. Trends in Cognitive Sciences Vol.6 No.6 June (2002)
5. Baron-Cohen et al. Elevated fetal steroidogenic activity in autism. Molecular Psychiatry volume 20, pages 369–376 (2015)
6. Liu et al. Evidence from intrinsic activity that asymmetry of the human brain is controlled by multiple factors. Proc Natl Acad Sci U S A.;106:20499–20503 (2009)
7. Persky et al. Stroke in women: disparities and outcome. Curr Cardiol Rep. Jan:12(1):6-13 (2010)
8. Doyle et al., Sex Differences in Microglia Activity within the Periaqueductal Gray of the Rat: A Potential Mechanism Driving the Dimorphic Effects of Morphine. Journal of Neuroscience 20 February, 2906-16 (2017)
9. Anderson, Women’s Health (Larchmt) 14, 19-29 (2005)
10. Connellan et al., Sex Differences in Human Neonatal Social Perception. Infant behaviour and development January 23(1):113-118 (2000) 
11. Cela-Conde et al. Sex-related similarities and differences in the neural correlates of beauty. Pnas March, vol 106, n. 10 (2009)
12. Kosslyn et al. Categorical versus coordinate spatial relations: Computational analyses and computer simulation. Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance 18:562–575 (1992)
13. Silverman I and Eals M. Sex differences in spatial abilities: Evolutionary theory and data. The adapted mind: Evolutionary psychology and the generation of culture. J. M. Barkow, L. Cosmides and Tooby. New York, Oxford Univ. Press. (1992)
14. Hart D and Sussman RW, Man the Hunted. Primates, Predators and Human Evolution. Basic Books. (2005)
15. Tanner N and Zihlman A Women in Evolution. Part I: Innovation and Selection in Human Origins Signs Vol. 1, No. 3, Spring, , pp. 585-608. The University of Chicago Press (1976)
 

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