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Sicurezza, una legge patogena

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Dopo annunci e polemiche, slogan contrapposti e manifestazioni, con due voti di fiducia, è stato approvato in via definitiva dalla Camera (396 sì, 99 no) il cosiddetto Decreto “Immigrazione e Sicurezza” (Disegno di legge 840, conversione del decreto-legge n. 113). Forse una delle più “cattive” norme della storia italiana (e per alcuni questo è il reale merito!) nei confronti dei cittadini stranieri, in particolare richiedenti protezione. Il testo è gran parte esito di pregiudizi e calcoli elettorali, approcci semplicistici di fronte a un fenomeno complesso e articolato. Non sorprendono le prese di posizioni ad esempio del Consiglio d’Europa che, per voce di Dunja Mijatovic, commissario dei diritti umani, l’ha definito

un passo indietro in termini di accesso alla protezione per le persone su cui incombono gravi minacce, o che le hanno già subite.

Da parte sua, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati intravede

un rischio in particolare rispetto alle nuove misure relative alla detenzione amministrativa in attesa dell’identificazione o dell’espulsione, le cosiddette procedure accelerate alla frontiera, e le domande d’asilo reiterate. Questi nuovi provvedimenti … non forniscono garanzie adeguate, soprattutto per le persone vulnerabili e quelle con esigenze particolari, come per esempio le persone che hanno subito abusi e torture.

Associazioni di avvocati e giuristi evocano anche ampi spazi di incostituzionalità del decreto stesso così come anche dichiarato dalla VI commissione del Consiglio superiore della magistratura in un corposo parere indirizzato al ministero della Giustizia.

Sorvegliare, non curare, possibilmente punire

L’ottica proposta dalla nuova legge, di cui certamente non sentivamo il bisogno, è di tipo “contenitiva e securitaria”. Questo approccio, secondo gli addetti ai lavori, non produrrà però quanto gli estensori formalmente auspicano (la riduzione significativa degli immigrati e l’espulsione di centinaia di migliaia di essi!), anzi si prevede, ad esempio, un'esposizione di oltre 140.000 persone (i titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari che verrà abrogato) al rischio di “povertà estrema, di marginalità, di devianza”.

Paradossalmente le nuove disposizioni, oltre a spingere nell'irregolarità giuridica tanti immigrati già avviati verso percorsi di integrazione, renderanno più precaria la condizione dei richiedenti asilo (accoglienza solo in strutture straordinarie, presumibilmente di grandi dimensioni, assenza di iscrizione anagrafica, … ) e degli immigrati presenti da tempo (allungamento dei tempi per ottenere la cittadinanza). Oltre a ciò le norme contenute in questa legge comportano serie implicazioni per il diritto alla tutela della salute delle persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate sul territorio italiano, sia rispetto alla possibilità di accedere pienamente al Servizio Sanitario Nazionale, sia rispetto alle condizioni sociali che concorrono a determinare la salute delle persone.

Ciò è denunciato da una circostanziata lettera delle principali organizzazioni medico-umanitarie italiane impegnate sui temi delle migrazioni e dell’asilo:

La tutela della salute si realizza attraverso un pieno accesso ai servizi sanitari, ma anche attraverso la tutela di condizioni sociali come casa, reddito, istruzione, ambiente di vita e di lavoro, che determinano la salute fisica e mentale delle persone. Tanto più quando si tratta di persone sopravvissute a traumi estremi e abusi gravissimi nel Paese di origine e lungo la rotta migratoria. Il decreto mina seriamente tutto questo

In particolare segnaliamo quattro punti critici sottolineati dalle associazioni.

L’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari 

Secondo quanto riportato nella legge, questo permesso, che veniva concesso nei casi in cui non ci fossero gli estremi per riconoscere l’asilo o la protezione sussidiaria, ma vi fossero seri motivi per non far rientrare la persona nel proprio Paese di origine, verrà sostituto da quattro permessi di soggiorno “speciali”. In tutti i casi si tratta di permessi della durata di 6-12 mesi che limitano quindi la possibilità di accedere alle prestazioni di assistenza sociale (destinate ai titolari di permessi di soggiorno di almeno un anno), agli alloggi di edilizia residenziale pubblica (garantiti a chi ha permessi di soggiorno di almeno due anni) e non prevedono la convertibilità in permessi di soggiorno per lavoro. Per questi permessi nella prima versione del Decreto legge (quello in vigore fino al 4 dicembre p.v.) non si prevede l’iscrizione al Sistema Sanitario Nazionale ma tale disposizione è stata opportunamente inserita nel maxi emendamento governativo approvato al Senato.

La riforma del Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) 

In base a questa nuova legge, il sistema Sprar sarà destinato esclusivamente alle persone titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati. In questo modo, le persone richiedenti asilo non saranno più ammesse alle pratiche di formazione e inserimento socio lavorativo che hanno caratterizzato tale modalità di accoglienza. Questa riforma, che prevede la permanenza delle persone richiedenti asilo nei soli Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), è un determinante negativo per la salute perché i CAS spesso non prevedono procedure idonee all’integrazione e non prevedono misure adeguate per la presa in carico di persone in condizioni di fragilità (anziani, donne in gravidanza, persone affette da disabilità, genitori soli con figli minori, vittime di tratta-tortura-violenze, malati fisici e/o psichici) con gravi rischi di ritraumatizzatizioni.

L’allungamento dei tempi di trattenimento alla frontiera e nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) 

Le nuove misure prevedono la possibilità di trattenere le persone negli hotspot alle frontiere per un massimo di trenta giorni e nei CPR (ex CIE) per un massimo di 180 giorni (sei mesi). Una situazione per cui persone che non hanno commesso alcun reato, fatto salvo esser sprovvisti di documenti, potranno esser sottoposte a periodi detenzione fino a sette mesi (sinora erano 90 giorni) con gravi rischi per la loro salute fisica e mentale. A questo proposito, già nel 2016 le raccomandazioni finali del XIV congresso della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni sottolineavano che:

i CIE continuano a configurarsi come isole in cui il diritto è sospeso: costituiscono una condizione di reclusione in assenza di imputazioni, spesso gli ospiti non ricevono informazioni adeguate, esaustive e comprensibili limitando quindi la loro possibilità di difesa,

e che

gli hotspot si configurano come luoghi in cui i diritti non sono garantiti poiché il progetto migratorio viene indagato in modi e momenti impropri 

La mancata iscrizione all'anagrafe dei residenti

Si prevede inoltre che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non consenta l'iscrizione all'anagrafe dei residenti. Benché venga riportato che questo non pregiudica l’accesso ai servizi riconosciuti dalla legislazione vigente alle persone richiedenti asilo (iscrizione al servizio sanitario, accesso al lavoro, iscrizione scolastica dei figli, misure di accoglienza), che si fondano sulla titolarità del permesso di soggiorno, per quanto riguarda l'iscrizione al SSN – così come l'accesso alle prestazioni sociali – il non avere la residenza anagrafica rappresenta di fatto un reale e diffuso ostacolo all’accessibilità ai servizi sanitari.

Scrivevamo qualche tempo fa che “buone leggi fanno buona salute”, altre invece sono patogene, inutili e dannose … e quella approvata ne è, di quest’ultime, un drammatico esempio.

 


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