fbpx Alla Sapienza un convegno fake sul clima | Scienza in rete

Alla Sapienza un convegno fake sul clima

Mappa della NASA sul'andamento dell'aumento della teamperatura media del Pianeta provocato dal cambiamento climatico di orgine umana. 

Tempo di lettura: 4 mins

Giunge la notizia che il 13 novembre 2018, alle ore 15:30, si terrà alla Sapienza di Roma un convegno dal titolo: “Clima. Basta catastrofismi. Riflessioni scientifiche sul passato e sul futuro” (qui l'annuncio sul sito della Sapienza, qui la locandina del programma). Dietro il paravento della “riflessione scientifica” si cela nemmeno poi tanto il chiaro intento dell’incontro. Spargere a piene mani un malizioso scetticismo sulla realtà delle cause umane del cambiamento climatico in atto e sulle pesanti conseguenze a cui con tutta probabilità stiamo rapidamente andando incontro.

A costo di ripetermi, vale la pena fare alcune considerazioni. Prima di tutto va osservato che nessuno dei relatori è in senso stretto uno scienziato del clima. E la spiegazione di questa strana omissione è presto detta.

In un articolo pubblicato su PNAS1, viene esaminato il livello di consenso scientifico sull’effetto delle attività antropiche sul clima della Terra e la credibilità scientifica degli scienziati che di questo si occupano. In breve, i risultati di questo interessante lavoro ci dicono che:

  • il 97-98% degli scienziati che si occupano della scienza del clima sono d’accordo con le conclusioni di IPCC;
  • la competenza ed il rilievo scientifico di coloro che fanno parte dell’esiguo gruppo che dissente da queste conclusioni sono sostanzialmente inferiori a quelli degli scienziati che supportano l’origine antropica del riscaldamento climatico (il gruppo comprende solo il 2% dei top 50 scienziati del clima, il 3% dei top 100 ed il 2,5% dei top 200).

Eppure, se diamo credito al consenso scientifico degli esperti, le conclusioni chiave del V Assessment Report (AR5) del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), basate sull’analisi di oltre 30.000 pubblicazioni scientifiche peer-reviewed, parlano da sole:

  • il riscaldamento del clima è inequivocabile;
  • l’influenza delle attività umane sul sistema climatico è chiara ed è estremamente probabile (95-100% di probabilità) che le attività umane siano state la causa dominante del riscaldamento osservato dalla metà del XX secolo.

Veniamo ora alla situazione italiana. A livello dei mezzi di comunicazione, si assiste nel nostro Paese a un susseguirsi di informazioni spurie, più che altro all’insegna del sensazionalismo, in un verso e nell’altro, che lasciano senz’altro il pubblico piuttosto interdetto.

Per quanto riguarda invece la comunità scientifica italiana, vi è un fiorire di posizioni cosiddette “negazioniste” o più furbescamente “scettiche” sull’origine antropica del cambiamento climatico che non trova riscontro, a mia conoscenza, in nessun altro Paese. L’aspetto interessante che vorrei sottolineare è però che fra i sostenitori di queste posizioni vi sono per lo più scienziati che non hanno mai scritto una riga in letteratura sul cambiamento climatico. Ora, credo che una base comune nella comunità scientifica sia quella che i dibattiti fra scienziati si fanno sulla letteratura scientifica con argomenti scientificamente validi mentre, come nell’esempio sopra riportato, spesso si portano convinzioni, ben poco valide scientificamente del tipo non ci credo, non mi sembra, non è ragionevole.

Qual è la spiegazione di questa strana attitudine?

La prima ipotesi riguarda il carattere transdisciplinare della scienza del clima che coinvolge competenze di fisica, chimica, biologia, geologia, ingegneria, ma anche delle scienze sociali ed economiche. Come si sa, la nostra Accademia è strutturata su basi strettamente disciplinari e, nonostante si discetti ampiamente in pubblico di interdisciplinarietà, le barriere disciplinari sono tuttora quasi impermeabili. Questo comunque non giustifica che la scienza del clima sia considerata un ambito nel quale chiunque si sente in dovere di fare affermazioni prive di fondamento scientifico.

La seconda ipotesi riguarda invece le prove di forza che interessano la comunità scientifica nazionale per esibire il livello di potere di questa o quella disciplina, funzionali all’acquisizione di risorse. Forse, rispetto a quanto ho scritto sempre per questa rivista alcuni anni fa, oggi c’è anche una parte del milieu politico più ricettivo a messaggi anti cambiamento climatico.

Tutto sommato, chi ha ormai chiaro la rilevanza di quanto dice da anni la climatologia, e ribadito con forza dagli impegni presi alla COP 21 di Parigi, sono - oltre ovviamente ai climatologi - gli uomini di impresa (dalle assicurazioni ai costruttori di automobili alle stesse utilities energetiche, che hanno quanto meno iniziato una conversione delle attività economiche verso forme più sostenibili e low-carbon.

Resta comunque il fatto che l’opinione pubblica, ignara, resta vittima di quanto propinato dai massa media e dagli spin doctor del negazionismo, spesso abilmente travestiti da scettici anti-catastrofisti.

 

Bibliografia
1 Anderegg, WRL., J.W. Prall, J. Harold and S.H. Schneider. Expert credibility in climate change. PNAS, 107, 12107-12109, 2010.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.